Non tutte le acquisizioni vengono per nuocere, anzi: a volte i riassetti societari forniscono gli strumenti giusti per rimettere mano agli archivi e rilanciare i brand italiani che hanno scritto la storia del design.
La globalizzazione, la digitalizzazione dei mercati e gli adeguamenti imposti dalla transizione ecologica hanno rimesso in discussione l’identità del made in Italy. Se è vero che solo fino a 10-15 anni fa tutto ciò che veniva prodotto in Italia era sinonimo di alta qualità, artigianalità, lusso e tradizione, oggi il puro radicamento nel territorio non basta più. Si è avviato un profondo processo di revisione dell’immagine dei nostri brand, che in certi frangenti ha generato nuovi assetti societari, peraltro indispensabili per tutelare e sviluppare l’heritage di aziende che hanno scritto capitoli fondamentali della storia del design. L’approccio non è stato quello tipico della “campagna acquisti” onnivora che spesso caratterizza il modus operandi dei colossi internazionali. Si è invece trattato di iniziative condotte nel pieno rispetto dei protagonisti e dell’impronta che caratterizzano il Dna di ogni singola avventura imprenditoriale: un patrimonio unico, ricco di personaggi e di idee che meritano di essere ricollocati nella giusta luce, in linea con le aspettative di consumatori sempre più nomadi, informati e indipendenti
WEDO HOLDING E BUSNELLI: QUANDO LA TRANSIZIONE E’ MORBIDA
“Nel 2020 abbiamo acquisito il marchio Busnelli, che oggi è un fiore all’occhiello del nostro gruppo. Ci mancava in portafoglio un brand d’alta gamma legato all’universo degli imbottiti, gli arredi che ‘fanno casa’ per definizione e che, complice anche la pandemia, nell’ultimo anno e mezzo hanno registrato un’impennata della domanda”, spiega Giuseppe Bincoletto, chief marketing officer di WeDo, la holding veneta che fa capo alla famiglia Doimo e alla quale appartengono i marchi Frezza, Dvo, Mis Medical, Arrital, Doimo Cucine, Copatlife, Punto Ettore e Altamarea. “L’operazione è parte di una più ampia strategia orientata alla diversificazione del prodotto e all’internazionalizzazione del gruppo, che è ben posizionato sul mercato europeo e si sta allargando verso Cina e Stati Uniti. Con l’arrivo di Busnelli, WeDo si arricchisce di un’eccellenza che funzionerà da leva per entrare in un segmento molto ampio del mondo dell’arredamento, con l’obiettivo di incrementare il fatturato, per la sola soft furniture, di 40 milioni di euro entro i prossimi due anni”. Fondata a Meda alla fine degli anni Cinquanta, l’azienda di Franco Busnelli ha messo la firma su numerosi evergreen di culto: valgano, fra i molti, gli esempi delle poltrone Fiocco (disegnata da Gianni Pareschi nel 1970) e Libro (di Pareschi e Umberto Orsoni, 1970), presenti nella collezione permanente del Moma di New York e al Museo della Triennale di Milano, o del divano Piumotto (di Design Bstudio – Marco Boga), ricercatissimo dagli appassionati di modernariato. Acquisendo Busnelli dalla società Former in liquidazione, che a sua volta lo aveva rilevato nel 2017, WeDo, che ha chiuso il 2020 con un consolidato di gruppo di circa 126 milioni di euro e punta ai 150 nel 2021, si porta a casa i diritti del marchio e tutti i modelli. E a fronte di un investimento (su Busnelli) di oltre 1,5 milioni, ha già predisposto un ambizioso business plan: “Ci occuperemo della modernizzazione e del riposizionamento del brand, ma soprattutto cercheremo di ricostruire un tessuto connettivo di valore legato a un’eredità imprenditoriale straordinaria. Nel 2022 definiremo prodotti e strategie, mentre il debutto ufficiale è già fissato per l’inizio del 2023”. Fiocco, Libro, Piumotto ma anche le sedute Baffo (di Gianni Pareschi ed Ezio Didone, 1969) e Armadillo (di Pareschi, 1969) sono solo alcune delle icone che verranno rimesse in produzione e riaggiornate in collaborazione con un team di giovani designer (di cui non si svelano i nomi) e grazie ad accordi con partner selezionati della filiera brianzola del mobile, in grado di garantire i più elevati standard di efficienza ed eco compatibilità. “Fra il pubblico degli addetti ai lavori, il catalogo di Busnelli vanta un ottimo indice di ricordo, ma non per questo ci si rivolgerà ai soli cultori del vintage. La nostra idea è invece quella di recuperare la verve visionaria che fin dall’origine ha caraterizzato il Dna della produzione Busnelli per declinarla in maniera più contemporanea sia su arredi singoli che su sistemi. Rimettere mano agli archivi significa anche riportare in primo piano la figura di Franco, la sua cultura dell’innovazione, la sua capacità di scommettere sull’industrializzazione senza mai perdere di vista l’approccio artigianale, tipico della manifattura italiana. È stato Franco, del resto, uno dei primi imprenditori a creare dei laboratori di R&D interni all’azienda, a collaborare con le università per lo studio di nuovi materiali e a fondare, negli anni Sessanta, Caleidoscopio, un seme – strale che per un quarto di secolo è stato un vivace tavolo di confronto per il dibattito sull’arte, sull’architettura e sul design”. Con 500 dipendenti e una supply chain agile e dinamica, oggi in WeDo si può lavorare su Busnelli “come se fosse una start up”, conclude – de Bincoletto. “In più, abbiamo la fortuna di poter contare su prodotti senza età, che si prestano a essere customizzati proprio come si fa con un’automobile e che, per estetica e mix appeal, sembrano già pronti per essere veicolati sui canali phygital”. Un ulteriore plus. E non da poco.
