La distribuzione del design va verso negozi a insegna unica. Lo dicono le aziende, ma anche gli stessi multibrand. Il motivo? una capacità maggiore di conquistare (e tranquillizzare) il cliente finale
C’è qualcosa che sta cambiando nella distribuzione del design. Dopo il fiorire di realtà multibrand e nonostante la situazione economica attuale, sembra che il futuro sia sempre più orientato verso la logica del monomarca. A dirlo non sono solo le aziende, ma anche gli stessi dealer: avere un monomarca comporta una bassa componente di rischio, grande visibilità e una capacità maggiore nel generare fatturato. “Credo molto nel multibrand se usato con sapienza e mixato con professionalità – ha dichiarato a Pambianco Design Simone Vago, CEO della realtà multibrand Vago Forniture –. Logicamente, per un’azienda, è molto più semplice non rischiare e fare degli showroom monomarca: per questo motivo, il futuro sta andando sempre di più verso il monomarca che non verso il multimarca”. Non solo: il monomarca crea un maggiore legame di fiducia col consumatore finale che, fatta eccezione per alcuni casi, nelle realtà multibrand si verifica meno. Il consumatore, dovendo affrontare un investimento importante, percepisce una sicurezza maggiore acquistando direttamente dall’azienda: “Il monobrand dà al cliente quella fiducia che il multibrand, fatta eccezione per alcuni casi, offre di meno – ha dichiarato Davide Davico, fondatore e amministratore delegato di Bredaquaranta, realtà che controlla sia multibrand che monobrand –. Il multibrand serve per ampliare il raggio d’azione, ma il monobrand ha una capacità più potente per un’azienda”. Infatti, a fronte di una situazione economica instabile, se un marchio ha la possibilità di investire sceglie il monomarca: “La tendenza per marchi con strategie ben definite tenderà sempre di più alle aperture monomarca – ha dichiarato Frederik Billiau, general sales director di Mdf Italia –.
Saranno un elemento di una strategia importante, con l’obiettivo di penetrare un mercato o di costituire un punto d’incontro per architetti con una finalità che va oltre la vendita di un prodotto. Possono essere dedicati alla vendita, ma anche considerati d’appoggio”. Questa casistica si verifica soprattutto per aziende che non operano nel BtoC, ma che vedono il proprio business incentrato sul BtoB. Arper, marchio specialista nel settore contract, è presente in alcuni multibrand ma possiede anche degli show-room monomarca non finalizzati alla vendita: “Il nostro concetto di showroom è incentrato sull’esposizione dei prodotti, ma serve anche come base per incontrare gli studi di architettura e fornire loro assistenza nella fase progettuale – ha dichiarato Claudio Feltrin, CEO di Arper –. Per la nostra azienda si tratta di una modalità efficiente perché permette di essere direttamente in contatto con i nostri interlocutori. Ci affidiamo, nello specifico, a realtà che hanno una profonda conoscenza del settore contract. Ciò che resta fondamentale è che Arper sia inserito in un contesto di fascia alta, sia in termini di prodotto sia culturali, in modo da poter raggiungere il nostro target”. C’è da osservare, infatti, che nonostante la tendenza stia andando verso il monobrand, il multimarca resta e resterà sempre un importante appoggio per la strategia di un’azienda: “Il multibrand – ha continuato Davico – è una necessità per un’azienda perché serve ad avere più armi sul mercato. Agendo con diversi attori è più facile penetrare il mercato e raggiungere il cliente finale, oltre a guadagnarsi una fetta maggiore”. Il punto di forza di un multimarca, osservato dal punto di vista del consumatore, è la vastità dell’offerta merceologica. È possibile entrare in contatto con diverse realtà restando in unico spazio: “Puntiamo molto sulla vastità dell’offerta – ha proseguito Davico – e questo ci dà la possibilità di non essere vincolati su un unico prodotto e di progettare in modo ampio per far uscire dal negozio il cliente con un’idea ‘chiusa’. Riuscire a ‘blindare’ il cliente nello showroom è la cosa migliore: questo lo si fa avendo un ampio ventaglio di offerta”. Oltre alla vastità dell’offerta, l’altra caratteristica fondamentale di un multimarca è la capacità di generare un buon mix tra le diverse aziende ospitate, in modo da fornire a ciascuna di esse il giusto spazio e la migliore integrazione: “Il mio approccio – ha continuato Vago – è quello di creare una sinergia stilistica per creare un ambiente omogeneo e accattivante. All’interno del mio negozio non inserisco le aziende attraverso la logica del corner, bensì cerco di mixare i marchi per dare una maggiore identità al mio spazio e per far sì che questo sia un valore aggiunto, anche nell’ottica delle aziende”. Dall’altro lato della stessa medaglia, ci sono realtà che prediligono creare dei corner dedicati ai marchi in cui possano riconoscersi ed esprimere a 360° la propria identità, senza il timore di perdere la propria immagine. “Siamo tra i pochi che rispettano le aziende – ha continuato Davico –. Creiamo corner in cui l’azienda s’identifica ed è riconoscibile dal cliente. Le aziende apprezzano molto questo approccio perché vengono riportate col loro concept e questo permette di creare una partnership interessante”.
Dal punto di vista dei marchi, in realtà, queste diverse filosofie hanno una valenza strategica egualitaria. Se in un caso si ha la possibilità di essere inseriti in un contesto eterogeneo e caratterizzato da una forte personalità, dall’altro è possibile apparire esattamente così come si è, senza snaturare la propria identità: “Hanno senso entrambe per Mdf Italia – ha aggiunto Billiau –, dipende dalla filosofia della città in cui è presente il multimarca e nel mercato in cui si è. L’importante è che l’immagine complessiva corrisponda o sia in sintonia coi valori dell’azienda”. Feltrin è sulla stessa lunghezza d’onda, anche se con una preferenza verso un approccio più tradizionale. Ciò che conta, aldilà di tutto, è l’alta qualità dell’esposizione: “Apprezziamo entrambe le filosofie, anche se tendiamo a favorire l’approccio del corner. L’importante, in ogni caso, è mantenere un livello alto e che l’azienda abbia la giusta visibilità”.
di Letizia Redaelli