Sempre più aziende dell’arredo assumono Designer e architetti alla guida dell’immagine. Obiettivo: coordinare il posizionamento e implementare la progettualità.
È un trend che si sta affermando sempre più negli ultimi anni, con un obiettivo ben chiaro e condiviso dalle aziende, siano esse storiche e di grandi dimensioni o piccole start up. Si tratta della scelta di inserire nella propria struttura, nel ruolo di art director, architetti o designer, più o meno noti a livello internazionale, per dare coerenza e armonia all’immagine del brand. Una necessità che si slega dalle pure logiche commerciali, ma che risponde alla volontà di organizzare, in modo coerente, ogni aspetto della creatività, per comunicare all’esterno il modus operandi del marchio e i suoi valori. L’art director diventa, così, una sorta di regista stilistico con il compito di uniformare, aggiornandola, la proposta di prodotto, e di comunicarla al pubblico secondo una nuova interpretazione.
La nuova visione implica anche il rinnovamento del concept degli showroom, degli stand fieristici e del sito web. Non solo un approccio progettuale, quindi, ma anche grafico, fotografico e di storytelling. La presenza dell’art director, inoltre, non inficia, per l’azienda, la possibilità di collaborare con altri creativi purché siano sempre coordinati dal direttore della creatività. Una volta consolidata la definizione del marchio ne consegue uno sviluppo di brand awareness a livello internazionale che ne favorisce la diffusione. “La percezione del brand – afferma Paolo Bianchin, AD di Novamobili che ha affiancato il designer Philippe Nigro all’art director aziendale Margherita Rui con un ruolo di consulente ‘privilegiato’ – grazie al nuovo approccio creativo sta cambiando, insieme ai bisogni del mercato e di un pubblico sempre più esigente e preparato. Stiamo alzando la qualità e l’appeal mantenendo la competitività del prezzo. Il riscontro alla nostra strategia è entusiasmante”.
IL MOMENTO DELLA SCELTA
Le aziende intervistate concordano nell’affermare che l’art director venga scelto quando un’azienda si rende conto di aver bisogno di crescere sia come proposta progettuale sia a livello di presenza sui mercati. Il designer o l’architetto da inserire come art director viene solitamente individuato tra quelli che già collaborano o hanno collaborato con l’azienda su collezioni ad hoc, perché già conoscono la storia dell’azienda e con essa hanno sviluppato un’affinità creativa. è il caso del designer Roberto Paoli che, dopo varie partership con Slide, ha istituzionalizzato il suo ruolo per l’azienda. Per il suo piano pluriennale, invece, Bianchin ha scelto come art director Margherita Rui (designer tra i fondatori dello studio Dogtrot), il cui primo step di lavoro è stato quello di individuare Philippe Nigro e coinvolgerlo nel ruolo di consulente prioritario dell’art director oltreché di designer. Margherita e Philippe hanno poi scelto la squadra dei designer (Zaven, Zanellato/Bortotto, Makoto Kawamoto, Matteo Zorzenoni e, da quest’anno, gli E-ggs) con i quali l’azienda ha presentato al Salone del Mobile 2017 il rinnovamento della zona giorno e con cui completerà il rinnovamento lanciando al prossimo Salone 2018 la nuova zona notte. In altri casi, l’art director viene chiamato a seguito di passaggi generazionali che vedono gli eredi privi di una formazione creativa a favore di competenze finanziarie, come è avvenuto in Slide con il giro poltrone che ha visto entrare come AD, al posto del padre, il figlio Marco Colonna Romano dal background commerciale e finanziario. Anche i cambiamenti di struttura aziendale possono creare occasioni di incontro che aprono la strada a nuove collaborazioni. È quanto è avvenuto a Cassina che, entrando a far parte del gruppo Haworth, ha conosciuto direttamente l’operato di Patricia Urquiola comprendendo come la sua figura avrebbe potuto dare un tocco di internazionalità e forte caratterizzazione al marchio, spingendo così Gianluca Armento direttore generale di Cassina a sceglierla come art director.
