È la tecnologia che può cambiare l’edilizia: personalizzazione di massa, materiali a zero impatto ambientale e costi dimezzati. Gli Usa accelerano,
ma l’Italia è pronta: “Servono norme e filiere certificate”.
Possono bastare anche solo 24 ore di lavoro, distribuite su qualche giorno di cantiere, per tirar su un bilocale da 47 metri quadrati al piano terra. A imprimere l’accelerazione all’industria delle costruzioni è la stampa 3D che punta a rivoluzionare l’architettura scommettendo su rapidità, taglio dei costi, materiali innovativi e sostenibilità. Mentre gli addetti ai lavori familiarizzano con i codici sorgente da inviare ai computer e con le paste da miscelare nei macchinari, il mercato muove i primi passi e c’è già chi entra nella propria casetta costruita dal braccio meccanico di una stampante. Il futuro ha incominciato a farsi largo a metà degli anni Dieci, una volta scaduti i primi brevetti che frenavano l’espandersi della tecnologia additiva: è l’innovazione che permette ai modelli informatici tridimensionali di diventare realtà grazie alla continua sovrapposizione di strati di materia posata dalle macchine sulla superficie.
L’ERA DELLA PERSONALIZZAZIONE DI MASSA
“La stampa 3D risponde alla grande domanda di personalizzazione che nell’architettura era rimasta un po’ ad appannaggio degli edifici monumentali con dei budget molto elevati. Oggi grazie alla stampa additiva entriamo nell’era della ‘personalizzazione di massa’ perché si possono ritoccare i progetti senza troppa fatica”, spiega Ingrid Paoletti, docente di Tecnologia dell’architettura al Politecnico di Milano. Cambiamenti su misura nel disegno e nella struttura, ma anche e soprattutto nei materiali che possono essere più o meno sostenibili e a chilometro zero. “Stampare in cemento non ha molto senso. La stampa 3D – evidenzia Paoletti – dà l’occasione di valorizzare e rigenerare le filiere di altri settori, come l’alimentare e l’agricoltura, e usare i loro scarti e materiali locali per creare le miscele per realizzare i manufatti” resi forti da leganti naturali, bambù, legno, riso e così via. In soccorso ai progettisti arriva l’informatica che sforna software algoritmici in grado di simulare la resistenza dei materiali, per vedere come si comportano quando sono sotto sforzo e scongiurare cattive sorprese. Chi disegna i codici da inviare agli estrusori può quindi scegliere e mixare la materia che meglio si adatta al proprio progetto, metro dopo metro. “Si possono utilizzare materiali diversi nei punti in cui è necessario avere più resistenza e alleggerire la struttura altrove. In un’ottica di ottimizzazione delle risorse e di sostenibilità ambientale, questo permetterà di non avere più quegli edifici con materia che potrebbero tranquillamente non avere”.
L’IBRIDAZIONE E’ LA CHIAVE
L’ibridazione è la chiave per l’affermazione della stampa 3D nell’architettura di massa. Oltre alla contaminazione dei materiali da miscelare nelle macchine, le braccia delle stampanti potranno accelerare la vita dei cantieri tradizionali che continueranno a prosperare ovunque nel mondo. Nessuno vuole perdere l’occasione di tagliare i costi della logistica e dei materiali, unendo tecniche consolidate e innovazione più spinta: “Servirà aspettare ancora qualche anno, ma siamo molto vicini a vedere una piena integrazione tra la stampa 3D e i processi costruttivi che conosciamo”, spiega Paoletti. Le ragioni sono a loro modo semplici: poter lasciare che sia una macchina a realizzare componenti di un edificio accelera i tempi di costruzione e taglia di netto costi di trasporto e deposito dei materiali, perché fin da subito è possibile sapere esattamente cosa servirà e in quali quantità. “La produzione ibrida dà la possibilità di coniugare la stampa 3D con le altre tecnologie. Possiamo immaginare di avere delle strutture prefabbricate in legno o acciaio per poi usare la stampa 3D per fare le componenti dell’involucro, dei rivestimenti e delle parti interne. L’ibridazione permette di mantenere la tecnologia tradizionale dove funziona e di utilizzare l’innovazione dove ci sono bisogni come personalizzazione, utilizzo di materiali molto particolari o più velocità in cantiere. Si tratta di una tecnologia molto accessibile”, evidenzia la docente del Polimi, che permette di realizzare una struttura efficiente dimezzando i costi rispetto a un cantiere tradizionale: “Se pensiamo ai canonici mille euro al metro quadro costruito, si può arrivare alla metà o anche meno. Non ci sono costi alti, anche se c’è una necessità di progettazione creativa che però può essere un vantaggio: permettere di sapere esattamente quanta materia serve, dove metterla e quali sono le sue potenzialità”.
