Studenti e professionisti stanno riscontrando significative difficoltà di apprendimento, ma al di là delle lamentele, la DAD può rappresentare una grande opportunità per molti.
Le distanze, sembra un paradosso, si accorciano. Serve solo capire come calibrare il tempo condiviso con quello trascorso davanti a un monitor, lontani dalle aule: alternanza e valorizzzione del tempo insieme saranno la chiave di svolta per l’insegnamento dell’immediato futuro.
L’eredità della didattica a distanza
Una situazione già evidenziata a livello internazionale e confermata dal Centro Studi Performance di 4 Man Consulting, società di consulenza aziendale specializzata in performance management. I primi numeri parlano dell’Olanda, dove le otto settimane di lockdown e DAD hanno fatto perdere agli studenti il 20% del progresso previsto per lo scorso anno scolastico. Ipotizzando che in Italia sia lo stesso, la percentuale di decremento nell’apprendimento potrebbe superare il 30 per cento. “L’isolamento sociale potrebbe causare problemi economici e lavorativi maggiori di quanto pensiamo – dichiara il fondatore del centro studi Roberto Castaldo –. La capacità di apprendimento non si misura soltanto attraverso le informazioni che possono essere reperite attraverso libri e webinar, molte delle conoscenze derivano dalla capacità d’imparare attraverso le relazioni, ovvero attraverso l’osservazione delle strategie di successo dei nostri pari. Il distanziamento sociale rende più difficile quest’attività, e rischia di ‘appiattirci’ dal punto di vista dell’apprendimento”. Sul piano nozionistico, la distanza funziona e non sono state rilevate problematiche particololari, ma “laddove le competenze sono anche esperenziali è necessario l’incontro in presenza – continua –. Specie per corsi pratici, la parte di comunicazione non verbale incide sul risultato in termini di progettazione”.
Come (e cosa) insegnare a progettare oggi?
Non è facile, certo. Luisa Collina, dean della School of Design del Politecnico di Milano, pensa che sia fondamentale “iniziare a ripensare i processi di progettazione. La distanza ci ha fatto comprendere che alcune cose funzionano bene anche se veicolate attraverso uno schermo, ma altre necessitano vicinanza”. Parla di tematiche che di questi tempi abbiamo forse dimenticato o accantonato, come il lavoro in team. “È basilare, all’inizio di un progetto, avviare una relazione tra persone che imparano a condividere obiettivi e sfide. Tutto ciò, nell’ultimo anno, è avvenuto online. Le differenze sono tangibili se compariamo i risultati”. Grande potenzialità invece per conferenze e panel. “I dibattiti con ospiti internazionali si sono moltiplicati – spiega –. Oggi siamo tutti molto più abituati a connetterci con il nostro pc per partecipare a una conferenza, e per farlo possiamo essere in qualsiasi posto al mondo”. Le scuole di progettazione sono avvezze al cambiamento, e chi meglio di un progettista del futuro deve allenarsi all’adattamento e alla progettazione di nuovi scenari. “L’abbiamo vissuto sulla nostra pelle: durante questi mesi, ci sono mancati i servizi. Serve puntare attenzione e offerta formativa sui servizi evoluti in campo medico, sociale, gastronomico. Oggi più che mai la dimensione dell’interaction design, intangibile, diventa necessaria, così come il focus sulla progettazione degli spazi aperti e il recupero delle periferie, dei luoghi lontani dai centri urbanizzati”. Tema condiviso da Carlos Moreno, esperto internazionale di Human Smart City e docente universitario, padre del concept legato alla ‘città dei 15 minuti’, in cui ogni servizio basilare è raggiungibile in massimo 15 minuti a piedi partendo da casa propria: “per troppo tempo – dichiara in un TEDTalk – abbiamo accettato che le città deformassero il nostro senso del tempo: perché dobbiamo sprecarne così tanto solo per adattarci all’assurda organizzazione e alle lunghe distanze della maggior parte delle città odierne? Perché siamo noi a doverci adattare, abbassando la nostra potenziale qualità di vita? Perché invece non è la città a rispondere ai nostri bisogni? Vorrei offrire un modello che va nella direzione opposta all’urbanistica moderna”. Una città che si adatta all’uomo, e non il contrario. Ecco, forse i progettisti di domani dovrebbero captare le nuove esigenze della modernità, che parlano di localizzazione, qualità della vita e ridimensionamento di scala.
Differenziare l’offerta formativa
Alcune abitudini acquisite in questi mesi ce le porteremo appresso anche negli anni a venire. Il grado di libertà raggiunto difficilmente si perderà, serve quindi concentrare in un tempo determinato la presenza e la condivisione di uno spazio in aula: “urge lavorare sulla bellezza della presenza – prosegue Luisa Collina – e sulla valorizzazione del tempo condiviso, da usare non più per le classiche lezioni frontali, ma per lo scambio, la condivisione e l’interazione all’interno di attività laboratoriali”. Serve integrare la presenza degli studenti in aula anche per una questione legata alla loro formazione personale. “Quel che manca oggi è la scoperta dei luoghi di studio. Se si sceglie la propria università con sede a Milano, ad esempio, oltre alle lezioni c’è un territorio da esplorare: stimoli che arrivano da una cultura magari distante dalla tua, mostre e manifestazioni culturali. A distanza, tutto questo si perde. Ed è, invece, parte fondante della crescita di una persona”. Un aspetto positivo è la propensione verso professionalità fluide, adattabili a nuovi contesti, preparate all’imprevisto. Se di adattamento si parla, pensiamo a come sono stati festeggiati i laureandi della Berkeley University di Boston: non è stato possibile celebrarli in presenza, e così un team di 100 persone tra docenti e studenti hanno progettato un vero e proprio campus in versione digitale, all’interno del videogame Minecraft: in live streaming su Twitch, parenti, amici e docenti si sono potuti connettere da tutto il mondo per vivere un’esperienza nuova, ricreata digitalmente partendo dalla realtà fisica del campus.
di Valentina Dalla Costa