Piero Gandini (Flos): il design fa prodotti potenzialmente eterni e non si può considerare per questo ‘indietro’ rispetto alla moda, ma tende a essere autoreferenziale. “Serve un po’ di iniezione elettrica, altrimenti rischia di entrare in decadenza”.
“Flos resta un’azienda romantica. I numeri non devono ingannare, non sono il driver delle cose ma la conseguenza di come le abbiamo sapute fare, della passione che ci mettiamo”. E i numeri di Flos sono innanzitutto positivi. Piero Gandini, CEO dell’azienda bresciana specializzata nell’illuminazione di design, è soddisfatto sia per la chiusura del 2017, con 215,7 milioni di ricavi (+3,5%) e con un 25% di ebitda su fatturato, sia per l’andamento del 2018, durante il quale poco è cambiato. Il modello di business, sottolinea l’amministratore del gruppo controllato da Investindustrial, è ormai consolidato. Le novità presentate a Francoforte (18-23 marzo) in occasione di Light+Building, fiera di riferimento per gli aspetti più tecnici e tecnologici legati al mondo luce, rientrano in un disegno strategico delineato nei suoi contorni: crescere nei business acquisiti, investendo al tempo stesso per conquistare un posto di rilievo nel panorama che potremmo definire ‘extra-design’, entrandovi con la doppia forza della propria competenza e dell’innovazione stilistica delle sue “firme”. Alla fiera tedesca, Flos si è presentata con tante novità sia nella collezione architetturale, come il sistema di faretti motorizzati The Fast Track, sviluppato dal proprio team di ricerca a Valencia, che nella collezione outdoor, tra cui l’elegante famiglia di proiettori per esterno Landlord, progettata da Piero Lissoni, o la serie Bellhop disegnata da Edward Barber & Jay Osgerby. A queste novità di prodotto si sono aggiunte le innovazioni tecnologiche sviluppate per il controllo da remoto, partendo dal sistema esclusivo e brevettato Flos Smart Control, utilizzabile tramite tablet e smartphone. “L’azienda – spiega Gandini in quest’intervista – prosegue molto spedita lungo le tappe di avanzamento che ci siamo prefissati, e la chiusura dei primi sei mesi è soddisfacente. Il plus è stato quello di ottenere ottimi risultati proprio in un settore che non ci vedeva protagonisti all’origine. Inoltre, l’outdoor (dove Flos è entrata nel 2017 presentando la sua prima collezione dedicata, due anni dopo aver acquisito la business unit Ares, ndr) ci sta offrendo belle soddisfazioni e anche le altre acquisizioni effettuate nel tempo, da Lukas Lighting negli Stati Uniti a KKDC in Francia, hanno trovato la quadra e stanno tutte viaggiando bene. Per cui, sia come organizzazione commerciale sia anche dal punto di vista della gamma di prodotto, siamo molto contenti”.
Qual’è la forza del vostro modello?
Non ho mai creduto nell’organizzazione di tipo orizzontale, potrà andar bene nella chimica o in altri settori industriali ma non per il design. Oggi il gruppo è composto da più aziende e la più minuscola fattura 10 milioni di euro, con la divisione architetturale spagnola Antares ormai prossima ai 90 milioni, e nonostante le dimensioni non più irrilevanti resto convinto che sia fondamentale, in ciascuna di esse, la presenza di persone con il timone saldamente in mano. È una filiera verticale forte, sorretta da una art direction generale che si trasmette a tutte le divisioni, network commerciale compreso, nel rispetto dell’identità Flos.
Vantaggi e svantaggi?
Teoricamente, questo modello potrebbe creare qualche problema nel passaggio delle comunicazioni da un cilindro all’altro della macchina, ma dopo anni di allenamento siamo riusciti a trovare le perfette sintonie. Il vantaggio è che non ci si perde in burocrazie e procedimenti macchinosi. Abbiamo uomini fortemente responsabilizzati sulle loro specifiche mission e competenze, persone che possono prendere decisioni in maniera autonoma. Di conseguenza, diamo ai nostri clienti la possibilità di confrontarsi con interlocutori veri, decisi, dotati di competenza e delega. Le aziende del gruppo sanno muoversi da sole e, se serve, possono anche parlare tra loro.
E un gruppo da oltre 215 milioni di fatturato può continuare a operare così?
Pur essendo cresciuti, vogliamo mantenere il motore dell’azienda da 5-10 milioni, la sua energia e la capacità di risolvere i problemi. Vogliamo conservare quell’immediatezza delle persone impegnate direttamente sul campo. È la nostra formula e non intendiamo cambiarla, perché altrimenti perderemmo passione, competenza e voglia di innovare. Le nostre divisioni custom riassumono molto bene il modo in cui operiamo e intendiamo operare.
Vale a dire?
Sono piccole, super qualificate a livello di competenze, iperflessibili e al tempo stesso capaci di sviluppare quella tecnologia di cui dispone un gruppo di grandi dimensioni. Nel nostro settore, le aziende customizzate spesso non hanno il tempo, i soldi o l’attitude per poter sfruttare quello che i grandi sviluppi superseriali possono darti e tendono pertanto a sviluppare una competenza monotecnologica. Noi questo limite lo abbiamo superato.
Come state sviluppando la progettazione? Quali sono gli ambiti dove state crescendo di più tra hospitality, residenziale, ufficio etc?
In linea di principio, la collezione storica di design va molto bene nell’ambito residenziale e poi nell’hospitality, mentre il segmento architetturale vede in forte sviluppo la progettazione di negozi, ancora l’hospitality e infine il mondo ufficio. Posso dire con soddisfazione che oggi siamo ben distribuiti e che i nostri prodotti si prestano a essere utilizzati in diversi ambiti. Ci sono diversi luoghi comuni da sfatare rispetto al modo in cui Flos appare…
Per esempio?