TISETTANTA ED ELAM: IL FUTURO È IBRIDO
Nelle nuove esperienze d’acquisto, le applicazioni digitali si sovrappongono al mondo fisico vissuto e immaginato dai consumatori. E, allo stesso modo, all’interno delle case gli ambienti della quotidianità e del lavoro tendono sempre di più a confondersi in uno spazio unico, libero dai condizionamenti delle pareti e delle destinazioni d’uso. Se “ibridazione” è la parola magica che, insieme all’ecosostenibilità, fungerà da bussola per i prossimi decenni, allora si può tranquillamente affermare che Tisettanta già da tempo avesse un piede dentro al futuro. “La pandemia ha confermato la validità del nostro approccio trasversale al progetto, basato su arredi versatili ed ecologici, già da tempo privi di formaldeide e che, all’occorrenza, si possono riconvertire alle funzioni più diverse, incluso lo smartworking”, conferma Fabrizio Pedrazzani, sales manager e responsabile export per la divisione contract di Tisettanta, azienda d’impronta familiare con quartier generale a Mariano Comense. Del resto, i divani, i tavoli, i letti e gli intramontabili Sistemi attrezzati di Antonio Citterio, che hanno reso celebre nel mondo Tisettanta, sono il frutto di una visione lungimirante che prende forma nel lontano 1929, quando Carlo Turati, classe 1901, avvia a Giussano, in Brianza, la bottega artigiana che negli anni Sessanta, grazie all’intuizione del figlio Giuseppe (Peppino), diventerà industria. Il marchio Tisettanta nasce nel 1971 dall’incontro fra Peppino e Sergio Turati con il designer Carlo Bartoli, cui viene affidata l’art direction: l’idea è quella di sviluppare mobili che nascono in serie eppure sono di altissima qualità, oggetti accessibili a tutti ma con gli atout del made in Italy.
L’ingresso nella società dei Pedrazzani, amici di lunga data dei Turati, porterà a una gestione più flessibile, che culminerà nel 2021 con l’acquisizione completa del marchio. “Alla fine del Millennio, Tisettanta era una realtà industriale sovradimensionata, che non rispondeva più in modo agile alle richieste di customizzazione dei prodotti. Il reset aziendale è iniziato negli anni Novanta: su Tisettanta è stato fatto un capillare lavoro di ridimensionamento, con la cessazione della produzione su larga scala e la selezione rigorosa dei rivenditori, privilegiando gli store che avessero al loro interno uno studio di progettazione capace di assicurare un servizio tailor made al consumatore finale. Nel 1999, poi, è stata acquisita Elam, un marchio storico di cucine che, insieme al brand di accessori e complementi Halifax, è diventato parte integrante della squadra”. Dal 1954 Elam proponeva una gamma di prodotti di alta gamma e ha portato in dote – fra i molti – bestseller come la celeberrima cucina a moduli E5, il primo allestimento kitchen “vivibile” ideato da Marco Zanuso nel 1966, poi ripreso e rivisitato dall’équipe del Tisettanta Design Lab, e che in fondo già prelude all’utilizzo della cucina in chiave multitasking sperimentato durante i lockdown. Il matrimonio con Tisettanta non ha fatto che perfezionare la visione della casa intesa come un microcosmo di mobili belli, funzionali e integrabili. E i risultati economici hanno confermato la validità del concept. “Nel 2020 Elam, che ora si chiama Elam Systhem, ha consolidato 5 milioni di fatturato e punta ai 7 nel 2022, con l’obiettivo di stabilizzarsi intorno ai 10 milioni nei prossimi tre anni”, annuncia Fabrizio Pedrazzani, che è anche Company Director di Tisettanta London. “Se, anche grazie alle cucine, gli Stati Uniti oggi sono il nostro primo mercato di riferimento, a seguire arrivano Svizzera e Gran Bretagna. E in Europa come oltreoceano, la carta vincente rimane il custom made, che rappresenta il 90% della nostra produzione”. In Tisettanta ci tengono a sviluppare un rapporto più diretto con l’utente finale, avendo come tramite l’architetto: “È anche per questo che in via Fatebenefratelli a Milano si è deciso di aprire non il classico showroom su strada, ma uno spazio da visitare su appuntamento, con personale Tisettanta che collabora con i progettisti o si mette a disposizione del rivenditore che accompagna il cliente. Nel frattempo, procedono i lavori di ristrutturazione del polo di Shangai e si sta cercando di accelerare l’apertura dell’antenna di Los Angeles che, dopo lo stop dovuto all’emergenza sanitaria, dovrebbe essere inaugurata nel 2022”.
