Dazi per combattere la concorrenza sleale, costo dell’energia parificato in tutta Europa e profonda riforma del sistema dell’ETS. Per Augusto Ciarrocchi, neopresidente di Confindustria Ceramica sono queste alcune delle misure necessarie per tutelare il Made in Italy e per permettere al settore delle piastrelle e dei sanitari di continuare la sua crescita nel mercato internazionale senza perdere quote importanti, come 1 miliardo di fatturato in meno registrato lo scorso anno. Ciarrocchi è anche presidente e direttore generale di Ceramica Flaminia, azienda produttrice di sanitari in ceramica in cui è entrato nel 1986. In occasione di Cersaie, il salone internazionale della ceramica per l’architettura e dell’arredobagno, facciamo con lui il punto sul settore.
Affaticata dalla bassa domanda internazionale, l’industria ceramica italiana ha perso lo scorso anno un miliardo di euro di fatturato. Con gli ordinativi in calo, le aziende hanno ridotto la produzione del 13%. Quali sono gli strumenti per reagire a questi numeri?
Tutto il settore sta soffrendo, dalle piastrelle ai sanitari. Il mercato si è un po’ adagiato verso livelli più bassi. Perdere 1 miliardo di fatturato nel 2023 rispetto all’anno precedente è un dato che fa molto riflettere. Reagire a questi numeri non sarà facile, ma quello che va innanzitutto evidenziato è che la ceramica italiana, accanto alla qualità delle proprie manifatture, rispetta tutti i parametri di sostenibilità perché da anni lavora in questo senso. Purtroppo, si scontra con una concorrenza straniera agguerrita e sleale da parte di Paesi come la Cina e, più di recente, l’India, che non si curano di nessun aspetto della sostenibilità, tanto ambientale quanto sociale, creando una grave asimmetria del mercato. Per combatterla dovremmo prendere esempio da Paesi come gli Stati Uniti che hanno bloccato il flusso delle importazioni preannunciando dazi molto importanti sulle importazioni dall’India, che vanno dal 328% al 489%.
Oltre alla concorrenza sleale, c’è però anche il fattore determinante del costo dell’energia.
Assolutamente sì. Abbiamo il costo dell’energia elettrica che è il doppio rispetto ai nostri competitor. Ad esempio, in Spagna e Portogallo è un terzo di quello in Italia. In Francia è la metà rispetto all’Italia, mentre in Germania è inferiore del 40%. Si dovrebbe trovare una soluzione a livello europeo per far pagare a tutti l’energia allo stesso modo. Gli attuali prezzi dell’energia termica confermano la necessità della Gas Release, che sconta ancora l’assenza dei decreti attuativi, una misura strutturale per la sicurezza energetica nazionale. Se pensiamo alla Spagna – che, come l’Italia, è uno dei più grandi produttori di piastrelle a livello europeo – tra costo dell’energia dimezzato e minor costo del lavoro, si capisce l’esistenza di una disparità di partenza. Nel panorama di una competizione globale sempre più accesa l’effettiva integrazione dei mercati energetici europei ed un prezzo unico dell’energia sarebbero le precondizioni indispensabili. Il prodotto Made in Italy è comunque molto performante. Siamo leader sia nei settori delle piastrelle sia dei sanitari. Sono prodotti che costano di più, perché oltre al prezzo della qualità e del design, in Italia vengono rispettati tutti i parametri di sostenibilità sociale e ambientale. Non per battere sempre la lingua dove il dente duole, ma come si lavora in India non è come si lavora in Italia. La salvaguardia dei diritti dei lavoratori e quella dell’ambiente come è in Italia non è altrove.
Anche gli ETS (Emission Trading System) incidono parecchio. Il costo diretto del settore per l’acquisto di quote ETS è stato di almeno 70 milioni con una forte perdita di competitività per le produzioni ceramiche italiane…
Altro capitolo dolente. Indubbiamente l’Europa si è spinta, secondo noi, molto avanti, ma ha creato questo sistema che presenta molte falle. La prima è che è stato messo in mano alla speculazione finanziaria, e quando un sistema industriale cade in mano alla speculazione c’è una problematica di fondo.
