La strategia private label nell’alto di gamma è la risposta del dettagliante al rischio di diventare vittima delle politiche aggressive di prezzo, ma anche un rimedio contro il disinteresse dei produttori verso il mercato interno. I casi di Design Republic e di Spotti.
In fin dei conti non era mai successo, almeno non nell’alto di gamma. Perché il private label potrà anche costituire la regola nel mass market – da Ikea, per citare un caso universale, il brand è soltanto uno, quello della catena svedese – ma se ragioniamo in termini di fascia top, il vanto di ogni dettagliante è sempre stato quello di poter sfoggiare i marchi più nobili dell’arredo made in Italy, con qualche rara incursione nordeuropea. Nessuno si sarebbe sognato di sviluppare collezioni, affrontare i processi di filiera e uscire nel mercato con il suo nome. Oggi il vento sta cambiando e ci sono i primi negozianti italiani che hanno sentito l’esigenza di creare le proprie linee di arredamento. Perché? Chi pensa che lo abbiano fatto per reazione allo sviluppo dei sempre più frequenti progetti di monomarca dei loro fornitori, probabilmente è fuori strada. Non si tratta di una ritorsione commerciale, quanto piuttosto di una necessità legata all’identità del dettagliante, che ha sviluppato nel tempo una sua filosofia e talvolta non la ritrova nell’offerta del produttore. Ma come per ogni cosa, anche dietro la scelta del private label esistono diverse ragioni e sfaccettature. La prima è la più banale: quella dei rapporti di forza. “Si tratta della storica diatriba tra chi vende e chi produce, con il primo convinto che sia la presenza consolidata dell’insegna nel territorio a richiamare la clientela e il secondo certo che invece sia la forza del brand a dettar legge”. Così riassume la questione Mauro Mamoli, presidente di Federmobili-Confcommercio, federazione che raggruppa 17mila imprese di distribuzione e 21mila punti vendita specializzati nell’arredo. Quanto al monomarca diretto, spesso interpretato come una forma di concorrenza del brand nei confronti del rivenditore, si sono anche create forme di collaborazione tra produttore e venditore che diventa partner, quindi il problema non è questo. Alla base di tutto, sottolinea Mamoli, c’è la scelta del rivenditore di puntare sul servizio di consulenza al cliente finale più che sul brand in sé, e questa scelta ha un senso: disporre di un grande marchio non è una garanzia di sopravvivenza, contrariamente al passato, perché in altri settori della vendita al dettaglio (vedi quanto accade nella moda) non ha protetto le insegne dalla crisi, e questo vale ancor più nell’era dell’e-commerce perché il consumatore potrebbe comprare gli stessi prodotti a un costo inferiore. Questo, più lentamente sta avvenendo anche nel mobile.
Ecco dunque l’altro motivo della scelta: se operi con il tuo marchio, la strategia commerciale è soltanto tua e non puoi avere concorrenti che ti fanno concorrenza sul prezzo. Il retailer crea il private label e sceglie i partner produttivi, che diventano una sorta di terzisti. “La vedo come una strategia innovativa rispetto al modo tradizionale di vendere un brand e credo che sia un sistema win-win per il commerciante al pari di chi lo rifornisce, fosse anche un produttore che dispone di un proprio marchio”, afferma il presidente di Federmobili, confermando che gli esempi di private label del mobile di fascia alta sono pochi e tutti piuttosto recenti. Prima di Spotti o di Design Republic, per citarne due tra i più rilevanti sulla piazza di Milano, si erano verificati alcuni tentativi di aggregazione come ad esempio Arreda.net, consorzio di rivenditori che a oggi conta 44 società consorziate, 68 punti vendita e oltre 350 addetti alle vendite. Ma si tratta di un esempio diverso, perché la nuova tendenza non punta a creare consorzi bensì brand e collezioni dalla precisa identità.
