La filiera lapidea si rinnova grazie al personale capace di gestire macchinari all’avanguardia, alla valorizzazione dei materiali di risulta e al recupero dei siti dismessi. Anche in chiave culturale.
Su un totale di 4.168 cave autorizzate in Italia, comprese quelle di sabbia, ghiaia e calcare (come riporta il Rapporto Cave 2021 di Legambiente), le attività estrattive legate a pietre di pregio e marmi oggi interessano (fonte Istat) 761 siti e circa 5700 addetti, per una produzione di oltre 6,2 milioni di metri cubi l’anno.
In base ai dati raccolti dall’UNSD Commodity Trade, fra il 1994 e il 2020 il nostro Paese è sempre stato primo o secondo al mondo, in alternanza con la Turchia, per l’esportazione di blocchi di marmo, travertino e alabastro non lavorati: i mercati di sbocco sono rappresentati principalmente dai Paesi del Golfo, Cina e Russia (prima del conflitto con l’Ucraina), Stati Uniti e Gran Bretagna. I numeri fotografano un comparto diversificato, che fin dall’epoca romana rappresenta uno dei fiori all’occhiello del made in Italy e che, negli ultimi decenni, si è trasformato nel segno della meccanizzazione e della specializzazione: le imprese del settore lapideo, infatti, si occupano sia delle fasi di estrazione, sia, soprattutto, dei processi di taglio, modellatura e finitura dei vari tipi di pietre ornamentali provenienti da tutto il mondo, oltre a quelle nazionali che, in base all’inventario contenuto nella norma UNI EN 12440, sono oltre 280. In aggiunta, per dovere di completezza, andrebbero considerate le aziende che commercializzano i materiali e producono strumenti per l’estrazione e la lavorazione.
La pietra italiana continua a essere leader nel mondo
Se si analizza la mappa delle cave di pietra e marmi, suddivise per provincia, si evidenziano undici macro aree estrattive d’eccellenza, a cui si aggiungono numerose altre micro aree, ciascuna caratterizzata dalla presenza di vene e giacimenti lapidei peculiari: si va dal comprensorio lombardo (BG-BS-SO) ai distretti del Veneto (VR-PD-VI) e delle pietre trentine (TN), dai comprensori della Pietra Naturale dell’Alto Adige (BZ) alle aree del Verbano-Cusio-Ossola (VB) e della Pietra di Luserna (CN-TO); scendendo verso sud, s’incontrano i comprensori apuo-versiliese (MS-LU-SP, insieme al resto della Toscana, FI-SI-GR), dei Monti Ausoni-Tiburtina (Travertino Romano, FR-RM), i distretti lapidei pugliese (BA-FG-LE-BT-LE) e di Custonaci (TP), per terminare, in Sardegna, col distretto dei marmi di Orosei e dei graniti (NU-SS). Si tratta, nella maggior parte dei casi, di cave ‘di monte’ (salvo alcuni casi isolati, come per esempio a Tivoli, dove le cave sono ‘a fossa’ e si estrae la pietra a scendere).
La gestione del giacimento spesso si tramanda in famiglia
“I maggiori siti d’estrazione, che in genere sono attività a gestione familiare tramandate da generazioni, sono stati potenziati nei primi decenni del Novecento. A partire dal secondo Dopoguerra si è poi avviato il processo di industrializzazione delle cave più produttive, dismettendo quelle meno estese”, spiega Grazia Signori, geologa, già professore a contratto per le università di Milano Bicocca e Cattolica di Brescia e Piacenza, e dal 2015 coordinatore del gruppo di lavoro normativo nazionale dedicato alle pietre naturali, l’UNI/CT 033/GL 20 ‘Pavimenti e rivestimenti lapidei’. “La materia è tuttora disciplinata da un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927, mentre con il DPR 616/1977 le funzioni amministrative relative alle attività di cava sono state trasferite alle Regioni, ma nessun altro provvedimento ad hoc è stato emanato a livello nazionale”.
L’ente che sovrintende alla gestione delle cave è il servizio cave regionale, che gestisce tutte le operazioni di Polizia Mineraria e che rilascia, a fronte del pagamento di un canone, la concessione per la ‘coltivazione’ della cava solo quando il giacimento, che è comunque una risorsa non rinnovabile e di proprietà statale, ha una potenzialità a lungo termine, in modo da scoraggiare attività predatorie: “Per ottenere il nullaosta, il concessionario deve redigere un piano di coltivazione trentennale, dichiarando la quantità del prelievo previsto, e depositare un piano di recupero del sito, in cui indicherà le modalità di ripristino nel rispetto delle normative ambientali allocando le risorse necessarie”, precisa Signori, che è anche product specialist Mapei per i sistemi per la posa di pavimentazioni architettoniche di pietra, “ma quando si parla di sostenibilità delle cave occorre tenere conto di più fattori. In primo luogo, la vocazione turistica del nostro territorio può suggerire soluzioni alternative, come è accaduto per esempio per la cava del Ceppo di Grè sul Lago d’Iseo, riconvertita già trent’anni fa alla gestione sotterranea per rendere più virtuosa la coesistenza con la fruizione del territorio lacustre e ridurre l’impatto paesaggistico e ambientale. Inoltre, le pietre ornamentali godono già del vantaggio di non essere ‘prodotti di fabbrica’, poiché nella materia prima, creata dalla natura nei tempi geologici, c’è già il prodotto finale: il ciclo produttivo, infatti, consiste nella sola trasformazione dei blocchi in lastre e manufatti attraverso segagione, finitura superficiale, sagomatura e rifinitura. Si tratta di lavorazioni meccanizzate che consumano energia: per questo spesso sono effettuate di notte e sempre più si usa energia da fonti rinnovabili”.