MDF ITALIA E ACERBIS: GUARDARE AVANTI, SENZA PAURA
Nel 2022 MDF Italia doppierà la boa del trent’anni di attività. “Un traguardo importante, che già molto prima della pandemia ci aveva spinto a studiare la rapida mutazione dei modi dell’abitare e a riflettere su come rispondere al nuovo tipo di domanda che stava emergendo sul mercato, comunicando il nostro prodotto in maniera ancora più in sintonia con le attese di una clientela colta, cosmopolita, inter generazionale ma soprattutto non ostentativa”, puntualizza Frederik Billiau, CEO di MDF Italia. È proprio sulla base di questo background che, nel 2019, matura l’acquisizione di Acerbis, una delle realtà italiane più longeve nel comparto dell’arredamento. “Dietro a un marchio storico c’è sempre un grande archivio. Ma poi ci sono anche i pensieri, le intuizioni. E ci sono soprattutto le persone. Non a caso si è fortemente voluto che Enrico Acerbis, figlio di Lodovico, quarta generazione della famiglia e già ai vertici dell’azienda prima del reset, entrasse in MDF Italia come ambassador del brand, per creare un trait-d’union fra una storia imprenditoriale iniziata 150 anni fa e la strada che ora c’è da percorrere insieme”.
L’avventura degli Acerbis comincia nel 1870 ad Albino, un piccolo paese incastonato fra le montagne bergamasche della Val Seriana, quando il bisnonno Benvenuto Acerbis, falegname, tappezziere e artigiano poliedrico, apre la sua prima “fabbrica di mobiglia a motore elettrico”. Più tardi, dagli anni Sessanta, sarà l’erede Lodovico Acerbis a introdurre, negli stabilimenti di Seriate, una produzione industriale avveniristica per i tempi, traghettando di fatto l’azienda in una posizione di rilievo nel settore dell’arredamento. In questo periodo prenderanno quota le collaborazioni con alcuni dei più innovativi designer italiani del Dopoguerra – da Giotto Stoppino a Vico Magistretti, da Nanda Vigo a Gianfranco Frattini – e stagione dopo stagione arriveranno sideboard, tavolini, librerie e mobili contenitori che sono stati esposti al Moma e il Victoria & Albert Museum di Londra. La recente acquisizione di Acerbis, tuttavia, non ha nulla a che vedere con le operazioni-nostalgia che spesso mascherano il rilancio delle collezioni d’antan. “La scelta di riproporre un pezzo di Magistretti non può essere una semplice scommessa commerciale”, conferma il CEO di MDF Italia, azienda che per il 2021 punta ad arrivare intorno ai 18 milioni di fatturato, consolidati su mercati per l’80% europei. “Abbiamo come obiettivo una crescita importante e da qui il rilancio del marchio Acerbis che, grazie alla nomina dei direttori creativi Francesco Meda e David Lopez Quincoces e alla nuova visione creativa del brand, ha lanciato Remasters, che già nel nome rivela l’intenzione di rimasterizzare alcuni landmark dei maestri presenti nell’archivio”.
Con una prima capsule che rivisita pezzi come il tavolo Maestro di Gianfranco Frattini, la cassettiera Storet di Nanda Vigo o la credenza Sheraton di Acerbis – Stoppino, Compasso d’oro nel 1979, laccata ex novo coi colori ispirati dalle Jaguar e Porsche d’epoca, il progetto, interamente realizzato in Italia, ha fatto centro: raddoppiando il volume d’affari nel giro di un anno e puntando a chiudere a 2 milioni il 2021, con un’equa ripartizione dei mercati (50%) fra Europa e overseas.
C’è da scommettere che le creazioni della new wave di Acerbis diventeranno ben presto dei nuovi classici del made in Italy. Con qualche distinguo: “Oggi in un oggetto di design si cercano una storia e un valore che vanno al di là del prezzo e dell’etichetta che ne certifica la provenienza”, avverte Billiau. “L’estetica, da sola, non basta più. Oltre che su un disegno contemporaneo, bisogna poter contare su un’anima sostenibile: ne è un esempio la collezione Neil di Jean Marie Massaud per MDF Italia, una famiglia di sedute completamente disassemblabili e riciclabili. Anche se poi, in fondo, un bel mobile che dura nel tempo, magari quarant’anni e oltre, è già sostenibile per definizione”. Il passato, una volta di più, ha ancora molto da insegnare.