Dopo un 2022 positivo, le aziende della ceramica di Sassuolo e Castellón guardano alla fine del 2023 con cauto ottimismo. Nonostante il rialzo dei tassi d’interesse, i costi energetici e la bolla degli ETS.
Nei distretti leader della filiera ceramica europea – quello italiano di Sassuolo (e Fiorano Modenese) e quello catalano di Castellón de la Plana – è già tempo di bilanci. Il post pandemia, con la ripresa effervescente della domanda di beni durevoli legati alle abitazioni, fra i quali anche la ceramica, ha trainato i fatturati, ma l’euforia ha iniziato a smorzarsi nel 2022 dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino, con la crisi energetica e le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, cui si sono aggiunti l’impennata dei tassi d’interesse, il blocco dei bonus edilizi, l’inflazione alta e il balzo del prezzo dei diritti di emissione. Cosa riserva il 2024? Con il Cersaie alle porte, vale la pena di fare il punto sui sentiment dei principali protagonisti dei due mercati.
NEL CLUSTER EMILIANO LA PAROLA D’ORDINE È “PRUDENZA”
Nel 2022 il fatturato dell’industria italiana delle piastrelle ha raggiunto i 7,2 miliardi: un risultato per più dell’80% consolidato fra le province di Modena e Reggio Emilia, cui corrisponde una crescita del +16,5% sostenuta da un export che ha raggiunto i 6 miliardi di euro (+14,8%). Nell’ultimo trimestre dello scorso anno, però, lo scenario è cambiato: “La guerra in Ucraina ha rivoluzionato il panorama geopolitico e macroeconomico, incidendo sui costi dell’energia e sulle modalità di reperimento delle materie prime”, dice Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica. “Non riuscendo più ad acquistare le argille bianche del Donbass, abbiamo dovuto individuare fonti alternative in Turchia, Portogallo e India, anche se la qualità non è la stessa. A fine 2022 si è registrato un primo calo delle vendite, pari a un -2% rispetto al 2021, e nel primo trimestre 2023 la flessione delle esportazioni nell’ordine del -25% ci ha portato sotto i volumi del 2019, interessando peraltro tutti i mercati. Frenano anche i fatturati esteri, mentre quello domestico è cresciuto di qualche punto percentuale”. I tassi d’interesse più alti, la dinamica dell’inflazione e lo stop ai bonus edilizi hanno ridotto gli investimenti sul bene-casa, e il mondo, non solo il distretto di Sassuolo con le sue oltre 300 aziende, oggi vive una condizione di incertezza, cui si aggiungono le problematiche legate al sistema ETS. “Confindustria Ceramica con il contributo di UniCredit ha affidato a Nomisma Energia uno studio sugli impatti del sistema Emission Trading (ETS) della UE per il settore. In 30 anni l’Europa ha ridotto le emissioni di CO2 di un miliardo di tonnellate, mentre il resto del mondo le ha aumentate di 14 miliardi. È evidente che, per il Vecchio continente, quello degli ETS è un modello che comporta rischi di deindustrializzazione e, inoltre, la speculazione finanziaria sul prezzo dei diritti di emissione, che ha fatto lievitare il prezzo di una tonnellata di CO2 dai 33 euro di gennaio 2021 agli 85 di oggi, distoglie risorse da imprese e lavoratori e penalizza la ceramica europea rispetto ai prodotti delle aziende extra-UE, che hanno meno vincoli e livelli di sostenibilità più bassi”.
A fronte di investimenti green pari 441 milioni di euro (nel 2022), circa il 6,2% del fatturato, destinati per esempio a bruciatori all’avanguardia, impianti in cogenerazione, fotovoltaico e ai primi forni a idrogeno, per i mesi a venire il comprensorio di Sassuolo punta con prudente ottimismo al consolidamento dei risultati ottenuti e all’esplorazione di nuovi mercati, “non più geografici ma legati alla destinazione d’uso. Mi riferisco, in particolare, alle grandi lastre, che stanno entrando in modo brillante nel mondo dell’arredo e spalanca uno spazio enorme tutto da conquistare: i top ceramici delle cucine, per esempio, rappresentano già oggi l’1% del mercato statunitense”.