Ce lo spiega nel dettaglio?
Gli ETS sono uno schema per fissare un prezzo alle emissioni di CO2, sotto forma di quote di emissione che le aziende devono acquistare. Il sistema dovrebbe spingere le imprese a fare investimenti per ridurre le proprie emissioni e, quindi, dover comprare meno quote. Ma se un’impresa ha già le migliori tecnologie disponibili il sistema non funziona e diventa solo una tassa che sottrae risorse alle imprese. Per ridurre parzialmente l’impatto di tali oneri sulle industrie manifatturiere più energivore, l’Unione europea ha previsto una compensazione degli extra-costi che ETS genera sugli acquisti di energia elettrica, ma tra i settori ammessi non figura la ceramica, comparto estremamente energivoro, fortemente votato all’export e colpito dalla crisi energetica dell’ultimo anno. Stiamo quindi chiedendo a Bruxelles, insieme agli altri Paesi europei a vocazione ceramica, che questo nostro settore sia incluso nella lista di quelli che beneficiano della compensazione dei costi indiretti ETS. Tra l’altro l’industria ceramica italiana contribuisce per meno dell’1% alle emissioni italiane e rappresenta il 4% di quelle dell’industria. Dà lavoro a 60mila persone e genera un valore aggiunto lordo di 2,7 miliardi. Pur essendo penalizzata da alti costi di produzione e di logistica vende all’estero l’85% dei suoi prodotti. I costi energetici hanno inciso nel 2020 per circa il 20% del costo della piastrella ceramica e sono destinati ad aumentare.
Come bisognerebbe quindi intervenire? Quale scenario si delinea se non si corre ai ripari?
Occorre fare subito qualcosa perché una significativa riduzione delle emissioni di CO2 dell’industria ceramica potrà avvenire solo con l’utilizzo di nuove tecnologie di processo, che utilizzeranno alternative energetiche diverse: dal ritorno a un nucleare sicuro al green fuel. Ma si stima che tali tecnologie non saranno disponibili su scala industriale per gli impianti ceramici prima di dieci anni. Se non si prendono misure, se non si fermano quei produttori che non rispettano le regole, siamo destinati a vedere sempre più risicata la nostra fetta di mercato perdendo competitività. E oltretutto vedremo penalizzata anche la seconda fascia intermedia di prodotto italiano, molto importante per il mercato. Saremo costretti a delocalizzare in Paesi limitrofi che non hanno questi vincoli con due rischi: mettere a zero una parte dell’industria europea con perdita di posti di lavoro; moltiplicare l’inquinamento perché in alcuni paesi il livello delle emissioni è superiore a quello italiano e per trasportare le merci si produce un ulteriore impatto sull’ambiente.
Oltre alle tante preoccupazioni ci sono mercati e segnali dell’export che fanno sperare, come la crescita dell’export in Usa. Come vede questa prospettiva?
Il mercato più vivace oggi è indubbiamente quello degli Stati Uniti. Nel primo trimestre 2024 ha segnato un +12%. I mercati europei viaggiano invece alla stessa velocità, con una riduzione della domanda. Il mercato americano è in fermento, basti pensare che le licenze di costruzione ad aprile 2024 hanno messo a segno un +6% rispetto a marzo, il che significa che oltre alle ristrutturazioni stanno dando licenze per nuove costruzioni. L’occupazione a maggio 2024 è aumentata di 270 mila unità. Sono dati incoraggianti che fanno ben sperare.
E il contract?
Fa registrare buoni numeri. Piace in questo segmento l’alto di gamma ad elevato contenuto di design e in più le piastrelle sono sempre più utilizzate nel rivestimento esterno delle strutture, sia abitative sia di accoglienza.