L’aumento dei costi energetici ha spinto le aziende ad abbracciare la transizione. Sostituire completamente il gas è una sfida ora impossibile, ma chi vuole essere all’avanguardia prepara un terreno Hydrogen Ready.
Per l’industria della ceramica il campanello d’allarme ha cominciato a suonare un anno fa, quando si vedevano i primi timidi rialzi del costo delle bollette. Oggi, con il gas che ha sfondato i 300 euro al megawattora in estate, pensare a metodi alternativi per la produzione della ceramica made in Italy non è più una sola questione ambientale. Le etichette Esg hanno fatto spazio alla necessità di sopravvivenza dell’impresa: bisogna cambiare per non scomparire. Alcuni numeri messi in fila dalla School of management del Politecnico di Milano aiutano a inquadrare i consumi di un’industria apprezzata ovunque nel mondo: per la produzione della ceramica italiana vengono bruciati in un anno 1.500 milioni di metri cubi standard di gas naturale, poco meno di quanto serva per la produzione di acciaio che in Italia manda in fumo 2.030 milioni di metri cubi standard di metano. Due settori molto vicini in termini di consumi – rispettivamente il 2 e 3 per cento della domanda nazionale di gas in un anno – ma enormemente distanti per occupati, 27mila contro 70mila, e per fatturato, 7,5 miliardi di euro incassati dalla ceramica nel 2021 contro gli oltre 33 miliardi della siderurgia. Sfuggire dalla morsa del gas che sta erodendo i ricavi delle imprese è quindi essenziale per i più piccoli che sono chiamati ad accettare la sfida dell’innovazione per poter continuare la secolare tradizione della ceramica italiana.
FONTI RINNOVABILI, IL FUTURO DA ADOTTARE
E il domani si chiama idrogeno. La ceramica, insieme all’industria dell’acciaio e della carta, rientra in quei settori industriali Hard-to-Abate che, spiega nella sua ricerca il Politecnico di Milano, “attualmente non utilizzano idrogeno, ma che potrebbero in futuro adottare l’idrogeno verde come vettore energetico al posto del gas naturale”. L’idrogeno verde, che non è presente in natura e che si produce attraverso le fonti rinnovabili con il processo di elettrolisi, potrebbe andare ad alimentare i forni, le caldaie e i cogeneratori che permettono la realizzazione delle piastrelle e del gres porcellanato con temperature che arrivano a 1.200 gradi centigradi. “Nel settore della ceramica la penetrazione dell’idrogeno verde determinerebbe un risparmio del consumo di gas naturale stimato tra i 50 e i 1.500 milioni di metri cubi standard l’anno”, a seconda della quota di idrogeno miscelata con il gas se 10%, 20% o 100%. “La riduzione del consumo di gas metano implicherebbe una domanda di idrogeno verde compresa tra 14,3 e 431,8 chilotoni all’anno”, con un conseguente impatto favorevole in termini ambientali dato il taglio alle emissioni di anidride carbonica. “Il potenziale di riduzione delle emissioni di Co2 per gli scenari di penetrazione dell’idrogeno verde in blend (cioè miscela con il gas, ndr) del 10% e 20% si attesterebbe sui valori di 0,10 e 0,21 milioni di tonnellate di Co2 all’anno. Considerando invece una completa sostituzione del gas naturale con l’idrogeno si eviterebbero fino a quasi 3 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno”.
LA SCOMMESSA ITALIANA DEL PNRR E I FRONT RUNNER ITALIANI
All’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza per lo sviluppo dell’idrogeno verde vengono stanziati dal governo 3,2 miliardi di euro, ma nell’attesa che questi finanziamenti permettano di far scorrere energia pulita all’interno dei gasdotti, le imprese della ceramica più all’avanguardia stringono partnership con le aziende italiane dell’energia per poter fare un passo nel futuro. Pioniera nello scommettere con forza sullo sviluppo dei forni a idrogeno per abbattere le emissioni di Co2 è stata Iris Ceramica Group che ha presentato la sua soluzione ormai un anno fa dopo un lavoro di ricerca realizzato in partnership con Snam, la società italiana del gas che scommette su un futuro a idrogeno entro il 2050. Per la nuova fabbrica di Iris Ceramica Group di Castellarano (Reggio Emilia) è stato ideato un sistema per realizzare superfici ceramiche con una miscela di idrogeno verde, generato dall’energia solare dei pannelli fotovoltaici posti sul tetto dell’azienda, e di gas naturale. Una scelta che determina un immediato abbattimento delle emissioni di Co2 e che punta, nel lungo termine, all’utilizzo esclusivo di energia rinnovabile per una produzione a zero emissioni, visto che l’impianto può funzionare anche al cento per cento ad idrogeno.
