Sanlorenzo vuole crescere ma in maniera ‘garbata’ e guidata dai numeri. Anche nel deal che sta portando avanti con il gruppo Ferretti su Perini Navi. Che vede una battuta d’arresto.
Come è stata l’interazione, l’esperienza con l’architetto Piero Lissoni?
“L’esperienza è stata eccellente e i risultati ancora di più, la scelta strategica di Sanlorenzo di iniziare a collaborare con designer non nautici risale al 2006-2007. Abbiamo iniziato con Dordoni, con il quale abbiamo fatto il primo ‘106’, che poi è stato presentato al Salone di Genova del 2009, dunque in piena crisi, che per la nautica è stata ancora peggio che per gli altri settori. Una scelta ben pensata sin dall’origine, che ci ha aiutati a uscire dalla crisi prima di altri. Dopo l’esperienza di lavoro in un’altra azienda nautica, molto diversa da Sanlorenzo, per 22 anni, all’età di 44 anni ho deciso di acquistare il cantiere Sanlorenzo, un brand eccellente, che individuava un livello di qualità, di comfort e di solidità della barca molto elevato. L’azienda era piccola, un giro d’affari di 40 milioni di euro nel 2005, e aveva una storia di alta qualità sugli interni, sugli arredi. Dal 2005 in poi l’idea è stata quella di innovare, in quanto il vecchio proprietario, in 40 anni di lavoro eccellente, aveva portato il brand a un livello altissimo, ma il prodotto era un po’ invecchiato, come è normale che sia. La scelta è stata quella di innovare nella tradizione e questo è stato fondamentale. Sanlorenzo era un prodotto conosciuto con un certo stile, un certo design, e dunque non potevamo ribaltare totalmente la forma. L’aspetto forse più difficile da affrontare è stata innovare mantenendo la tradizione. Un po’ come i clienti che vogliono comprare la Porsche 911. Vogliono ‘quella macchina’. L’hanno iniziata a disegnare nel 1938 e l’hanno cambiata 15 volte, ma la sagoma è la medesima. Se uno è porschista, vuole la 911. Quindi la tradizione di certe linee e forme va mantenuta. Abbiamo allora pensato di intervenire sugli interni e dunque uscire dalla nautica, perché non ci piaceva il trend che aveva preso il settore, troppo stantio e vecchio, non aveva dato colpi di reni ed espresso nuove idee per anni. Col senno di poi, la cosa più facile da fare è stata andare a Milano e contattare i designer. Abbiamo iniziato con Dordoni, poi abbiamo fatto un’esperienza molto formativa con Citterio e la signora Viel e poi, grazie a Sergio Buttiglieri, che mi ha aiutato in tutto questo processo, abbiamo incrociato Piero Lissoni con cui è scattata una scintilla chimica particolare. Ci ha disegnato i nuovi stabilimenti, fatto refitting di quelli che nel frattempo avevamo comperato. E’ diventato art director. Lo sviluppo con Piero gomito a gomito è stato importantissimo negli ultimi 5-6 anni. Se devo individuare una scelta strategica importante degli ultimi 6-8 anni, tra quelle che ci hanno portato alla quotazione, la partnership con lo studio Lissoni e il lavorare gomito a gomito con Piero è stata quella più importante, ha segnato la differenza. La scelta di lavorare con designer non della nautica l’abbiamo potuta fare anche grazie a un elemento tipico di Sanlorenzo e di nessun altro concorrente ed è il ‘su misura’. Tutti i cantieri che costruiscono barche sopra i 50 metri costruiscono su misura, sotto i 40 -da 24 a 40- vengono costruite sulla base di un prototipo standard. Sanlorenzo dal 2004 fa le barche si misura. Il cliente già allora veniva con un foglio di carta bianca a insieme si disegnava la barca. Questo ci ha permesso di dare mano libera ai vari Dordoni, Citterio, Urquiola, Lissoni, perché quando un designer di questo livello approccia il prodotto deve potere dire la sua. Sanlorenzo era l’unico cantiere, tra i concorrenti italiani e internazionali, che poteva consentirlo, perché aveva già una struttura che lavorava su misura. Ovviamente noi facciamo 50 barche all’anno, non 300 e questo è anche un altro elemento che ci consente di lavorare su misura e di poter godere della professionalità di questi designer non nautici”.