“Siamo sempre stati dei retailer puri, poi ci siamo resi conto che per crescere era necessario diversificare. Così abbiamo creato il nostro marchio”. Marco Mornata, esponente di una storica famiglia milanese di negozianti d’arredo, racconta così la genesi del progetto di private label per Design Republic lanciato negli ultimi anni “Siamo vicini al cliente finale più di quanto lo siano i produttori, e questa vicinanza rappresenta un patrimonio che intendiamo far fruttare”, precisa Mornata. Ma al di là delle opportunità da cogliere e dei rischi da evitare, al di là della necessità di avere una collezione che rispecchi l’immagine degli store a marchio Design Republic, Mornata sottolinea un aspetto fondamentale: “I brand dell’arredo sono sempre più legati ai loro business trainanti, che sono il contract e l’export. Questo è inevitabile e comprensibile, ma così facendo hanno perso di vista il mercato italiano. Design Republic vuole pertanto colmare un vuoto, puntando su un marchio di alto livello, presente in showroom ben posizionati e con un buon rapporto qualità/prezzo”. Quel marchio è il loro. E la crescita, in prospettiva, avverrà soprattutto attraverso il canale online, lo stesso che oggi costituisce la principale preoccupazione dei retailer perché è il nemico dei negozi fisici. “Siamo noi stessi i nostri reseller. Vendiamo le collezioni a marchio Design Republic solo nei due negozi di Milano e online, evitando così il processo ormai diffuso del confronto ‘selvaggio’ di prezzi tra differenti canali di vendita. In prospettiva distribuiremo il brand anche in altri negozi e all’estero, perché abbiamo tantissime richieste e intendiamo arricchire l’offerta, ma lo faremo uscendo dal classico modello di business brand-rivenditore-consumatore perché puntiamo a una diffusione ristretta e affine ai nostri valori”, conclude Mornata. Le competenze maturate negli anni di attività del negozio Spotti in viale Piave hanno convinto Claudio e Mauro Spotti a predisporre le basi per un progetto che Claudio definisce “ambizioso, ma anche estremamente appassionante”: si tratta di Sem, acronimo per Spotti Edizioni Milano, affidato alle cure del brand manager Silvia Volpi. “Sem – afferma Claudio Spotti – è la naturale continuazione di quello scambio, del dialogo continuo che abbiamo con progettisti d’interni e architetti con cui condividiamo sperimentazione e stile contemporaneo”. Così sono nate le più recenti collezioni Futuraforma con Marcante e Testa , Check con Elisa Ossino e Pivot con Giacomo Moor. “Hanno disegnato per noi arredi raffinati ma estremamente vicini al nostro approccio artigianale al design”, sottolinea il retailer milanese, che ha avviato partnership produttive con realtà eccellenti della filiera come la Fonderia Artistica Battaglia per la finitura acidata delle strutture in ottone e metallo di Pivot, disegnata da Giacomo Moor. “Il cliente finale ricerca sempre più personalizzazione nell’acquisto, quindi la private label può essere la risposta più vicina ad una certa esclusività”, afferma Spotti, sottolineando come l’ambito editoriale del suo brand si distingua da una produzione industriale di serie, ragion per cui non si dovrebbero creare, in prospettiva, delle sovrapposizioni tra le collezioni a marchio Sem e quelle legate ai brand che continueranno a presenziare da Spotti Milano. “Il brand – afferma Spotti – ha già una realtà operativa commerciale non solo verso i privati ma anche strettamente a contatto con interior designers, specifiers contract e distribuzione a livello internazionale. A breve poi apriremo a Milano uno spazio dedicato alla presentazione delle collezioni e pensato con un taglio di esposizione volutamente attento alla nostra visione di Sem come laboratorio di idee progettuali”.
Che obiettivi si pongono i retailer? “Qualche previsione – afferma Mornata di Design Republic – la potremo fare a partire dal prossimo anno. Per ora, essendo in fase di start-up, siamo contenti perché il progetto sta funzionando. Siamo partiti con l’imbottito e puntiamo ad andare oltre, inserendo altri mobili e accessori”. La convinzione che il business possa fruttare c’è tutta e in ogni caso occorre lanciare una sfida sul fronte delle vendite online che nel mobile, per quanto non siano ancora così presenti come nella moda o ancor più nel comparto dell’elettronica di consumo, già iniziano a pesare nell’ambito dei prodotti riconoscibili e facilmente trasportabili (sedie, complementi etc). In sostanza, la nascita delle etichette private è un trend che in Federmobili tutti si attendono debba proliferare al pari dell’adesione dei vecchi wholesaler a concept monomarca per brand.
di Andrea Guolo