Il segmento degli agglomerati lapidei diventa ancora più strategico
È poi fondamentale mettere a punto metodiche per il recupero degli scarti e la loro riduzione: “In un’ottica di economia circolare ante litteram, da sempre il settore è ‘gemellato’ con quello degli agglomerati lapidei, che a partire dai frammenti di pietra ottiene nuovi prodotti”, prosegue la geologa. “Oggi, inoltre, i processi di resinatura sottovuoto – la tecnologia con cui si consolidano preventivamente materiali fragili come onici e quarzi, che potrebbero rompersi in fase di taglio – permettono una significativa riduzione degli sprechi. Non ultimo, anche la formazione di personale capace di destreggiarsi con macchinari a elevata automazione assume un’importanza strategica e, in tal senso, l’Italia può contare sulle storiche scuole dei mestieri della pietra di Carrara e Sant’Ambrogio di Valpolicella, realtà da sempre impegnate per addestrare i giovani”.
Una ex cava fra i monti dell’Ossola rinasce come teatro all’aperto
Secondo il Rapporto Cave 2021 di Legambiente, al momento in Italia sarebbero più di 14mila i siti estrattivi abbandonati: per molti di questi non è stato previsto il piano di ripristino ambientale, col rischio che diventino discariche abusive. Non mancano, per fortuna, gli esempi in controtendenza: basta citare i casi del Parco delle Cave a Milano, dove l’area un tempo occupata da giacimenti di sabbia e ghiaia è stata trasformata in un polmone verde a disposizione della comunità, o quello delle Cave di pietra calcarea di Pila a Trento, aperte al pubblico come museo a cielo aperto. Il modello di recupero della vecchia cava di gneiss di Oira, frazione di Crevoladossola fra le montagne della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, rappresenta invece un caso a sé. Circondato da boschi, vigneti terrazzati e antichi borghi in pietra, l’ex sito industriale della Cava Roncino è stato infatti riconvertito in un teatro permanente en plein air attraverso un percorso di rigenerazione ambientale: un esempio virtuoso di come una criticità territoriale possa diventare un volano di sviluppo e di aggregazione per le comunità locali. E non solo.
Il progetto di Tones Teatro Natura – un teatro all’aperto immerso nel paesaggio – prende forma nel 2020, “mentre i teatri di tutto il mondo erano stati costretti a chiudere a causa della pandemia”, ricorda Maddalena Calderoni, direttore artistico di Tones on the Stones, la Fondazione piemontese che si occupa della produzione di spettacoli dal vivo e che dal 2007 promuove un fortunato festival nelle cave attive. “Stones Teatro Natura è uno spazio multidisciplinare dedicato non solo allo spettacolo dal vivo, ma anche alle attività educational e ai temi ambientali e creativi, e si occupa di innovazione culturale, cura e benessere delle persone. Al di là degli eventi organizzati durante i mesi estivi, che spaziano dalla classica al pop, dal teatro al circo, la stagione si allunga sempre di più: a settembre, per esempio, il calendario di Campo Base Festival prevede incontri e workshop esperienziali e artistici che hanno come mission la sensibilizzazione sui temi della sostenibilità e il recupero del rapporto fra uomo e natura in linea con i valori dell’Agenda 2030, mentre RiGenerAzioni, un progetto educational destinato agli allievi delle primarie e secondarie di primo e secondo, fra aprile e maggio 2023 ha coinvolto oltre 700 partecipanti, e sarà sviluppato per l’anno scolastico 2023-2024 con un target di 1500 studenti”.
Un team di partner specializzati per un risultato d’eccellenza
La sfida per la riqualificazione site-specific ha coinvolto numerosi player: fra i molti, per esempio, Assograniti, Aedes costruzioni e Holcim, che hanno scelto di utilizzare il calcestruzzo green EcoPlanet, CM Srl Multimedia Entertainment Engineering Design, che ha avvicinato a Tones Teatro Natura alcuni dei più importanti brand nel campo dei materiali elettrici, dell’illuminotecnica e dei multimedia, fra i quali Epson, Gewiss, Audio Sales, Telesystem, e fra le new entry del 2023 anche Enel, con l’obiettivo di installare un impianto da rinnovabili, mentre per la realizzazione della torre scenica, utilizzabile anche come postazione birdwatching e per l’illuminazione permanente architetturale, Maeg Costruzioni Spa ha collaborato con Duferco e IGuzzini. Con uno stanziamento di poco più di 500 mila euro provenienti anche da finanziamento su bando di fondazioni di origine bancaria, e grazie alla rete di privati che hanno offerto prodotti, servizi e competenze in kind, Tones on the Stones ha più che raddoppiato l’investimento e reso operativo lo spazio in meno di due stagioni.