Come è maturata la decisione di quotarsi con successo in Borsa?
“Lo scorso anno ho compiuto 60 anni e, come per tutti, a un certo punto della vita si devono affrontare dei passaggi importanti. Ho avuto una storia di manager e imprenditore che è iniziata quando avevo 22 anni, non mi ero ancora laureato. Dopo 38 anni di lavoro, dopo avere visto le scelte fatte da tanti clienti, spesso imprenditori a loro volta, che hanno dovuto affrontare il passaggio generazionale, la difficoltà di tenere i manager più bravi, in considerazione della mia esperienza di lavoro, ho capito che Sanlorenzo finiva un ciclo nel quale era passati da 30 milioni di fatturato a 500 milioni, da azienda mediterranea ad azienda che distribuisce in tutto il mondo. E dopo 15 anni dovevamo scegliere una strada. Io ho mantenuto il 60% perché mi diverto molto nel lavoro che faccio, ma mi sono reso conto che dovevo prendere decisioni importanti per la mia famiglia, i miei manager, i miei figli e mi è sembrato che la soluzione della Borsa fosse quella che guardava in modo più aperto e vicino al futuro dell’azienda. Penso che la quotazione garantisca all’azienda uno sviluppo più equilibrato e manageriale. Consente ai figli di scegliere se fare i manager o gli azionisti, una grande chance a ben guardare, risorse finanziarie non dico illimitate ma quasi, la comunicazione più facile. Ci sono una serie di vantaggi veramente importanti. Ovviamente, per l’imprenditore, l’attività è un po’ più limitata e controllata, ma questo, a mio parere, non deve essere visto come un limite ma come una crescita per l’azienda. Perché molto spesso le aziende di famiglia sono abituate ad avere un po’ troppa mano libera. Tutto sommato, avere regole da rispettare avere i comitati rischi, parti correlate e remunerazione da una parte dà fastidio, perché ci si sente le mani più legate, ma aiuta l’azienda a crescere ad essere gestita in maniera più professionale. Avere un controllo e una spinta verso la sostenibilità e scelte non proprio di ritorno economico, rendono l’azienda rendono più forte e indipendente. Il ‘one man show’ è molto bello ed efficace nei primi anni. Arrivati a una certa dimensione, la Borsa aiuta a compiere certi passaggi importanti ed epocali di crescita. Queste le ragioni per cui ho fatto questa scelta
Dopo questa crisi la nautica è tornata leader internazionale, o non siamo ritornati ai fasti dei primi 10 anni del 2000?
“Negli ultimi 3-4 anni, l’Italia, in termini di importanza nel settore nautico da diporto dello yacht, è di gran lunga prima per le navi sopra i 24 metri; siamo i incontrastati rispetto ai secondi e ai terzi. Costruiamo circa 450 navi da diporto su un totale di 900, siamo intorno al 50-50,5% della quota di mercato e penso che nessuna altra industria italiana abbia una preponderanza così forte. Siamo un po’ come i tedeschi nell’automotive. Questo grazie ai costruttori italiani che sono stati capaci di innovarsi e migliorare il prodotto e anche grazie ai concorrenti che sono scivolati. Penso all’America, il più grande mercato al mondo: negli ultimi anni la produzione sopra i 25 metri è sparita. Ci sono marchi forti che sono scomparsi e questo ha contribuito al fatturato italiano e ad essere più importanti rispetto ai concorrenti. Anche la Francia ha cercato di entrare in questo segmento con la Montecarlo Yacht ma non ci è riuscita e ha abbandonato il settore del lusso. L’Inghilterra, che era molto presente, oggi è in sofferenza. Fairline è passata di mano diverse volte, Princess non è più inglese da diversi anni e la proprietà è di un’importante azienda francese un po’ in sofferenza, che negli ultimi sei mesi ha dichiarato di volere plafonare la produzione sotto i 24 metri. La stessa Sunseeker è di proprietà cinese ormai da diversi anni. Quindi