Un polo museale che è diventato riferimento internazionale. James Bradburne si considera ‘un giardiniere fortunato’, che ha reso possibile la crescita di una realtà dalle enormi potenzialità, sviluppate grazie al contesto e al periodo storico in cui si è trovato ad operare.
Museologo e ‘concepteur’, James Bradburne è stato riconfermato per il suo secondo mandato alla direzione della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Braidense dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo Dario Franceschini. Per altri 4 anni, sarà alla guida di uno dei più importanti siti culturali statali italiani.
QUESTIONE DI NUMERI. MA SOLO DI QUELLI VERAMENTE INTERESSANTI
Per la conferma del suo mandato sono stati pubblicati numerosi approfondimenti su riviste di diversi settori. Tutte riportano un dato positivo: l’aumento del 40% dei visitatori sotto la direzione di Bradburne. Farglielo notare sembra però quasi un insulto, perchè non è secondo lui un dato che parla davvero della crescita e del successo di un museo. “Ritengo sia un grave errore quello di utilizzare questa percentuale come misura della qualità e della tipologia di visitatori che visitano Brera – afferma James Bradburne a Pambianco Design – I numeri sono utili, ma spesso vengono presi in considerazione quelli che servono a poco. Se consideriamo solo il numero dei visitatori, questo è un dato variabile poco interessante perchè è soggetto a cambiamenti che spesso non dipendono dal museo stesso. Pensiamo a questo Coronavirus e alla chiusura forzata dei musei delle nostre città. Di certo se la percentuale di visite decresce rispetto all’anno scorso non è ‘colpa’ del museo, ma di eventi esterni a noi sui quali possiamo intervenire poco. Servono approfondimenti più complessi, in grado di incrociare anche dati che vengono dalla politica, dalla sociologia, dalla storia”. Sostenitore del principio ‘Less is More’, James Bradburne non vede l’aumento dei visitatori come un dato ad ogni costo positivo, anzi, tutt’altro. “Quando leggo del Louvre o degli Uffizi come poli museali con crescita esponenziale delle visite, mi viene da pensare che così si sta uccidendo, non migliorando, l’esperienza di visita. Dobbiamo fare in modo che il museo lavori e abbia il suo ruolo di educatore sociale, che possa continuare a essere luogo di consolazione, evoluzione, e assolutamente non va sfruttato come strumento di massa, altrimenti si distruggerebbe la possibilità di avere un’esperienza trasformativa al suo interno”. Si dice pronto a parlare di numeri, ma solo di quelli interessanti.
BUSINESS MODEL ATTUALE
Bradburne ci parla di come Pinacoteca e Biblioteca Braidense si finanziano e di quello che vorrebbe diventasse un business model reale, partendo da ideali fondati su esperienze e riferimenti internazionali. “Il principio è quello di limitare, sempre, i rischi – commenta – e lo scopo primo è la sostenibilità del business model. Un museo non è un bene di lusso, ma una necessità: è il nostro più importante istituto di memoria collettiva. Se non ci fossero i musei, saremmo costretti ad uno stato di Alzheimer sociale preoccupante”. Prigionieri del nostro presente, non possiamo prevedere cosa accadrà domani o tra 100 anni. Quello che è certo è che serve sempre contenere i rischi per poter sostenere oggi, così come in futuro, istituti come Brera (che per il 2019 registra un bilancio di 15 milioni di euro), considerati luoghi di memoria collettiva. “Per poter gestire bene i rischi – spiega Bradburne – dobbiamo sapere molto bene da dove vengono e quali i sostegni che può avere un museo classico. Per Brera, così come per qualsiasi realtà museale classica, sono tre: pubblico, privato e proprio sostegno. Se voglio puntare a un minimo rischio, sarebbe saggio ripartirlo in modo omogeneo, ma non sempre questo modello è valido e sostenibile”. Giustamente, cita esempi altamente rischiosi come Fondazione Prada, realtà totalmente privata. “Brera è un museo statale ed è sostenuto per il 50 o forse 60% dal pubblico, attraverso due fonti: il pagamento delle risorse umane, gestite interamente dallo Stato e da Roma, e i trasferimenti diretti mirati a progetti precisi come il rifacimento di un impianto, una ristrutturazione. Poi c’è il sostentamento che arriva dai privati – che però di rado decidono di finanziare la manutenzione ordinaria, perché è un progetto poco sexy rispetto al restauro di un’opera. Infine ci sono i ricavi propri del museo, derivati dall’affitto di spazi durante eventi come la Fashion Week o la settimana del Salone del Mobile e dalla vendita dei biglietti d’ingresso al museo”. Alcune tra le difficoltà e i lati negativi dello stato attuale delle cose è la mancanza di autonomia per la gestione del personale da parte del Direttore, e la dipendenza quasi totale dal potere politico: se cambia un governo, possono cambiare molto anche le dinamiche e le decisioni all’interno di un museo, cosa che ad esempio nel modello anglosassone non accade. Il modello ideale è ben lontano dalla realtà di Brera oggi: “La parola chiave dovrebbe essere sempre ‘autonomia’. La combinazione tra l’organizzazione anglosassone e la fondazione potrebbe essere un modello per me ideale. Anche in Inghilterra i musei sono pubblici, ma funzionano diversamente: il direttore del museo chiede un sostegno quinquennale al Governo, che si limita a determinare dei target e degli obiettivi, senza interferire sulla fattibilità e sulle decisioni finali prese dal museo stesso. Il modello della fondazione mi piace per la sua snellezza, ma in Italia è troppo vulnerabile”.