Qualcuno pensa che siamo cari, e non è vero. Qualcuno pensa che facciamo solo progetti a nove zeri, e non è vero. Flos non è più cara della media e se consideriamo il rapporto tra qualità, prezzo e contenuto di design, il risultato è particolarmente attrattivo. Inoltre, la nostra realtà è fatta di tanti lavori quotidiani, dall’ufficio al ristorantino all’appartamento privato. È un business molto vascolarizzato, e questo fatto riduce il livello di rischio. Poi Flos è anche attrezzata per affrontare i grandi progetti e ha team dedicati, in grado di gestire catene che aprono fino a 500 negozi l’anno. Ma il nostro legame con il piccolo-medio affare, con il cliente individuale appassionato di design e di qualità, è forte e non soltanto dal punto di vista affettivo; è anche proficuo in termini di business.
Quali sono i progetti più appassionanti tra quelli in cantiere?
Ne abbiamo tanti… Mi sto divertendo molto con le luci da esterno, che per noi sono una novità e quando compri una nuova bicicletta, si sa, tendi a utilizzarla tutti i giorni! Così oggi mi accusano: ti è venuto il trip dell’outdoor. Il fatto è che quando in Flos immaginiamo un prodotto nuovo, lo facciamo pensando al nostro potenziale acquirente e ponendoci mentalmente al suo posto, immaginando di essere noi stessi gli utilizzatori. Con le luci da esterno tutto ciò risulta più facile e immediato, perché ognuno di noi ama vivere in giardino con i propri figli e giocare con loro. Pertanto, pur nella tecnicità dell’outdoor, riusciamo a mantenere intatta questa tensione. Nel custom poi ci sono dei lavori molto belli, a cominciare dai pezzi disegnati per noi da Michael Anastassiades e destinati al nuovo Four Seasons restaurant di New York.
L’arredo inizia a pescare i suoi manager dal mondo della moda. Significa che la moda è avanti e invece il design è ancora un po’ indietro?
Bisogna capire cosa significa essere indietro o avanti. Le grandi differenze tra moda e design, a mio parere, sono due. Primo: quasi tutte le aziende fashion sono marketing oriented, quasi tutte quelle di arredo sono product oriented, pertanto la moda ha tempi molto più rapidi di ricambio e invece nell’arredo si creano oggetti potenzialmente eterni. Secondo: nel design c’è meno competizione, le aziende di riferimento sono poche e più o meno le stesse da sempre, pertanto si tende all’autoreferenzialità. Se la prima differenza non significa necessariamente che il design sia indietro, la seconda evidenzia invece un limite reale: se continua con questo ritmo snobistico e blando, l’arredo rischia di entrare in decadenza. Ci vorrebbe un po’ di iniezione elettrica. La mia scelta di vendere è dipesa anche da questo: rischiavo di trovarmi a bordo di una fantastica macchina che procedeva con il pilota automatico, e l’avrei trovato poco interessante. Far parte di una holding come Investindustrial ti mette nella condizione di ridurre il grado di self indulgence. Ma per riuscirci non è necessario vendere; la sfida di alzare l’asticella si può affrontare anche in autonomia…
Cosa si augura per il settore?
Paradossalmente mi auguro che all’estero diventino bravi come noi anche a livello di design, così almeno costringono gli italiani a cambiare passo. Il nodo cruciale sarà quello di portare le nostre aziende, già capaci e leader, a fare qualcosa in più. E questo non riguarda soltanto l’approccio a una distribuzione in movimento o il tema cruciale della digitalizzazione, ma anche aspetti sui quali pensiamo di essere all’avanguardia e invece non lo siamo. Un esempio è la comunicazione: se prendiamo le campagne pubblicitarie delle migliori aziende di divani e facciamo un test alla cieca, come si fa per i vini, rischiamo di non distinguere un marchio dall’altro. E parliamo delle realtà di punta… Ciò significa che c’è una evidente omogeneizzazione ed è il risultato di questa scarsa tensione competitiva: poche aziende leader, pochi distributori di punta, poche riviste che contano. In questo caso la moda è decisamente più avanti.
Al contrario, non c’è il rischio che manager esterni affrontino il settore con presunzione? A Investindustrial quali errori consiglierebbe di evitare?
Per ora, a mio parere, Andrea Bonomi ha fatto la scelta giusta: ha preso due aziende con una grande storia, entrambe andavano bene e quindi ha optato per la continuità. Squadra che vince non si cambia, dicevano un tempo. Diverso fu l’approccio di Investindustrial quando acquisì Ducati o Aston Martin, dove occorreva fare un turnaround e infatti le aziende sono ripartite. Ma se le aziende vanno già bene, la presenza di un socio forte è fondamentale per realizzare quel che l’imprenditore aveva già in mente, rispettando un programma e senza più incertezze, tutelando al tempo stesso cultura e passione d’impresa. Si tratta di un mix perfetto per alzare l’asticella degli obiettivi.
Le prossime acquisizioni?
Abbiamo delle cose e dei nomi in mente. Quando le faremo, e se le faremo, saranno aziende in grado di rafforzarci in alcune aree geografiche, come avvenuto in Francia, o di aprirci nuovi ambiti produttivi, come nel caso dell’outdoor. La concretizzazione dipenderà da tre considerazioni: fino a che punto le consideriamo delle priorità, se il valore richiesto è quello reale e se il potenziale venditore è davvero convinto di concludere l’operazione. In ogni caso, la crescita di Flos dev’essere anche organica e non può avvenire solo per linee esterne.
di Andrea Guolo