l’industria italiana, per merito proprio e demerito degli altri, è sempre più forte. Una delle ragioni deriva proprio dalla concorrenza interna. Il fatto che i primi tre gruppi al mondo siano italiani ha fatto sì che ci si sforzasse molto di innovare il prodotto fare il più bello, uno sviluppo indotto dalla concorrenza interna, dall’orgoglio che ha fatto scattare grandi investimenti. Nei saloni dei mercati più importanti il prodotto italiano si vede che è di gran lunga più bello e meglio costruito rispetto ai concorrenti. Tutto questo fino vero fino ai 50 60 metri, sopra i 60 i leader sono i nord europei, in particolare olandesi e tedeschi. Sono leader e lo saranno ancor per i prossimi anni. Un mio grande obiettivo di vita è, un giorno o l’altro, riuscire a scalzare questi importanti cantieri del Nord Europa dal punto di vista della qualità costruttiva. Sul design, sulla qualità della costruzione siamo più bravi noi italiani anche sulle barche più grandi; tedeschi e olandesi sono meglio organizzati e dunque riescono a trasferire sul mercato una percezione persino superiore alla realtà. Questo deve servire da stimolo. Abbiamo margini di crescita importanti e dunque dobbiamo tirarci su le maniche e arrivare a trattare profitto maggiore anche nelle barche da 60-70 metri.
Avete quota di mercato del 6-7%. Dove pensa che possiate arrivare come marchio Sanlorenzo nei prossimi anni? Valutate acquisizioni per accelerare la crescita?
Massimo Perotti: “L’obiettivo non è accelerare la crescita. Produciamo imbarcazioni di alta qualità con un comfort superiore rispetto a quello della concorrenza, caratterizzati da una cura maniacale del dettaglio, ragion per cui ci siamo anche molto avvicinati all’arte recentemente per potere comunicare il nostro brand. Il nostro obiettivo è una crescita garbata. Costruire 200 o 300 barche è un po’ lontano dal concetto di qualità di prodotto e servizio. Vorremmo mantenere tutte le caratteristiche del business model di Sanlorenzo, di barche su misura, che d’altra parte sono state proprio alla base del nostro successo in Borsa, non vorremmo abbandonarle, ma mantenerle. Se facciamo un parallelo con l’automotive, una Ferrari e una Porsche sono due cose diverse. Guardando ai valori di Borsa, Porsche ha un moltiplicatore di 5 o 6 volte rispetto all’Ebitda e una Ferrari di 25 perché il vissuto di Ferrari è lusso vero rispetto a Porsche. La scelta di Sanlorenzo è stata di essere per pochi e non vorremmo abbandonare questo business model che è stato vincente e ci ha permesso di non fare nemmeno un giorno di cassa integrazione, nemmeno in passato, quando altri cantieri hanno vissuto crisi epocali. La Sanlorenzo non ha accresciuto il fatturato ma lo ha mantenuto. Quindi il futuro sarò una crescita garbata che guarderà alla qualità e ai margini grazie in particolare al servizio e non solo alla crescita del giro d’affari. Come tutti sanno, è da un anno che seguiamo l’operazione Perini Navi. Ma le acquisizioni vanno fatte sempre con grande attenzione ai numeri. Le aziende vanno comprate quando i numeri tornano e mai sulla scia dell’emozione. Perini è un bel deal e lo stiamo portando avanti con il gruppo Ferretti -la prima volta nella nautica italiana di una operazione che fa sistema-, ma lo faremo solo se di buon senso con i numeri corretti. Perini ha bisogno di denaro, tempo e managerialità. Occorre fare un turnaround delicato, il prezzo di acquisto è fondamentale. L’avviamento pesantemente negativo e questo va dedotto dai valori degli asset, In futuro ci piacerà fare investimenti nel settore ma sicuramente ‘cum grano salis’”. A questo proposito, Sanlorenzo e Ferretti si sono riservate di partecipare alla prossima asta fissata per il 30 luglio 2021 per rilevare Perini Navi, avendo giudicato eccessivo il prezzo base.