Dopo avere acquistato all’estero la materia prima, principalmente in Ucraina, le aziende della ceramica fanno di necessità virtù: chiusa una direttrice di approvvigionamento, se ne devono cercare di nuove.
Dal Donbass, dove sono presenti in maggior quantità, a Ravenna, dopo una sosta nei porti di Mariupol e Odessa, per essere imbarcate. Le polveri di argilla, fino a prima della guerra in Ucraina, seguivano questa via per raggiungere il distretto emiliano della ceramica. Circa due milioni di tonnellate ogni anno (il 30% del totale) che venivano stoccate nel porto romagnolo e poi spedite ai produttori di ceramica e piastrelle. Un percorso impraticabile ormai che ha indotto i produttori a ricercare nuove fonti di approvvigionamento.
La guerra ha tagliato di netto i collegamenti costringendo le aziende a rifornirsi altrove. Ma dove esattamente? Prevalentemente in Germania, Francia, Venezuela e India. Ma anche Turchia e soprattutto, oggi, Italia. La valorizzazione delle cave nostrane potrebbe rappresentare un asset strategico importantissimo. Non sufficiente a coprire il fabbisogno, certamente, tuttavia potenzialmente crescente. L’indipendenza rispetto alle materie prime e all’energia è una lezione che stiamo di nuovo imparando a memoria. E, in realtà, anche da prima dello scoppio del conflitto. Uno studio di Openpolis, mostra come l’attività estrattiva sia importante per lo sviluppo economico di uno Stato. Le estrazioni da cave e miniere consentono infatti la produzione di materie prime che stanno alla base di tutti gli altri settori produttivi. Il rovescio della medaglia è rappresentato dall’impatto ambientale, sia in termini di degrado del suolo e di modificazione della morfologia, sia rispetto all’inquinamento che è in grado di produrre in termini di emissioni e di rumore.
IMPENNATA DI ESTRAZIONE ANCHE PRIMA DEL CONFLITTO
Openpolis ricorda in un documento diffuso lo scorso luglio che “nel 2019 erano presenti in Italia 4.135 siti estrattivi divisi tra cave e miniere. Questo è un dato che riguarda i siti autorizzati ma di questi solo la metà è attiva. Sono dunque all’incirca 2.229 le cave e le miniere produttive (Istat, 2019). Un’industria che è supportata principalmente da piccole imprese. In generale, per quanto riguarda i materiali non combustibili, sono otto i paesi in Europa in cui la produzione supera i cento milioni di tonnellate. Di questi, l’Italia è il quinto con 207,21 milioni di tonnellate. Gli stati che estraggono più materiale sono Germania (546,31), Romania (444,78), Francia (351,93) e Polonia (328,49). Gli stati in cui invece si produce di meno sono Cipro (11,63), Lussemburgo (6,5) e Malta (3,41). Quasi tutte le estrazioni sono aumentate tra il 2018 e il 2019. La variazione maggiore è stata registrata proprio relativamente all’argilla che ha visto un’impennata del 25% in controtendenza rispetto invece al marmo (-1,12%) e al granito (-5,6%).
DAL PIEMONTE ALLA SARDEGNA, LA MAPPA DEL CAOLINO ITALIANO
Diversificare le geografie di approvvigionamento dunque. Ma non senza un costo. Fare arrivare l’argilla dall’India, ad esempio, Paese al quale si stanno rivolgendo alcune realtà, comporta un incremento importante in termini di costi. Meglio guardare allora più vicino: Turchia, Germania e Francia. E Italia. Una mappatura delle cave di argilla può aiutare a comprendere dove si direzionano gli investimenti di produttori di ceramica italiana che in questo momento, comprensibilmente, tengono chiuse a chiave le informazioni che li riguardano per una stretta logica di preservare il vantaggio competitivo. In Italia esistono giacimenti di caolino a Borgomanero in provincia di Novara, a Montecarlo nel Lucchese, alla Tolfa in provincia di Roma, nel Grossetano, all’isola d’Elba, in Sardegna a nord di Cagliari. Qui in particolare negli ultimi mesi ne è stata incentivata l’estrazione. La produzione più importante però si ottiene dai giacimenti di Tretto in provincia di Vicenza, dove il caolino è chiamato appunto terra di Vicenza. In effetti il caolino usato dall’industria ceramica, è un minerale diffusissimo; fra i principali giacimenti nel mondo, oltre i famosi della Cina e del Giappone, quelli importantissimi della Cornovaglia e del Devonshire in Inghilterra, dove si ottiene sotto forma di Cornish stone, di Meissen in Sassonia, di Karlovy Vary (Karlsbad) in Cecoslovacchia, di Saint-Yrieix a Limoges, in Francia. Negli Stati Uniti, si trovano giacimenti di caolino nella Carolina del Nord e del Sud, nel Maryland, Delaware, Pennsylvania, Connecticut, Colorado, Texas; materiale pregiato è quello della Carolina del Nord, che per essere molto refrattario e poroso, viene largamente usato come isolante. Certo bisogna fare i conti con i costi del trasporto.
SAVING DI COSTI E INQUINAMENTO, MA ANCHE CONTROLLO DIRETTO
E allora, di nuovo, si guarda in casa. “Abbiamo fatto un primo passaggio verso la Turchia – spiega l’amministratore delegato di Italcer Group, Graziano Verdi – che oggi esporta verso l’Italia circa la metà della materia prima. Ma il nostro obiettivo è arrivare ad avere un 75% di materie prime italiane, se ci riusciremo. In laboratorio i test sono già stati superati e dovremo applicarli alla produzione”. “Nel comparto ceramico – ricorda Verdi – inizialmente si affronta un test di laboratorio e poi una prova industriale. Noi abbiamo già fatto questi due passaggi e sono andati bene. Nelle prossime settimane, sicuramente prima di Cersaie ci concentreremo proprio su questo tema: avere il 75-80% di materie prime italiane”. D’altra parte produrre in casa garantisce “maggiore sicurezza di approvvigionamento”, oltre ad essere meno inquinanti, “perché si evita il trasporto su battelli, che insieme agli aerei, sono i mezzi che danneggiano maggiormente l’ambiente. E noi – chiosa – nell’ambito degli Esg siamo molto attenti”. Altro plus, il fatto di “avere una maggiore costanza perché avendo le materie prime vicino, potremo sempre testare in loco, prima della messa in produzione”.