LE IMPRESE SPAGNOLE PUNTANO SULLA DIVERSIFICAZIONE DEL PRODOTTO
Concorda col collega italiano sulla linea della “cautela costruttiva” Vicente Nomdedeu, presidente di ASCER, l’Asociación Española de Fabricantes de Azulejos y Pavimentos Cerámicos che dal 1977 riunisce le imprese spagnole del settore. Nel 2022 la produzione iberica di piastrelle è calata del 15% (da 587 a 500 milioni di mq), le vendite totali in volume si sono contratte del 13%. Per contro, il settore ha assistito a un’impennata della domanda interna (+15%) e dei fatturati del 16,2% (pari a 5.538 milioni di euro, circa 770 milioni in più del 2021): l’export è suddiviso fra 185 Paesi e l’Europa vale da sola il 50,5% (con una crescita del 27,6% nel 2022). “L’exploit del fatturato è dovuto principalmente al rialzo dei prezzi medi dei prodotti che le aziende hanno applicato per cercare di assorbire una parte dell’aumento dei costi di produzione, soprattutto quelli legati al gas”, precisa Nomdedeu. “Le bollette sono aumentate in media dell’80% rispetto al 2021, e questo significa che su 100 euro di fatturato, 30 sono stati destinati al pagamento dei costi energetici. Oggi 3 piastrelle spagnole su 4 vengono esportate e devono affrontare la crescente concorrenza di altri Paesi produttori: ecco perché in futuro ci si concentrerà soprattutto sull’aumento del valore aggiunto dei nostri prodotti, puntando a differenziarci nel servizio pre e post vendita, nella personalizzazione e nello sviluppo di applicazioni innovative”. Anche la ceramica spagnola è impegnata a 360 gradi nella decarbonizzazione: “Dal 1980 abbiamo ridotto del 60% le emissioni di CO2 per metro quadro prodotto, ma per fare ancora meglio servono cambiamenti tecnologici radicali, che sono in fase di studio: per ora di alternative al gas non ne vedo. Stiamo anche cercando di contenere l’impiego di materie prime, di ridurre il peso e di aumentare la percentuale di materiali riciclati nella composizione della ceramica, che resta comunque uno dei materiali più sostenibili proprio in virtù della sua durata e del basso costo di manutenzione”.
I cluster di Castellón e Sassuolo “sono la culla della ceramica a livello mondiale, dove nascono le innovazioni e, messi a confronto, rivelano più affinità che differenze”, sottolinea il presidente di ASCER. “La principale somiglianza è che, essendo entrambi europei, aderiamo a normative che garantiscono che i nostri prodotti soddisfino i più alti standard di qualità, attenzione all’ambiente, responsabilità sociale. Inoltre, il fatto di poter contare su una lunga tradizione nella produzione e nell’uso della ceramica significa che il materiale viene trattato con competenze perfezionate nel corso dei secoli. Le nostre industrie, infine, condividono i fornitori di smalti e macchinari, mentre le differenze sono legate più che altro alla struttura del settore: in Italia, il processo di fusione e concentrazione in grandi gruppi è iniziato decenni fa, in Spagna è un fenomeno più recente”.
IL FUTURO SI GIOCA SUI FORMATI EXTRA LARGE ED EXTRA SMALL
L’avventura di Italcer, il gruppo con sede a Rubiera, nel Reggiano, oggi fra i player di riferimento della zona di Sassuolo, inizia nel 2017 grazie a un’intuizione di Alberto Forchielli (titolare del fondo Mandarin Capital Partners-MCP) e Graziano Verdi, e con l’acquisizione di La fabbrica spa, un brand di ceramica di design che consolidava 37 milioni di ricavi e 5 milioni di Ebitda: in cinque anni i fatturati sono quasi decuplicati e l’Ebitda proforma è arrivato agli 85 milioni del 2022. Nel 2021, con un’operazione coordinata da MCP e da Miura Private Equity (Barcellona), Italcer acquisisce Equipe Cerámicas di Figueroles, punta di diamante nel segmento dei formati extra small per rivestimenti e pavimenti: “Siamo stati la prima società del distretto a siglare un’alleanza di questa portata, creando di fatto una sinergia virtuosa fra i poli di Sassuolo e di Castellón de la Plana”, ricorda Verdi, AD e cofondatore di Italcer. “Negli ultimi 3 anni abbiamo registrato un tasso di crescita costante del 30%, e sono state soprattutto l’evoluzione organica di tutti i nostri marchi e le acquisizioni che ci hanno consentito di passare dai 150 milioni di fatturato del 2020 agli oltre 360 del 2022. Oggi a livello di settore stiamo affrontando un robusto calo dei volumi e ci ritroviamo con i magazzini pieni, sia in Italia che in Spagna, ma per noi il trend resta positivo: abbiamo conservato quote export del 75% e quasi l’80% dei nostri ricavi arriva dalle vendite di grandi formati, grandi lastre e formati extra small, a conferma del ruolo strategico di Equipe Cerámicas all’interno del gruppo”. Nell’ultimo biennio Italcer ha investito 20 milioni di euro sugli obiettivi green e, in particolare, sono stati installati tre nuovi cogeneratori che producono circa 33.000 MWh (su un fabbisogno di 57 mila), sono stati potenziati i pannelli fotovoltaici sui tetti degli stabilimenti per produrre oltre 1/3 di energia elettrica rinnovabile, e a luglio è stato messo in funzione nella fabbrica di Fiorano un forno per la cottura della ceramica, fornito da Sacmi, già in grado di utilizzare come combustibile una miscela di metano e idrogeno sino al 50%. “La tecnologia ibrida ci permetterà di risparmiare circa 1,5 milioni di metri cubi di gas”, annuncia Verdi, “e proseguiremo su questa strada, sostituendo volta per volta gli impianti con quelli di ultima generazione ‘hydrogen ready’, per essere già pronti quando l’idrogeno sarà disponibile su larga scala”. A breve il portafoglio Italcer, che comprende Elios Ceramica, Devon&Devon, Ceramica Rondine, Cedir, Bottega e Fondovalle, si espanderà ulteriormente, con l’acquisizione del 100% di Terratinta Group, azienda specializzata nell’alto di gamma delle superfici di design che detiene i marchi Terratinta Ceramiche, Ceramica Magica, Sartoria e Micro: l’operazione proietterebbe il fatturato 2023 del gruppo verso i 400 milioni di euro.