AUTONOMIA MITIGATA MA POSITIVA
In inglese si usa il termine ‘one arm’s length’ ed è esattamente la misura della distanza a cui si dovrebbe tenere la politica all’interno di un istituto culturale. Un braccio di distanza, per non entrare nel merito di questioni pratiche e legate alla dinamica interna di ogni singola realtà. “Il governo non dovrebbe mai essere in grado di intervenire direttamente – commenta – ma in realtà è quello che accade in Italia. Quando sono arrivato, nel 2016, pretendevano l’apertura fino a mezzanotte ogni sabato per portare più giovani tra le sale del museo. La trovavo un’idea poco sostenibile, per cui ho proposto le aperture serali del giovedì, con cui abbiamo registrato dai 4mila ai 6mila ingressi di giovani in una singola serata. Perché? Perché il ‘come fare le cose’ è il nostro mestiere, e non dovrebbe spettare a nessun altro”. Tuttavia, piccoli passi verso l’indipendenza sono stati fatti grazie all’autonomia mitigata acquisita negli ultimi anni. Primo tra tutti, il grande progetto di riallestimento di tutte le sale del museo, il primo mai avvenuto in 40 anni. “Ho voluto chiudere tutto entro ottobre 2018, perché se avessi rallentato e posticipato, si sarebbe fermato il processo – confessa – Abbiamo portato avanti un progetto coerente con l’esperienza di visita attuale; il visitatore oggi vuole un museo accogliente, divertente, educativo, per questo ho voluto riprendere i modelli dei grandi direttori museali che sono passati da Brera, riportando in vita le loro visioni e le loro parole. Qui rispettiamo diversi ritmi: quello lento della collezione, che ha 200 anni e rappresenta 6 secoli di storia; e quello dei visitatori che risponde allo loro esigenze. Quando Brera fu riaperta, dopo la morte di Modigliani, tutto era bianco. Il colore della speranza, del futuro, della ricostruzione, della purezza e del potenziale senza limiti. Oggi abbiamo colori a contrasto e usiamo la luce in modo diverso: comunica importanza, concentrazione. Se la collezione non cambia, l’allestimento invece deve rinnovarsi. Quello che ho fatto io è stato possibile perché sono arrivato in un momento molto positivo: sono di fatto un giardiniere, ho solo aiutato a far crescere questo piccolo meraviglioso giardino in un contesto favorevole come quello di Milano, città aperta al mondo. In più, lavoro con una squadra molto competente che ho potuto motivare nel modo giusto”.
IL MUSEO: SPAZIO APERTO SU MILANO E IL MONDO
L’apertura verso la città di Milano e altre realtà è iniziata negli anni 50 su volere di Fernanda Wittgens, storica direttrice illuminata di Brera, che ha permesso l’organizzazione di sfilate di moda all’interno degli spazi museali. Oggi Brera continua a collaborare con brand di moda, ma anche con aziende coinvolte durante la design week meneghina. “Riconoscere l’importanza e il valore della creatività di altri settori è importante per il museo – conferma Bradburne – siamo nel cuore di uno dei distretti più importanti del Fuorisalone e vogliamo essere anche un punto di riferimento per la città durante quella settimana”. Le iniziative sono aperte e continue anche in un momento complesso come questo, in cui il visitatore non può far altro che restare a casa e interagire con la Pinacoteca e la Biblioteca Baidense solo virtualmente. “Siamo stati tra i primi a lanciare l’idea di museo digitale; l’incremento degli accessi al sito è stato esponenziale nelle ultime settimane – commenta – Lo scopo è quello di mostrare il nostro lavoro per restituire un’esperienza ‘dietro le quinte’, rendendo disponibili a tutti i tesori che tuteliamo, tra opere e libri. Questo è totalmente in linea con la mission del museo: non siamo un elenco di opere, ma una comunità, un insieme di attività condivise che non si chiude, ma anzi ora come non mai si apre verso l’esterno”.
di Valentina Dalla Costa