NASA CON ICON PER VILLAGGIO IN 3D SULLA LUNA
Negli Stati Uniti d’America c’è una startup che dal 2018 si è messa in testa di far vivere le persone in case stampate in 3D. Icon ha raccolto sul mercato 60 milioni di dollari, attirando nell’agone degli investitori anche la Nasa che ha staccato un assegno per esplorare uno scenario da fantascienza: studiare la costruzione in 3D di un villaggio sulla luna, utilizzando i materiali della stessa superficie lunare. In attesa che la ricerca dia i suoi frutti, sulla terra Icon ha innalzato oltre venti edifici tra gli Usa e il Messico, dove con la no profit New Story ha realizzato piccoli appartamenti da 50 metri quadrati per famiglie homeless di Tabasco. Nel 2021 la startup ha lanciato la terza generazione della sua stampante Vulcan e ora si prepara al grande salto, con la possibilità di realizzare al doppio della velocità manufatti fino a 280 metri quadrati destinati a un pubblico di élite. La casa-zero è in costruzione ad Austin, Texas, disegnata da Lake Flato Architects: “Sarà la casa costruita con la stampa 3D più incredibile al mondo, perché è stata progettata e ottimizzata proprio per essere stampata”, ha spiegato Jason Ballard, co-fondatore e ceo di Icon. “Mostreremo le possibilità della tecnologia e la libertà che ne deriva nella progettazione architettonica”, ha aggiunto. Per Ashley Heeren, associate di Lake Flato, ideare la “casa del futuro” ha permesso al team di “esplorare nuovi modi per creare un rifugio ad alte prestazioni che celebra l’artigianato, ricerca una maggiore efficienza e accorcia il processo di costruzione. Il design, accogliente e pratico, espande le capacità di performance della stampa 3D e permette di realizzare qualcosa di diverso da ciò che si è visto fino ad ora”, ha assicurato.
Anche l’Italia ha i suoi protagonisti internazionali della stampa 3D per l’architettura. D-Shape è una delle aziende da più tempo sul mercato: nata nel 2007 da un’idea di Enrico Dini, che ne è ancora la guida, la società conta su macchinari per la stampa 3D in grado di poter costruire un edificio dalle fondamenta al tetto in un colpo solo. Un prototipo d’avanguardia pura è stato presentato nel 2010 in Triennale a Milano: era Una Casa Tutta Di Un Pezzo, ideata dall’architetto Marco Ferreri. Wasp nasce invece a Massa Lombarda (Ravenna) e realizza stampanti 3D in tutte le dimensioni. La società, condotta dal visionario ceo Massimo Moretti, ha sviluppato macchinari in grado di costruire case utilizzando materiali ecosostenibili a pasta molle e nel 2021 è stata partner tecnico dello studio MC A – Mario Cucinella Architects per la realizzazione del progetto Tecla che ha portato alla costruzione di un’abitazione in terra cruda locale (intervista al project manager di Tecla Irene Giglio in questo numero). Approccio diverso è quello di Etesias, spinoff dell’Università Federico II di Napoli, che utilizza la stampa 3D per la realizzazione di elementi costruttivi portanti in cemento armato, come ad esempio le travi che sostengono gli edifici. La società assicura di aumentare la produttività del 70% rispetto ai metodi tradizionali e promette di ridurre del 50% l’utilizzo di materie prime, grazie all’efficienza propria della tecnologia.
Insomma, ci sono tutte le basi per far sì che la stampa 3D possa davvero segnare il futuro dell’edilizia anche in Italia. Quello che manca per far spiccare il volo agli estrusori sono le norme, mai aggiornate e spesso nemiche dell’innovazione. Per vivere nelle costruzioni stampate in 3D, spiega Paoletti, “bisogna avere dei sistemi che ne garantiscano l’abitabilità, ad esempio dotare l’edificio di una struttura portante con un materiale conosciuto che possa essere certificato. L’escamotage potrebbe essere dichiarare le strutture temporanee, ma per ottenere una vera abitabilità a lungo termine mancano ancora i riferimenti normativi forti”, dice la docente del Politecnico di Milano. Nei paesi del Nord Europa, più avvezzi alla tecnologia e rapidi nella gestione delle novità, sono state concesse delle linee guida che consentono di esplorare il terreno e di correggere il tiro quando serve: “Sono delle regole d’arte non ancora cogenti che però permettono di fare delle valutazioni e capire come un edificio stampato possa essere realmente utilizzato. Senza questa possibilità per uno sviluppatore il lavoro si complica, perché si fa fatica a investire su qualcosa se c’è una tale vaghezza normativa come in Italia”, sottolinea Paoletti.
Per velocizzare il lento processo normativo un aiuto può arrivare dalla stessa industria delle costruzioni che può dare un appiglio al legislatore scommettendo su filiere certificate: “La stampa 3D – spiega la docente Polimi – vive sull’ambiguità per cui più personalizzi, meno il processo è standardizzato e più è difficile normarlo. Ma se iniziassimo a creare delle filiere certificate si potrebbe accelerare l’ascesa della tecnologia: serve capire quali sono i materiali davvero adatti alle costruzioni, individuarne i produttori e – chiosa – utilizzare macchine pensate apposta per la stampa 3D nell’edilizia e non prese in prestito da altre industrie”.
di Michele Chicco