Dopo due anni di pandemia in laguna si torna ad essere più sereni e le attese indicano un’affluenza superiore a 600 mila visitatori con un riflesso positivo sui conti della Fondazione.
Dopo due anni di attesa potremo ammirare le proposte artistiche delle 81 Partecipazioni Nazionali alla 59esima edizione della Biennale di Venezia (fino al prossimo 27 novembre) negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nelle sedi sparse tra le calli che raccontano di decolonizzazione, di innovazione sociale, dell’identità dei popoli e delle culture mentre in altri padiglioni il riferimento è all’architettura come uno strumento di alterazione dello spazio. Emerge tuttavia anche un’altra tendenza che da un po’ di tempo domina il sistema dell’arte, ovvero la prevalenza del genere femminile.
IL VALORE ARTISTICO
Ne sono un esempio il Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale, Sonia Boyce, prima donna di origine afro-caraibica a rappresentare la Gran Bretagna che poco prima dell’apertura della manifestazione cercava di capire cosa significasse rappresentare il suo paese nell’attuale contesto. La sua opera “Feeling Her Way” fonde video, collage, musica e scultura e celebra il dinamismo collaborativo di cinque musiciste nere. Ma anche Simone Leigh, prima artista donna nera a rappresentare gli Stati Uniti che ha vinto il Leone d’Oro quale miglior artista alla Mostra Internazionale ’Il latte dei sogni’ scelta dalla curatrice Cecilia Alemani per l’apertura e la conclusione del percorso all’Arsenale con le sue sculture monumentali che ritraggono le donne afro come enormi idoli. A conferma di questo fil rouge Zineb Sedira prima artista araba di origini berbero-algerine a rappresentare la Francia e solo la quarta donna dall’istituzione del padiglione nel 1912. Il suo lavoro per la Biennale ‘Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles’ si basa su un’analogia tra la filmografia italiana e quella francese per indagare il potere politico del cinema.
UN’ATTESA DURATA DUE ANNI
Da sempre il vero punto di forza e nucleo centrale della Biennale di Venezia è la mostra principale e ancor di più per questa edizione. Con una gestazione più lunga del normale a causa della pandemia ‘Il latte dei sogni’ è una mostra progettata e organizzata in modo virtuale con colloqui a distanza e riunioni via zoom da Cecilia Alemani, prima curatrice italiana nella storia della Biennale, che hanno sostituito il consueto lavoro di sopralluoghi per incontrare gli artisti nei loro atelier, vedere ed esaminare dal vivo la loro produzione artistica. Se i limiti e le restrizioni sono stati notevoli e fonte di disagio, allo stesso tempo Alemani, ha avuto a disposizione un periodo di tempo molto più lungo, una condizione insolita che si è verificata solo altre due volte nella storia della Biennale a causa delle due Guerre Mondiali. Questo tempo dilatato, sospeso, paragonabile a quello che abbiamo vissuto durante il lockdown, si è riflesso nella costruzione della mostra arricchendola di continui rimandi attraverso i numerosi collegamenti interdisciplinari e storici, sulla falsariga dei link a cui siamo abituati quando navighiamo in una pagina virtuale.
‘Il latte dei sogni’, che prende spunto da un libro di favole di Leonora Carrigton, non è da considerare una mostra sulla pandemia anche se, inevitabilmente, ne è una testimonianza, e ci mette di fronte alla fragilità dell’essere umano, all’importanza delle relazioni sociali. Dalle opere alle Corderie dell’Arsenale e al Padiglione Centrale ai Giardini, emerge una realtà in continua trasformazione che viene descritta nel rapporto tra l’essere umano e la terra, quello con la tecnologia, la metamorfosi e la fluidità dei generi, ma l’aver invitato quasi solo donne (il genere femminile rappresenta l’80% degli artisti) in una mostra di così ampia portata assume un valore artistico molto significativo che non potrà non lasciare un segno. La curatrice non ha abbracciato solo l’universo femminile contemporaneo, ovvero l’arte del presente, ma ha proposto un nutrito numero di riscoperte che vanno dalle avanguardie del ‘900 alle nuove leve del contemporaneo, senza dimenticare i movimenti degli anni Sessanta e Ottanta. La mostra pertanto diventa anche un’occasione per rivalutare artiste che sono state trascurate dal sistema dell’arte e che ora tornano finalmente sotto i riflettori, con conseguente crescita dei valori economici.
IL VALORE ECONOMICO ATTESO
Al di là di tutte le considerazioni curatoriali non dobbiamo dimenticare che la Biennale per l’Italia rappresenta un valore economico importante per la ricchezza che produce e come ha voluto sottolineare il ministro della Cultura, Dario Franceschini, “questa edizione è davvero importante in quanto segna la ripartenza dopo il periodo difficile della pandemia e come dimostra il numero di prenotazioni già arrivate, sarà di grande successo”. In effetti, dopo due anni di pandemia in laguna si torna ad essere più sereni. Un progressivo ritorno alla normalità era già stato registrato lo scorso anno in occasione della Biennale di Architettura che pur con le limitazioni legate al Covid è stata da record con 300 mila presenze, superando i visitatori dell’edizione 2018. Per la Biennale Arte sono attesi oltre 600 mila visitatori. Sul piano economico la mostra principale ‘Il latte dei sogni’ è sicuramente impegnativa. Le indiscrezioni indicano un costo pari a circa 18 milioni di euro che in parte viene giustificato dalla maggior incidenza dei costi come quelli dei trasporti, e alle misure aggiuntive legate anche all’emergenza Covid. I conti economici della Fondazione sono in salute con un avanzo positivo di circa 5 milioni di euro e un’ipotesi di chiusura conti 2022, come risulta dal budget previsonale, in utile per circa 2,5 milioni di euro. “Tutto dipenderà naturalmente dall’ulteriore evoluzione del virus, ma ci aspettiamo effettivamente una forte risposta del pubblico” come ha affermato Roberto Cicutto, presidente della Fondazione La Biennale di Venezia.