PERCHÉ ACCETTARE L’OFFERTA?
I creativi interpellati dalle aziende spesso e volentieri accettano la carica che viene loro offerta perché, per dirla con le parole di Paoli “questo ruolo compete alla figura del designer e, se ci sono i presupposti giusti, come grandi potenzialità di evoluzione, la sfida si fa interessante ed è bello coglierla”. Discriminante nella scelta, come è accaduto a Philippe Nigro con Novamobili, a volte può essere la disponibilità da parte dell’azienda alla sperimentazione di materiali e forme nuove per elevare il livello qualitativo della proposta.
L’APPORTO DEL PROFESSIONISTA
L’apporto dell’art director, dunque, è strategico su tutto ciò che il brand rappresenta in termini di immagine all’esterno. Inoltre, partecipa alla pianificazione della strategia per affrontare il mercato valutando un’eventuale modifica del destino del prodotto. È accaduto a Slide che, prima dell’ingresso di Paoli, privilegiava il mondo degli eventi B2B outdoor e, sucessivamente, ha implementato il contract e l’indoor. Poter seguire l’ingegnerizzazione di un prodotto per chi lo progetta è dunque essenziale così come lo è spiegarlo al consumatore, sia esso un architetto o il cliente finale, comunicandolo correttamente. Nigro, oltre ad aver ripensato il concept degli stand di Novamobili in occasione di eventi e fiere, ne ha sviluppato la proposta di prodotto spingendo l’azienda, specializzata in pannelli laccati e stratificati, verso la sperimentazione di nuovi materiali, come il legno massello e i metalli.
UN APPROCCIO DI DUE FASI
Il processo di coordinamento dell’immagine aziendale, dal brand al prodotto, alla presenza fieristica fino al catalogo è sempre graduale, richiede alcuni anni e vede l’art director prima rendere coerente e consolidare ciò che esiste già, ad esempio rinnovando le foto dei prodotti, la scala colori, creando un nuovo catalogo, rinnovando il sito internet e il concept di stand e showroom rendendo tutta l’immagine coerente e riconoscibile. Solo in seguito, si passa ad una integrazione della creatività con lo studio, la progettazione e l’introduzione nella gamma di offerta di nuovi prodotti con un tocco più contemporaneo e la consulenza nell’avvio di nuove collaborazioni con nuovi designer sempre coordinati dall’art director già a capo del team creativo interno. Questo approccio è stato seguito anche da Novamobili che, ad esempio, ha consolidato prima il suo background per poi implementare la proposta. “La nostra azienda ha il ‘sistema’ e il colore nel suo dna – afferma Bianchin – per questo motivo abbiamo deciso insieme di puntare su questi due elementi della nostra nostra identità per crescere sempre più a livello internazionale. La coerenza è tutto e oggi il fil rouge è evidente in tutti i touch points, dallo stand firmato da Nigro al flagship store milanese Gioia8, alla nuova collana editoriale fino al nuovo sito che verrà lanciato in autunno”.
SOCI O PROGETTISTI PURI?
Tutti i designer o architetti si sono chiesti almeno una volta come sarebbe avere una propria azienda, disegnare, produrre e vendere una propria collezione. O ancora cosa può significare diventare socio di un’azienda, magari proprio quella in cui si entra come art director. Secondo i professionisti, il vantaggio di far parte degli organizzatori e della proprietà sarebbe quello di avere maggiore libertà di progettazione e meno difficoltà nel convincere l’imprenditore a produrre i prodotti proposti. Essere socio, però, finirebbe col cambiare il creativo che non sarebbe più un progettista ‘puro’ ma verrebbe contaminato dalle logiche commerciali, strategiche e contabili. Un’opzione quindi da evitare altrimenti “la passione ne sarebbe inquinata”, conclude Paoli.
di Paola Cassola