Promossa a pieni voti la nuova sezione del Salone. Tra i miglioramenti, il ritorno ad interpretare con anticipo i cambiamenti della società attraverso il design. E nel Fuorisalone, più percorsi d’eccellenza e una regia unica
La premessa è d’obbligo: il Salone del Mobile è la fiera più attrattiva al mondo. Si riconferma un’eccellenza a livello globale sia per la qualità dei prodotti che per la gestione dell’evento. Anche la nuova sezione, S. Project, è un pensiero diverso e più strutturato su come presentare le aziende. Alla divisione dei padiglioni in base alle logiche di stile e design-driven, si aggiunge un criterio di lettura diverso, quello del contract, che segue l’offerta del mercato. Ma ci sono anche margini di miglioramento su cui lavorare. Il primo è legato all’eccesso d’uso dello stylism. Non sono totalmente contraria, perché è chiaro che bisogna rendere attrattiva l’immagine in una società dominata dai social media. Tuttavia, l’impressione è che sia ormai la dominante di progetto. L’allestimento e il set fotografico diventano il prodotto. Lo stylism dà risalto a prodotti che altrimenti farebbero fatica ad essere inquadrati nel design odierno: fuori dal contesto dell’allestimento, l’oggetto stesso perde la sua connotazione temporale: non si capisce in quale decennio sia stato ideato. Facendo un paragone nel campo della cucina, è come se il dado diventasse più importante del risotto o il limone predominasse sul pesce. Ma alla fine, i set sfumano e i prodotti restano. C’è anche un problema di sostanza. Si tende a sviluppare troppi prodotti e poco innovativi, presi da un’ansia di fare ed esserci. E pertanto il rischio è di vedere prodotti molto simili in aziende diverse. In ciò si sottovaluta ampiamente il rischio di perdere l’identità di marchio. Designer e imprenditori devono produrre meno e meglio, non produciamo vestiti e mode passeggere. Occorre tornare a fare innovazione, per lasciare meno segni ma più stabili e identitari. Altro margine di miglioramento è nel Fuorisalone. Ha permesso di aprire il design al grande pubblico, ma oggi sta perdendo la misura. È come Internet: c’è troppa informazione. Gli eventi sono troppi e dislocati in troppe zone. Non si ha tempo per visitare tutto. O si aumentano i giorni o si devono definire dei percorsi di eccellenza, o delle aree tematiche. Servirebbe una regia unica, in collegamento con il Comune di Milano, che coordini i diversi interlocutori cui fanno capo i quartieri del Fuorisalone. Un ultimo punto. Si parla molto e giustamente di sostenibilità. Poi però dobbiamo fare i conti con allestimenti molto costosi che durano una sola settimana. Potremmo progettare questa temporaneità in modo socialmente più costruttivo? Possiamo progettare con delle aziende di alta qualità in una zona più povera e disagiata? Vorrei lasciare in quartieri di disagio sociale segni permanenti di bellezza che diventino dei luoghi da cui ripartire.
Raffaella Mangiarotti