Dentro e fuori. Oggi, quando è possibile, sempre più fuori: nei luoghi aperti dove si vive a stretto contatto con la luce, l’aria, il vento e la pioggia, in tutte le stagioni. L’esplosione della voglia di outdoor è andata di pari passo – fin dal primo lockdown del 2020 – con il boom della domanda per arredi da esterno. Una reazione all’isolamento, certo. O forse qualcosa di più. “Dietro quest’improvviso desiderio di natura sembra nascondersi il tentativo di compensare i sensi di colpa per il male si è fatto alla Terra negli ultimi decenni”, commenta Antonio Perazzi, paesaggista che ha insegnato in diverse università italiane e straniere, tra cui il Politecnico di Milano e l’Accademia di Arte applicata di Vienna. E che, per il futuro prossimo, scommette sulla rivincita dello “spazio selvatico”.
Mai come in questa fase storica il bisogno di outdoor – parola che letteralmente significa “fuori porta” ed evoca atmosfere da scampagnata – ha assunto un significato d’importanza vitale nell’esistenza di tutti. Come mai?
Il Covid ha impresso un’onda di accelerazione a un processo che in realtà era già in corso da tempo, facendo affiorare in modo diffuso e collettivo l’esigenza di recuperare un dialogo sincero con la natura. Di sicuro non possiamo paragonarlo all’influenza spagnola di cent’anni fa, che pure ha provocato milioni di morti ma non ha avuto la drammaticità generata dall’interconnessione globale. La pandemia è stata una lezione di cui avremmo fatto volentieri a meno, eppure ci ha fatto riflettere: per esempio, ci ha fatto comprendere che vivere all’aperto, in certe situazioni, non è poi così scontato, e che la natura, quando anche per breve tempo – una manciata di settimane o pochi mesi – torna padrona di aree pur profondamente antropizzate, riesce a esprimere un potenziale di energia rigenerativa straordinario. Nonostante gli attacchi che ha subìto e che continua a subire da parte dell’uomo.
Sul piano pratico, quali sono le indicazioni che si ricavano da queste evidenze?
Oggi chi progetta per l’outdoor, ma anche chi più semplicemente immagina un proprio spazio verde, deve saper cedere la precedenza alla natura: è lei che tiene il tempo. Non si può continuare a trattarla come se fosse una creatura da addomesticare. Che il giardino torni a essere giardino e a svolgere la sua missione evolutiva anche attraverso giardinieri facilitatori e non dominatori, capaci cioè di superare quell’idea di controllo che sta dietro al nostro continuo potare, concimare, annaffiare, diserbare. La natura è un luogo nel quale ci si deve inoltrare con passo lieve e rispettoso, avvicinandola in maniera spontanea, selvatica, non tecnologica. Mi fa paura l’odierno eccesso di scienza applicata all’ambiente e mi pare che in questo momento circoli una forma di comunicazione ecologica un po’ malata: non si sa più a chi dare ascolto, e anche certe operazioni di sensibilizzazione collettiva – del tipo “piantiamo subito mille alberi” – che vengono promosse quando sono ormai stati superati i limiti della sostenibilità, a volte sembrano solo degli strumenti di propaganda.
E quindi, qual è il sentiero da imboccare?
È necessario progettare “con” e non “contro” la natura, perché siamo fatti della stessa sostanza e fin dalle origini abitiamo insieme dentro un unico, infinito paesaggio.
Forse è più facile accogliere questa visione per chi vive in campagna.
No, è un cambio d’orizzonte praticabile da parte di tutti. Anzi: gli esperimenti più interessanti in genere si realizzano proprio nei contesti urbani, di sicuro più sfidanti, dove ci si adopera per far sì che l’elemento vegetale si riprenda i suoi spazi o ne occupi di nuovi – edifici industriali dismessi, tetti di condomini, cortili abbandonati – ha davvero il sapore della conquista. Anche nelle metropoli si possono creare giardini sostenibili, che richiedono un ridotto consumo di acqua. Privilegiare la filosofia degli spazi verdi a bassa manutenzione significa migliorare la qualità della vita e tutelare la biodiversità, ma anche puntare su un equilibrio tra uomo e natura in grado di ricrearsi e rigenerarsi il più possibile in modo autonomo. Non dimentichiamo che è il giardino che produce il giardiniere che lo abita, non l’inverso.
Lei è cresciuto fra Milano e la Toscana, a Piuca, il podere di famiglia sulle colline del Chianti ma non lontano da Firenze: la città dove sta lavorando dentro e intorno la ex Manifattura Tabacchi, che si avvia a diventare il più grande esperimento di rigenerazione urbana d’Italia.
Manifattura Tabacchi era uno spazio chiuso, ordinato secondo una logica antropocentrica per la produzione di un bene di Stato: la natura, in questo contesto, aveva un ruolo marginale. In seguito alla dismissione, avvenuta nel 2001, gli edifici sono stati abbandonati per circa vent’anni. Per fortuna, nel tempo la struttura si è ben conservata e ora stiamo facendo sì che generi nuove dinamiche assecondando la colonizzazione della flora spontanea, che è un motore occulto e potente che esiste in qualunque luogo. Il cantiere è in progress, ma già si sono visti degli ottimi risultati: ci stiamo lavorando secondo l’approccio della Botanica Temporanea, una formula di ricerca che ho messo a punto per riattivare i processi biologici che mettono insieme il mondo delle persone con quello delle piante e degli animali che entrano in relazione con un certo ambiente. In futuro, chi abiterà, lavorerà e frequenterà Manifattura Tabacchi sarà stimolato a rapportarsi con le piante in modo spontaneo, muovendosi sopra una sorta di canovaccio vegetale sul quale ciascuno potrà improvvisare le proprie variazioni, un po’ come si fa nella musica jazz.
