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Vela italiana, patrimonio su cui investire

Immagine della nuova campagna pubblicitaria SLAM

Vela italiana, patrimonio su cui investire

by Maria Elena Molteni
29 Luglio 2022

Quale Paese al mondo ha una tale lunghezza di coste più dell’Italia? Nessuno. Eppure questo bene, non è affatto capitalizzato. Manca una cultura di fondo. E Slam prova a diffonderla.

“C’è chi ha il gas, chi il petrolio e noi abbiamo questo bene, l’Italia stessa, con le sue coste meravigliose e il suo mare. Un asset incredibile che non sappiamo capitalizzare”. Enrico Chieffi, dal 2021 amministratore delegato di Slam.com, la newco controllata da Vam Investment che ha acquisito gli asset dello storico marchio italiano di abbigliamento per la vela, un passato importante in Nautor’s Swan, è soprattutto un atleta. Olimpionico nella classe 470 con il fratello Tommaso nel 1984, campione mondiale nel 1985, tattico del Moro di Venezia nel 1992, quando vince la Louis Vuitton Cup. Una passione per l’agonismo, che continua ancora oggi, praticato con ‘metodo’. Quello stesso ‘metodo’, un mantra quasi, che sta portando in Slam come valore aggiunto a livello manageriale, ma anche per ‘elevare’ la vela stessa agli onori delle cronache, proprio come accade per altri sport, diffonderne la cultura tra i giovani. Ambasciatori sono gli stessi ragazzi, i campioni olimpici del dream team Slam, ma anche i più piccoli che stanno approcciando questo mondo. Ne sono portavoce nelle campagne pubblicitarie che campeggiano nelle stazioni, sui tram di Milano.
L’obiettivo è sempre comunque il medesimo: dare forza alla cultura del mare, allo sport della vela. Sappiamo bene che l’Italia dei cantieri è conosciuta a livello internazionale più per gli yacht a motore, campioni assoluti del settore. Ma pian piano anche i più ‘timidi’ della vela iniziano a farsi conoscere. Non si accontentano più del mercato interno, ma cominciano a esportare. Un percorso verso l’estero che ha tutte le premesse per essere di successo, in considerazione soprattutto dello stile e della bellezza delle imbarcazioni italiane. Tutto ciò potrà spingere sicuramente questo settore. Ma si potrebbe fare ancora di più, almeno a livello agonistico.

FONDAMENTALI NUOVE RISORSE PER ALZARE IL LIVELLO AGONISTICO
“Il mondo della vela è considerato un mondo ricco – rileva Chieffi – perché lo ‘strumento’ barca è relativamente costoso rispetto a una palla o a una racchetta. Tuttavia esistono strutture molto bene organizzate, scuole, società di charter, opportunità per andare in barca a vela in maniera sostenibile. Va detto che noi mediterranei non ci accontentiamo di barche piccole, invece in nord Europa, nel nord dell’Atlantico con i francesi, in Nuova Zelanda, si usano prevalentemente barche piccolissime, più divertenti, più a contatto con il mare, il vento, la velocità”. Un’osservazione affatto retorica perché “con questa premessa, che la vela è uno sport da ricchi, se ne sono un po’ tutti disinteressati, a tutti i livelli. Altri paesi, al contrario, sono riusciti ad avere risultati eccezionali grazie agli aiuti che sono stati concessi anche a livello governativo”. Del resto, la vela è uno sport “altamente tecnologico”, dove non circola la medesima liquidità del calcio, ad esempio, o del tennis. Eppure, se il tennista ha lo psicologo, il massaggiatore, l’allenatore, uno staff di tecnici di altissimo livello, “figuriamoci un velista, che ha bisogno dell’ingegnere, del fluido dinamico, del meteorologo, di tutta una parte aggiuntiva proprio legata all’alta tecnologia dello sport” nota Chieffi. Allora “avere risorse economiche per alzare il livello tecnico del sistema diventa fondamentale. L’Inghilterra è diventata quello che è perché il governo ha dato alle squadre olimpiche tutti i proventi della lotteria, un budget 50-100 volte superiore a quello dell’Italia e la differenza si è vista”. Investimenti che andrebbero fatti su atleti che hanno tantissimo da dire e che potrebbero diventare portabandiera dell’Italia. Negli Stati Uniti, ad esempio, il governo permette ai privati che vogliono fare delle donazioni di scalarle dalle tasse, “un modello molto interessante”. “Se ci fosse un sistema per aiutare il nostro sport, in maniera più metodica e sostanziale farebbe sicuramente la differenza dal momento che già vantiamo il più alto livello tecnologico, sportivo e manageriale, abbiamo tutto. Pur di potercelo permettere” chiosa Chieffi. Insomma, tra opportunità e criticità del sistema, correttivi che si potrebbero apportare, Slam fa la sua parte. In un momento in cui, non c’è dubbio, l’interesse verso questa pratica cresce. Grazie probabilmente anche alle innovazioni tecnologiche che solleticano moltissimo i giovani. Un esempio? “La passione per barche volanti che è esplosa tra i ragazzi, che amano la dinamicità, la velocità. Come quella per il kitesurf”.

SERVONO STRUTTURA E METODO, POI SECONDI A NESSUNO
Ma intanto su cosa si potrebbe puntare per essere sempre più competitivi? “Da un punto di vista tecnologico siamo all’avanguardia. Quello che ci manda sono la struttura e la metodologia applicata” sottolinea Chieffi che, dal canto suo, ha già introdotto in Slam questi concetti. “Stiamo inserendo creatività, immagine e contenuti in un sistema organizzato nei minimi termini. Ci stiamo concentrando su poche cose importanti e così abbiamo alzato il livello qualitativo e di immagine, posizionando correttamente Slam. Meno pezzi (oggi 125 rispetto ai 600 di prima) e più efficienza. Da qui in avanti un passo alla volta, “solo quando si sarà raggiunta la consapevolezza di quello dove si vuole andare”. E l’obiettivo principale è innanzitutto “essere credibili. Per questo abbiamo creato Dream Team. Esso rappresenta solo l’inizio, la punta di diamante. Vogliamo coinvolgere tutti, anche gli appassionati o chi fa avventura in barca a vela andando a esplorare posti inaccessibili, i bambini che approcciano la vela magari dalla spiaggia in vacanza. Vogliamo rappresentare tutto il mondo della vela a 360 gradi”.

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