Quando si parla di esportazioni, il design, così come l’intero made in Italy, giocano un ruolo da protagonisti. Occorre però sottolineare che esistono ancora notevoli potenzialità inespresse, un gap tra quanto il sistema del design italiano potrebbe ottenere, e quanto in effetti riesce ad ottenere sui mercati internazionali. Questo gap è legato alle difficoltà dell’internazionalizzazione, che è un concetto assai differente dall’esportazione. Sul fronte export, le imprese italiane hanno già attraversato le diverse fasi di crescita prima, negli anni rampanti, dove si sono conquistati i clienti sul campo, a colpi di biglietti aerei e valigie con i cataloghi. Poi hanno imparato a gestire i partner locali, ai quali affidare la propria crescita e il proprio standing. Queste strategie sono state sufficienti per ‘esportare’. Il problema è che, soprattutto sui mercati oggi trainanti, quelli in cui ci sono i progetti più consistenti, le strategie di ‘export’ non sembrano essere più sufficienti. Sempre di più, le aziende, hanno a che fare con controparti che chiedono ‘proposte trasversali e complesse’, per le quali si tratta di creare o entrare con squadre composite, con progetti quasi personalizzati. Per fare tutto ciò, sembra ormai imprescindibile avere una presenza fisica nei mercati per interagire con i player locali, conoscere da vicino le dinamiche, i nuovi attori che si affermano e tutte quelle novità che solo con una presenza costante si possono tradurre in opportunità di business. In poche parole occorre passare dalla logica dell’export alla logica dell’internazionalizzazione, con la costituzione di filiali dirette, che siano ‘pensanti’ e non semplici estensioni esecutive delle strategie centrali. Nell’ultimo rapporto “Italia multinazionale” promosso dall’Ice sin dal 2002, emerge che l’Italia resta fanalino di coda in Europa (e, ancor più, a livello globale) per investimenti diretti all’estero delle nostre imprese. Negli ultimi anni l’Italia ha ulteriormente frenato, scendendo a una “quota sul totale mondiale dell’1,4%. E, per quanto riguarda le aziende del legno, queste registrano una quota di appena il 3%” sul valore complessivo italiano. Questa difficoltà nell’investire nei mercati di destinazione deve essere superata. Se la partita dell’export si è potuta vincere anche in ‘solitaria’, quella dell’internazionalizzazione è e sarà una partita molto diversa.
David Pambianco