Quali sono le regole da seguire per creare una zona outdoor ispirata a questo modello?
Di regole ne abbiamo già tante, e troppe fanno male. Quando si pensa a un giardino o a un terrazzo, nel pubblico come nel privato, il consiglio di fondo è uno solo: dobbiamo diventare pragmatici. Per cominciare, bisogna misurarsi con lo spazio che si ha a disposizione, e – se è scarso – andrà considerato come uno stimolo creativo e non come un limite. Poi serve uno studio del mondo botanico, della presenza di eventuali specie rare, della fragilità di certe specie o, all’opposto, dell’esuberanza delle erbe invasive. Inoltre, ci chiederemo quante risorse si vogliono investire e cosa si cerca in questo luogo, quanto tempo gli si può dedicare, quali sono le operazioni da fare. Infine, vanno considerati gli obiettivi del progetto, che possono essere diversi: avviare un orto, creare una valvola di sfogo per dedicarsi alle attività all’aria aperta o dove ricevere amici, o immaginare una sorta di camera di compensazione dove tutto rimane così com’è e dove si interverrà quel tanto che basta per aiutare la natura a esprimere al meglio se stessa.
È un po’ l’idea che aveva espresso nel 2007 in Contro il giardino (Ponte alle Grazie), il libro scritto a quattro mani con Pia Pera, e che ritorna nel suo recente Il Paradiso è un giardino selvatico (Utet)…
Fare un giardino non significa montare un allestimento o una scenografia: queste sono operazioni che funzionano per una mostra o per una sfilata, ma sono esercizi di stile limitati nel tempo, anche se può accadere che in certi casi un’installazione vegetale temporanea diventi permanente. è un po’ quello che è accaduto a Radicepura, straordinario parco botanico a Giarre, ai piedi dell’Etna, dove ambienti e spazi che sono stati di forte impatto nelle varie edizioni del Radicepura Garden Festival, avviato nel 2017, sono state preservati, diventando veri e propri simboli del luogo.
C’è un segreto per creare un giardino o un terrazzo accogliente e facilmente gestibile?
Bisogna saperne apprezzare – e valorizzare – anche i difetti. In sostanza, si tratta di guardare il giardino, ma anche il balcone, il solarium, il cortile, l’orto, come se fossero il nostro corpo: chi non ha un fisico da top model, non dovrebbe insistere con gli abiti attillati, e col giardino funziona allo stesso modo. E dunque, cerchiamo di vestire il nostro outdoor con un pizzico di realismo, senza voler emulare a tutti i costi progetti astrusi o di moda.
Cosa chiedono, in questo momento, le persone che si rivolgono al suo studio?
I nostri clienti sono interessati ad approfondire il tema botanico, e sono incuriositi dai giardini ecologici e filologici, legati al territorio in cui si trovano, da realizzare anche con materiali di recupero presenti in loco, ma sempre cercando di mantenere le piante in relazione al contesto in cui sono nate. Chi non ha tempo da dedicare al verde o abita in città, ci chiede soluzioni alternative, per esempio per evitare di dover rasare di continuo il prato o per creare terrazzi che si bagnano sfruttando l’acqua meteorica… Inventare un giardino è in fondo come scrivere un libro che prende forma nel tempo: servono un indice, i nomi dei vari in capitoli, una certa competenza nella scrittura e soprattutto un’idea, mettendo nel conto anche qualche battuto d’arresto o qualche insuccesso.
Nei suoi progetti, qual è il ruolo dei mobili e dei complementi per esterno?
Non seguo la parte arredamento. Di mio, però, preferisco un prato spettinato o un balcone apparentemente disordinato piuttosto che uno spazio iper disegnato, super arredato ed eccessivamente tecnologico. Per dire: non sempre servono sofisticati impianti di irrigazione o faretti dappertutto, ci sono giardini che crescono a meraviglia con la sola pioggia e a volte un angolo buio, con dei fiori notturni bianchi e profumati che s’intravvedono appena nell’ombra, è molto più affascinate di una radura illuminata a giorno con cinquanta lampioni… In linea generale, sono convinto che meno si interviene, meno si riempie, e meglio è. Anche perché qualunque alterazione genera disequilibrio e la natura, prima o poi, ritorna sempre alle condizioni di partenza.
Di cos’altro abbiamo bisogno per fare pace con la natura?
C’è bisogno di bravi sorveglianti, di giardinieri osservatori e sensibili come certi genitori illuminati che sanno contenere i figli lasciandoli nel contempo liberi di esprimersi, di esplorare, di muoversi e di respirare. Anche di sbagliare. Questa malattia del nostro tempo, che ci ha rinchiuso in casa e ci ha tolto il fiato, il messaggio l’ha lanciato forte e chiaro.