Mario Bellini architects crea filiali temporary nel mondo, gestite da una struttura di dodici persone a milano, per seguire i nuovi progetti senza caricarsi di costi. I danni del “no show”.
Ci sono due grosse difficoltà da affrontare quando si parla di Mario Bellini. La prima è sintetizzare una carriera iniziata negli anni Sessanta, che gli ha fruttato ben otto volte il Compasso d’Oro; non basterebbe lo spazio a nostra disposizione, chi vuole può consultare Wikipedia o meglio ancora il suo sito. La seconda è immaginare che un giorno possa ritirarsi dalle scene. Durante la master class tenuta a Shanghai nell’edizione 2017 del Salone del Mobile, abbiamo osservato un professionista con lo sguardo costantemente rivolto al futuro, pronto a cimentarsi con un mondo in forte evoluzione, nella fattispecie quello cinese, senza preoccuparsi dei suoi 83 anni. In effetti, Bellini è un fiume in piena soprattutto quando racconta il modello organizzativo del suo studio, basato sull’idea di una presenza temporary nelle piazze dove convergono le attività di progettazione, tenendo una base fissa ma al tempo stesso agile su Milano. Il pensionamento per ora non è contemplato, ma la domanda “che ne sarà del suo studio”, per quanto impertinente, è d’obbligo e il fondatore non si sottrae dal dovere di una risposta, dovere non tanto nei nostri confronti, quanto verso la community degli architetti e delle aziende che lo stanno accompagnando in questo lungo viaggio. “Gli scenari possibili – spiega Bellini a Pambianco Design – sono due: o l’attività verrà portata avanti dal mio vice (il senior architect Raffaele Cipolletta, ndr), che possiede tutto il sapere necessario per continuare, oppure lo studio dovrà chiudere. Molto dipenderà dalle circostanze, perché questo è un mondo dove non sempre, purtroppo, i progetti realizzati si concretizzano. Anzi, direi che la mancata realizzazione dei progetti rappresenta uno dei grandi mali del nostro mestiere”. Se Bellini ha scelto un modello organizzativo che definisce quello degli ‘studi volanti a soffietto’, contrapponendolo allo ‘studione’ con decine di filiali internazionali posizionate sui cosiddetti mercati chiave della progettazione, la ragione è in parte legata alle cattive abitudini dei committenti, che siano di parte pubblica o privata.
È qualcosa di analogo al ‘no show’ della ristorazione, il danno generato dal cliente che prenota e poi non si presenta. Accade un po’ ovunque, particolarmente in Italia (ma la Cina e il Medio Oriente non fanno eccezione), di essere interpellati per sviluppare un’idea, portandola avanti con la realizzazione di rendering talvolta avanzati, spendendo tempo e risorse per poi non ottenere neppure la cortesia di una risposta. È l’equivalente della richiesta di preventivo, destinato a cadere nel vuoto… ma nel caso degli studi di architettura, il tempo necessario per la formulazione è ben più importante. Ci si può tutelare con contratti e penali, ma quando l’attività di progettazione è rivolta all’estero diventa piuttosto difficile (e costoso) recuperare il denaro dovuto. Inoltre, nel momento in cui la struttura dello studio si appesantisce, è indispensabile intercettare nuovi progetti anche in assenza di adeguate remunerazioni, perché una struttura va mantenuta e utilizzata. Mario Bellini Architects oggi dispone di uno staff composto da dodici persone, ma ai tempi in cui progettò il Portello di Fiera Milano, erano gli anni Ottanta, arrivò a contare una cinquantina di collaboratori. La fama acquisita in Italia gli avrebbe aperto nuove opportunità all’estero; furono proprio quelle opportunità, con i rischi collegati, a convincerlo che occorreva crescere in maniera più agile, creando studi di supporto laddove vi fossero le attività in corso. Lo studio di Parigi è stato uno dei più longevi. “La realizzazione del Département des arts de l’Islam al Louvre – racconta l’architetto – è passata attraverso tre presidenti della Repubblica, da Chirac a Sarkozy fino a Hollande, e mi ha offerto una soddisfazione enorme”.
Altri studi sono stati creati nel tempo a Melbourne, Essen, Pechino. Ora le ‘cellule’ esterne dell’attività di Bellini sono posizionate a Roma per la realizzazione dell’Antiquarium Forense nel cuore archeologico dei Fori Imperiali, a Trieste per la Generali Academy e a Genova per il parco scientifico e tecnologico da edificare nella collina degli Erzelli. All’estero, invece, ci sono aree residenziali in arrivo nell’area del Golfo Persico e la eco city di Zhejiang in Cina. E non sempre il grado di soddisfazione si avvicina a quello raggiunto per il progetto del Louvre. “Se tutti i concorsi vinti diventassero effettive realizzazioni, la vita sarebbe più facile”, sottolinea Bellini, citando il caso di Torino: nel capoluogo piemontese, a cantiere già aperto, la mancata copertura finanziaria (conseguenza delle spese sostenute per le Olimpiadi invernali del 2006) compromise un’opera per cui lo stesso Studio Bellini aveva ottenuto la direzione lavori. “Quando ciò accade, è come se venisse a mancare un figlio”, afferma l’architetto. E i mancati introiti sono l’ulteriore spiacevole conseguenza. “I progetti non realizzati originano un danno stimabile tra il 20 e il 30% del fatturato totale”, sostiene Bellini. Oltre alle mancate realizzazioni, andrebbero considerate le spese aggiuntive legate alle revisioni di progetti già consegnati, come nel caso della Generali Academy (passata attraverso il cambio di più amministratori delegati del gruppo assicurativo), e quelle legate ai ritardi nelle gare (vedi Roma Antiquarium). “Sono situazioni frustranti ma non ci perdiamo d’animo”, conclude Bellini, che proprio in Cina si appresta ad aprire un nuovo studio ‘temporary’ per seguire i suoi nuovi progetti nella zona dei monti Huangshan.
di Andrea Guolo