Nel corso degli anni il rapporto tra arte e design ha suscitato notevoli dibattiti soprattutto per le differenze tra questi due ambiti. Per alcuni sono strettamente correlati, per altri completamente differenti ma una cosa li accomuna: l’attenzione per la bellezza e l’estetica lega il design all’arte ed entrambi sono influenzati dalla creatività ma l’arte non deve avere necessariamente una funzione pratica al contrario la funzionalità è il fine ultimo di un designer.
Del rapporto o meno tra queste due discipline ne abbiamo parlato con Alberto Salvadori, direttore di Fondazione ICA e curatore della mostra “La Casa Dentro” dei Formafantasma (fino al 19 luglio) che presenta dodici pezzi inediti realizzati appositamente dal duo formato da Andrea Trimarchi (1980) e Simone Farresin (1983) per questo progetto.
Qual è il punto di incontro tra arte e design?
Sono ancora convinto dell’esistenza di queste due aree e il loro vero punto d’incontro è una notevole capacità progettuale. Gli artisti come i designer, forse quest’ultimi da più tempo perché da sempre sono legati ad un processo produttivo quindi con una parte molto pratica nel loro lavoro, sono dei grandi progettisti e soprattutto è anacronistica l’immagine dell’artista contemporaneo chiuso in se stesso, lontano da tutto senza relazioni professionali. Quindi le due aree sono ancora distinte però c’è elemento molto forte che le unisce, gli artisti bravi che ho incontrato sono degli eccellenti progettisti di loro stessi, un designer è un eccellente progettista di qualcosa che esprime se stesso ma poi definisce qualcos’altro.
E nell’utilizzo di materiali è valida questa distinzione?
Sui materiali è ancora più presente questa distinzione perché per gli artisti i materiali sono relativamente importanti o per alcuni non sono il punto centrale del loro lavoro, per un designer il materiale è centrale, declina la sua idea che trova una forma attraverso i materiali. È quasi un processo inverso: l’artista immagina qualcosa e poi se il materiale scelto non è quello consono va a cercare quello adatto e li entra in scena il rapporto mai sopito, ovvero quello con la bottega con colui che segue l’artista e non il suo processo a meno che non sia un artista concettuale e li si va in un altro ambito.
Quali sono allora gli elementi che ne determinano il passaggio ad opera d’arte?
Un oggetto di design e un’opera d’arte non hanno molto in comune, anzi direi che sono molto lontani, ontologicamente differenti. A mio avviso forse ciò che può elevare un oggetto di design, anche quello più comune, ad un’opera d’arte è la fama, la notorietà, la persistenza nell’immaginario dei componenti della comunità. Oggi arte e design si incontrano quando vanno ad impattare il modo di pensare e di agire di un singolo o di un gruppo di individui; quindi, in entrambi i casi siamo di fronte ad un modo di ragionare nel quale emergono forti assonanze. Per me è interessante constatare quanto questa modalità sia spesso connessa all’altra, ossia quanto l’arte in taluni casi prenda dal design e viceversa.
Passando alla mostra in corso in ICA per i Formafantasma più che gli oggetti, sembra interessi il pensiero che li avvolge ma allo stesso tempo tengono a chiarire che sono designer, non artisti.
I Formafantasma sono dei designer. Designer molto bravi che applicano severamente e poeticamente il loro approccio teorico alla necessità di realizzare oggetti. Ogni progetto ha una sua storia e una sua mitopoiesi interna, loro sono senza dubbio tra i migliori interpreti di questi passaggi interiori del processo creativo e successivamente produttivo. Gli oggetti in mostra non sono delle opere d’arte: sono una poltrona, un tavolo, delle lampade, un armadio. Con i Formafantasma abbiamo condiviso fin da subito molte idee e necessità, tra queste quella di essere circondati da cose e oggetti duraturi, investiti di un fare manuale e artigianale che gli conferisse una vita interiore e prolungata. Oltre a questo, tali oggetti devono esprimere anche le riflessioni che li hanno accompagnati, gli stati emotivi, i ricordi.
Sempre più spesso si è alla ricerca del pezzo unico, della limited edition, come spieghi questo bisogno di esclusività?
L’esclusività è una delle tante illusioni della nostra epoca, quella meno esclusiva finora vissuta dal genere umano. Allo stesso tempo vivere anche di qualche piccola illusione credo sia necessario per tutti, il pericolo è quando lo stato illusorio diviene la condizione, il perno, della realtà del vissuto.
Cosa rappresenta (e dove sta andando) il design oggi?
Il design come la moda, l’arte, il cibo, quando è essenzialmente prodotto non è più interessante, attraente, e si porta dietro lo stesso problema di qualsiasi altro risultato di un processo iperindustrializzato: assenza di idee e la non sostenibilità ambientale e in taluni casi etica.