L’arredamento da esterni sta vivendo un momento d’oro tra ordini legati ai privati e commesse contract, grazie anche al traino dei designer. Ma per le aziende il vero nodo è la gestione dello stock.
Un tempo c’era il balcone. Per chi viveva in appartamento e difficilmente avrebbe potuto permettersi, per questioni architettoniche, uno spazio verde oltre le pareti di casa dove gettare lo sguardo d’inverno e godersi il relax d’estate, il balcone era la (piccola) congiunzione con il panorama esterno da arredare con il cosiddetto verde da appartamento. La regola, non scritta, era questa: prima veniva la casa. Così il privato o il professionista allocavano tra le varie stanze, dalla cucina, al salotto e alle camere, gran parte del budget destinato all’arredamento, sia che si optasse per un livello medio sia che si volesse un design esclusivo. Poi qualcosa è cambiato. Le aziende specializzate nell’arredamento da esterni la definiscono rivoluzione copernicana o nuovo Eldorado. In poche parole, c’è stata una vera e propria scoperta dell’outdoor che ha portato a un’impennata di richieste di elemento di arredamento da esterni. Quel che è successo lo spiega Maurizio Makovec, communication manager di Unopiù, una delle principali aziende del settore outdoor da circa trentacinque milioni di euro di turnover. “Fondamentalmente possiamo dire che è cambiato lo stile di vita delle persone. Trascorrere del tempo in giardino o in terrazzo è più gratificante. Anche l’architettura lo ha capito e ha destinato più metratura alla parte esterna. Ora tutte le case di nuova costruzione sono caratterizzate da logge o terrazzi importanti”. Primo punto di partenza di questa rivoluzione è quindi lo spazio. Che prima era limitato e ora diventa una nuova stanza da vivere, al pari di quelle interne. E qui entra in gioco il secondo aspetto. Se l’esterno acquista dignità come estensione, va da sé che lo acquista anche per la scelta di arredamento. Tanto che, negli ultimi anni, molte delle aziende specializzate nella proposta da indoor, hanno iniziato a creare collezioni per gli spazi outdoor proponendo prodotti con un design elegante e un alto contenuto tecnologico e funzionale, questo anche per essere sempre più competitivi sui progetti contract.
IL DESIGNER ESCE ALLO SCOPERTO
Il meccanismo che ha scardinato il sistema è stato l’ingaggio di designer dell’arredo da interni. A partire dai primi anni Duemila, tutti i marchi dell’arredo da esterni hanno chiamato nomi più o meno noti al grande pubblico. “Ormai si era aperta una breccia e anche l’esterno voleva la firma del designer”, commenta Stefano Zajotti, direttore della comunicazione di Emu, marchio storico dell’arredo outdoor italiano che è stato acquisito un anno fa da una cordata di imprenditori guidata da Finconcordia. “Anche noi non volevamo essere certo da meno e abbiamo fatto firmare alcuni pezzi da nomi del calibro di Patricia Urquiola e Jean Nouvel”. Strategia simile anche per l’azienda umbra Talenti, che ha puntato sul legame con designer noti come Marco Acerbis e Ramon Esteve. “Attenzione, però, perché la firma del designer famoso deve sempre coniugarsi con la qualità, le prestazioni e l’estetica del prodotto”, precisa Fabrizio Cameli, presidente e fondatore di Talenti. Roda è un’altra delle aziende pioniere del comparto in Italia. Nata a Varese negli anni Novanta, è nel 2004 che compie il salto di qualità. “Ad un certo punto Roberto Pompa, mio padre, decise di aprire metaforicamente la porta finestra che divideva i due mondi, l’interno e l’esterno, individuando nell’architetto Rodolfo Dordoni la figura a cui affidare la progettazione di collezioni”, racconta Davide Pompa, marketing and sales director della realtà da 16,5 milioni di euro di ricavi. Non si tratta solo di legare un prodotto a un nome di richiamo a livello internazionale, ma di coniugare paradigmi del mondo indoor a quello outdoor. “Vuol dire rivedere le finiture, la grandezza dei divani, dei tavoli, solo per fare qualche esempio. È una macchina che si è dovuta ritarare per quel che ha potuto. Perché la grande differenza tra i due mondi è quella della stagionalità, un concetto basilare e che non esiste nell’arredo da interni”, sottolinea Pompa.
