Il Salone è riuscito a crescere mantenendo una sua coerenza. Il rischio è che le aziende si facciano sedurre dal lifestyle a discapito del prodotto. Sì alle riedizioni, ma con materiali diversi. E serve un design per i giovani
Trovo che il Salone del Mobile sia coerente e abbia una sua leggibilità. Non è un elemento da poco, anzi. Solitamente quando le manifestazioni crescono dal punto di vista della partecipazione, emerge sempre il rischio che possano diventare solo un aggregatore di aziende, creando però una lettura difficile. Qui non è successo. Ed è anche stimolante il dialogo che si è instaurato tra Salone e Fuorisalone, due mondi che prima erano slegati. Il livello generale è di alta qualità, non si discute, ma chiaramente non sono mancate le criticità. Le aziende non hanno lesinato sforzi nella realizzazione di stand di grande impatto, ma hanno investito forse un po’ meno nel prodotto. È un rischio non da poco: bisogna sempre puntare non solo sulla qualità ma anche sull’innovazione. Quest’ultima è e deve essere l’elemento che fa la differenza perché ormai il livello medio della manifattura dell’arredo nel mondo si è alzato e di molto. Di conseguenza, il made in Italy deve imparare a farsi sedurre un po’ di meno dal concetto del lifestyle e concentrarsi di più sul prodotto, magari anche con le riedizioni. Se ci sono dei vecchi progetti che mantengono un certo fascino per il loro design particolare, perché non riproporli, magari con materiali diversi? È importante perché nel design servono creazioni longseller, non bestseller. E poi le riedizioni sono al tempo stesso innovative, pensiamo per esempio a quei prodotti che non sono mai entrati in produzione. Nel nostro caso, attraverso la tecnologia oggi a disposizione abbiamo potuto realizzare la poltrona di Joe Colombo del 1969 che allora non poteva essere prodotta per evidenti limiti produttivi. Un altro aspetto degno di nota è la tendenza delle aziende a puntare solo verso l’alto di gamma. È vero, alcuni mercati richiedono prevalentemente prodotti costosi ma dobbiamo sperare che sia spazio per tutti. Ed è altrettanto vero che nel residenziale vedo una tendenza spiccata al decorativismo. È una scelta semplice, soprattutto per gli ambienti pubblici. Non bisogna però dimenticare che esiste anche il pubblico giovane e che questo richiede dei prodotti più accessibili. È un elemento che manca, e c’è molto da fare in questo senso. L’ultimo aspetto che vorrei sottolineare è quello dei talenti. Trovo che la nuova generazione di designer italiani si stia muovendo con molta libertà ma è fondamentale avere una linea precisa. Lo dico sempre: meglio seguire pochi progetti ma farli bene. Devo aggiungere, però, che in gran parte sono molto preparati ed è fondamentale, dato che il ruolo del designer è cambiato. Oggi ogni oggetto è permeato di design, dagli arredi fino ai cellulari, quindi l’ambito di azione è più ampio. Credo sia importante per un giovane designer poter sperimentare la produzione sia in piccola sia in grande scala, perché permette di contaminare.
Giulio Cappellini