PROCESSO PRODUTTIVO A CHILOMETRO ZERO
Nel cuore della Sardegna, a centinaia di chilometri dall’Emilia Romagna, in estate è stata annunciata una nuova partnership che punta a riscrivere i canoni della produzione ceramica, grazie all’utilizzo dell’idrogeno verde e a una materia prima definita “a chilometro zero”. A siglare il protocollo di intesa in questo caso Enel e Ceramica Mediterranea, per un progetto di ampio respiro che punta alla riconversione in chiave sostenibile dell’impianto di Guspini (Sud Sardegna) per sostituire con l’idrogeno la totalità del Gpl utilizzato in una delle tre linee di cottura della ceramica. “Realizzeremo il primo esempio su scala industriale di linea di cottura della ceramica completamente carbon-neutral, e le soluzioni adottate permetteranno anche di svincolare la produzione dalla volatilità del costo delle quote di emissione della Co2 e dei combustibili fossili”, ha spiegato Fabio Tentori, Responsabile Innovability di Enel X. Per Ceramica Mediterranea è la naturale prosecuzione di un percorso produttivo che ha fatto della territorialità la suo cifra stilistica, ha spiegato Bernhard Mazohl ceo dell’azienda: “In Ceramica Mediterranea – ha detto – abbiamo un processo produttivo da sole materie prime locali che definiamo a chilometro zero. Con questo nuovo progetto – ha chiosato – vogliamo azzerare le distanze anche per l’approvvigionamento energetico, per guardare alla completa indipendenza da fonti fossili e alle emissioni zero”. Anche un player da oltre 400 milioni di fatturato e 1.700 dipendenti come Panariagroup non può ignorare la transizione verso le nuove fonti di approvvigionamento, per abbattere la Co2 rilasciata durante il processo produttivo della ceramica. Il gruppo a giugno ha ottenuto un finanziamento da 50 milioni di euro dalla Banca europea degli investimenti (Bei), per sostenere il suo dipartimento di ricerca e sviluppo nell’acquisto di nuovi macchinari utili a tagliare i costi energetici. Tra le altre cose, l’accordo prevede l’acquisto di “forni di nuova concezione, già predisposti per l’alimentazione a idrogeno” per puntare a sostituire in futuro l’utilizzo di gas metano. Un finanziamento che, secondo le stime dell’azienda, contribuirà ad acquistare macchinari capaci di abbattere subito le emissioni “nell’ordine del 15%, con ulteriori riduzioni possibili dovuti all’utilizzo di combustibili rinnovabili quando diventeranno maggiormente accessibili sul mercato”.
ORA TOCCA A CHI PRODUCE I MACCHINARI PER LA CERAMICA
Un ruolo essenziale per un maggior utilizzo dell’idrogeno nell’industria della ceramica lo giocano le imprese che realizzano forni, essiccatori e tutto ciò che è necessario per la produzione della ceramica made in Italy di qualità. Un fiore all’occhiello dell’industria. Secondo i dati dell’Associazione costruttori italiani macchine per la ceramica (Acimac) l’intero comparto ha generato nel 2021 oltre 2 miliardi di ricavi, con un incremento monstre del 39% rispetto al 2020 che ha riportato il fatturato ai livelli record del 2017. Le aspettative per il futuro sono rosee, come ha sottolineato il presidente di Acimac, Paolo Lamberti, “con il 45% degli operatori italiani che stima per i prossimi mesi un aumento del business”. Numeri che hanno spinto le imprese leader del settore a tornare a investire in ricerca e sviluppo, proprio per accelerare nella rivoluzione dell’idrogeno. Siti B&T, big del settore con un proprio centro di ricerca di Formigine (Modena), “investe ogni anno il 4% del fatturato in ricerca e sviluppo”, si legge nelle informazioni aziendali. Parte dei fondi sono andati negli anni al capitolo ‘idrogeno’ tanto da poter promettere di arrivare tra il 2023 e il 2024 a “mettere a disposizione dei clienti una tecnologia di cottura eco-friendly e carbon free. L’avvio di un processo di progressiva sostituzione del tradizionale metano con blend di gas a base di idrogeno – ha spiegato Siti B&T – consentirà di abbattere l’utilizzo di combustibili fossili e le emissioni atmosfera”, con l’utilizzo di macchine ‘Hydrogen Ready’, pronte per essere avviate miscelando idrogeno e gas, anche “con un blend spinto di combustibili tradizionali ed idrogeno”.
Un player internazionale come Sacmi, 1,3 miliardi di ricavi nel 2021, ha riconosciuto nel suo annual report come sul tema della diversificazione delle fonti energetiche siano stati fatti passi in avanti nel mondo, “ma in uno scenario di infrastrutture e tecnologie ancora tutto da definire come per la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili”. Per questo, ha messo in guardia in passato il presidente Paolo Mongardi va ricordato che l’idrogeno al momento è “una tecnologia costosa che richiederebbe una tale quantità di pannelli fotovoltaici per garantire gli attuali volumi produttivi del distretto ceramico che non basterebbe lastricare tutta Sassuolo per sostituire il metano”. Sacmi, che studia da tempo nei suoi centri di ricerca lo sviluppo di forni a idrogeno, per non perdere il treno della transizione ecologica e in attesa della distribuzione dell’idrogeno in rete ha scommesso sui forni a tecnologia ibrida idrogeno-metano e sui kit per la trasformazione dei forni ad aria modulata che possono essere resi idonei a lavorare con miscele che prevedono idrogeno fino al 50% del volume.