LO STOCK, OVVERO L’ASSO NELLA MANICA
Sono due i periodi ‘caldi’ nei quali si accumulano gli ordini e la velocità nell’evaderli fa la differenza. “Nel residenziale si va da febbraio a maggio, nell’hospitality si parte prima, anche a settembre in modo tale da avere per marzo i prodotti già pronti e allestiti negli hotel, resort e strutture ricettive in genere”, ha spiegato Valeria Lanzilotta, vice president of sales per l’Europa di Janus et Cie, il marchio da 100 milioni di dollari di turnover, fondato nel 1978 da Janice Feldman ed entrato nel 2016 nella galassia del Gruppo Poltrona Frau. Va da sé che per una azienda di outdoor il magazzino è stato fin da subito un elemento chiave per poter garantire i livelli di efficienza richiesti dal mercato. “Anche dieci giorni se la merce è in stock mentre se occorre produrre pezzi particolari contiamo di realizzarli tra le sei-otto settimane negli Stati Uniti ed entro sei mesi in Europa”, ha aggiunto Lanzilotta. Non tutte le aziende hanno le stesse tempistiche, ma in generale si può dire che se per gli ordini di mobili si attende solitamente dalle sei alle otto settimane, gli arredi da giardino devono essere subito pronti in magazzino. Di conseguenza, nelle aree adibite a stock, entro febbraio devono essere pronti migliaia di articoli di arredamento per essere tempestivamente spediti. E, si sa, per le aziende il magazzino è un’arma a doppio taglio perché da una parte comporta costi per la gestione operativa degli spazi e del personale, e, dall’altro, il rischio di vederli comparire a bilancio nel caso in cui si trasformino in rimanenze. Per chi vuole mantenere una solida presenza nel mondo outdoor gli investimenti per il magazzino e per la produzione industriale sono tuttavia un obbligo per due motivi. Perché la produzione interna consente maggiore elasticità rispetto all’uso di fornitori esterni. E per la crescente tendenza alla customizzazione degli articoli in catalogo e di proposta di un numero infinito di varianti dello stesso modello. “Stiamo studiando un progetto per abbattere i costi e allo stesso tempo gestire varianti sempre più ampie – aggiunge il numero uno di Roda -. Come? Attraverso uno stock di magazzino di semilavorati che poi ultimiamo internamente”. Ogni azienda, certo, sta cercando di trovare la propria strategia per consentire di trovare la quadra di fronte a parametri così differenti, ma c’è una cosa che sta accomunando i marchi di outdoor ed è la crescita, in molti casi esponenziale, dell’ambito contract. Per alcuni già rappresenta il 50% del turnover. È il caso di Ethimo o di Janus et Cie che vanta un lungo elenco di progetti tra hotel, golf club, educational e arredo urbano, mentre Unopiù e Talenti sono in piena fase di sviluppo. “Dipende poi anche da quali mercati prendiamo il considerazione – sottolinea Valeria Lanzilotta di Janus et Cie – In Italia, per esempio, i quantitativi sono più piccoli. Lungo lo Stivale vince il residenziale che ha più varietà”. Ancora più elevata l’asticella di Emu “Nel nostro caso – aggiunge Emu – si arriva anche al 70% perché alla fascia hospitality aggiungiamo anche quello che noi definiamo street contract, arredi cioè per caffetterie, ristorazione veloce o comunque in generale per quegli esercizi commerciali affacciati su strada”.
DI CORSA AL NORD
La corsa al contract non è l’unica novità alla quale si devono preparare le aziende di outdoor. L’altra spinta importante è quella legata ai nuovi mercati da presidiare che si affiancano ai tradizionali bacini dell’Europa e degli Stati Uniti. Se è vero che l’equazione outdoor e aree geografiche baciate dal sole e dalle condizioni metereologiche più miti è presto fatta, la sorpresa in termini commerciali arriva dalla Svizzera e dai paesi scandinavi. “Soprattutto Svezia – aggiunge Gian Paolo Migliaccio, fondatore e AD di Ethimo, azienda viterbese da oltre 10 milioni di euro di ricavi circa – Sono aree che hanno una forte cultura del design e ci tengono ad avere uno spazio esterno ben arredato, seppur potendolo godere per un periodo limitato all’anno. Il buon momento del settore outdoor sta proseguendo e anche noi manteniamo livelli di crescita elevati”. Essendo un ambito ancora in fase di crescita, la nuova geografia dell’outdoor è ancora a macchia di leopardo, spingendosi più in là, verso la Turchia, la Russia (“è la nostra scommessa”, aggiunge Zajotti di Emu), l’Australia (“abbiamo appena aperto un rivenditore, è un’area chiave per calibrare il concetto di stagionalità”, sottolinea Makovec di Unopiù) per alcuni, anche in Medio Oriente e Far East, aree queste più legate alle importanti commesse del segmento contract e soprattutto hospitality.
SPAZIO AI MULTIMATERIALI
Il futuro? Difficilmente ci saranno rivoluzioni nelle lavorazioni o nei materiali. Il fatto stesso che si tratti di prodotti che devono durare nel tempo, alla mercé dei più disparati agenti atmosferici mette già dei vincoli piuttosto stringenti all’uso di elementi deteriorabili. Ma se è vero che è dalla difficoltà che nascono le idee più illuminanti, l’arredamento da esterni non è immune dalla costanza ricerca di qualcosa di nuovo. La nuova tendenza è quella di abbinare diversi materiali assieme. Non solo legno di teak o ferro, ma anche corde sintetiche, intrecciati e tessuti sintetici. “Questi – ha aggiunto Migliaccio – sono nel mirino di tutti i dipartimenti di ricerca e sviluppo. L’obiettivo è dare vita a varianti tessili che possano garantire alte performance ma che esteticamente non siano da meno rispetto ai tessuti indoor”. di Milena Bello