Valori solidi, identità definita, coraggio e voglia di sperimentare traghetteranno i brand del design nella sfida del digitale, verso una comunicazione che si allontana dalla staticità del catalogo per coinvolgere, culturalmente ed emotivamente, l’audience, sia essa online o offline
Nell’era della digitalizzazione si apre una nuova sfida per i brand e le aziende del settore design: navigare, ancorati alla propria identità, alla ricerca di un’audience da coinvolgere emotivamente e culturalmente con i propri contenuti. Il rischio è affogare nella furba scorciatoia del plauso, presentando solo ciò che l’utente desidera per ottenere un immediato feedback positivo. Il coraggio è convincere l’altro, con intelligenza e senza compromessi, promuovendo la propria unicità. Ognuno a proprio modo, chi ricercando l’incontro con l’arte e l’architettura, chi esaltando i materiali, chi la propria storia: vince chi riesce a rendersi riconoscibile al di là del media utilizzato grazie a una coerenza di contenuti che trascende le logiche del marketing, spesso causa di snaturamento e conformismo dei messaggi. Per arrivare a comunicare, anche solo con un’immagine pubblicitaria, un vero e proprio manifesto di intenti.
BASTA DECLINAZIONI OMNICHANNEL, È L’ORA DEL ‘PERCHÉ’
“I brand tendono oggi a concentrarsi unicamente sui ‘data insights’ prima di prendere qualsiasi decisone, disumanizzando il senso più profondo del loro rapporto con il consumatore finale e della tensione culturale necessaria per avere oggi la giusta rilevanza con l’audience” – afferma Barbara Corti head of international marketing di Flos Group – “La dimensione digitale è oggi semplicemente parte dell’habitat in cui l’audience vive”. L’idea è che non debba esserci più frizione tra diversi media e che il concetto stesso di ‘declinazione’ dovrebbe cessare di esistere. “E’ sbagliato – prosegue Corti – pensare di poter partire da una campagna pubblicitaria per declinarla, così com’è, sui diversi canali. Al centro va posta la narrazione del brand e il suo ideale, con i suoi valori e la sua filosofia, dopodiché bisogna personalizzare i contenuti e narrarli in modi diversi a seconda dei media e dei KPI attesi”. La vera domanda da porsi sembra essere dunque ‘perché’ si vuole comunicare e solo successivamente ‘cosa’. “Prima dell’idea viene un ideale”, sintetizza Corti. E’ troppo semplicistico e riduttivo pensare che una comunicazione risulti efficace solo perché si attiene a regole che ad oggi funzionano correttamente nell’aumentare la reach su Instagram. “La coerenza deve essere di postura, non solo legata ad aumentare la visibilità attraverso i like e le view- aggiunge Corti – Bisogna liberarsi dalla trappola delle ‘impressions’ e capire che un post su Instagram va fatto perché piace al brand e in questo si riconosce, perché è una cosa in cui crede e non per piacere agli altri”. La ricetta, secondo Corti, è rinunciare alla volontà di piacere e piuttosto identificare i propri valori, rafforzarli e comunicarli, riconnettendosi così con se stessi per capire perché si è sul mercato. Unica via per la credibilità. “Oggi manca questo, la trasmissione dell’attitudine”, conclude Corti.
IL DESIGN NON È IL FASHION
Le aziende del design devono resistere alla tentazione di emulare l’approccio al digitale del mondo della moda, per focalizzarsi sul proprio contesto emotivo, profondamente differente, e partire da lì per definire un nuovo modo di comunicare. Il confronto con il fashion è però utile per comprendere immediatamente quanto differente sia la logica che muove il design. La moda ha un ciclo di vita veloce, è un mondo che permette di sbagliare, per il design non è così e questo frena le aziende nel prendere dei rischi, dimenticandosi la loro storica propensione alla sperimentazione sempre e comunque. I prodotti della moda sono pensati per essere fruiti in uno spazio condiviso, esterno, per essere esposti, parlano di noi in una dimensione pubblica; quelli del design attengono, al contrario, alla sfera domestica, intima, ad uno spazio chiuso. Questa differenza deve essere tenuta ben presente quando si ragiona sul modo di comunicare un brand. Il design deve riconnettersi e valorizzare la sua vocazione nel lavorare dentro un habitat fortemente legato alla sfera intima e personale della casa. C’è ancora molto da fare. “La comunicazione del design è ancora un mondo fatto di cataloghi veicolati sui magazine o di meta-cataloghi online – prosegue Corti – schiavo di un appiattimento visivo che rende molte delle campagne advertising tutte uguali”.
RIPENSARE CATALOGHI E STAMPA
“E’ un periodo difficile per cataloghi e pubblicità su stampa – spiega Jeannette Altherr, designer e direttrice creativa per il brand Arper – perché c’è una saturazione e le vendite della stampa tradizionale sono in calo a fronte di una costante crescita delle piattaforme online con la loro offerta diversificata”. Il digitale offre un panorama fatto di media sempre più specializzati – per architetti, art director e clienti finali di età, generi e stili di vita diversi – che permette un rapporto biunivoco con l’audience. E’ difficile competere su questo fronte per la pubblicità stampata. “Ci sono modi più creativi per attivare advertising delle tradizionali campagne – afferma Altherr – Innanzitutto bisogna avere ben chiaro cosa si vuole comunicare e a chi”.
ALLA RICERCA DI AUDIENCE ‘ADDICTED’
Poco contano 8 milioni di ‘fan’ su Facebook se si ricevono pochi ‘like’. Una semplice riflessione dalla quale partire per comprendere che l’audience non deve essere ‘mainstream’, numerosa ma distratta, poco ‘engaged’. Bisogna ricercare una audience ‘addicted’, selezionata, interessata e coinvolta da un dialogo costante fatto di contenuti mai banali o generici. La comunicazione deve essere chiara, quindi va sempre valutato qual è il consumatore al quale ci stiamo rivolgendo, per portarlo per mano in un viaggio di conoscenza sempre più approfondita del brand.
QUALI LEVE DI COMUNICAZIONE
Uscire dalla propria ‘comfort zone’ per cercare e testare sinergie fuori settore può essere un’idea per rinnovare il modello di comunicazione. La Biennale d’Arte di Venezia ci ha insegnato che design può far rima con arte e traghettare, così, il pubblico attraverso ‘landscape’ narrativi forti e inediti che conferiscono un plus di valore. Anche una pagina pubblicitaria può dunque farsi manifesto di intenti e portavoce di un mondo intero.
Si tratta di una comunicazione molto più sottile e trasversale che non rende riconoscibile solo il brand ma tutto il suo intorno di valori.
E’ la strada scelta da Moroso che oltre al connubio con l’arte è riuscita nell’impresa di rendersi riconoscibile costruendo un’espressione visiva curata e coerente di se stessa sotto ogni punto di vista, dalla tipografia alle immagini, fino all’architettura del linguaggio. La commistione tra il design e mondi differenti fa parte da sempre del dna di Moroso. La presenza di influenze e contenuti provenienti dal mondo dell’arte, del fumetto – come testimonia la collaborazione di lunga data con Javier Mariscal – della natura, della moda e da culture lontane ha da sempre permeato non solo prodotti e collezioni ma anche il modo dell’azienda di comunicare all’esterno. Un esempio molto evidente è quello della collezione M’Afrique, ispirata all’Africa e prodotta da artigiani di Dakar. La comunicazione di questa famiglia, accanto ad immagini “da catalogo” ha sempre mirato a raccontare lo storytelling alla base dei prodotti. Il legame con l’Africa, con i suoi colori, le persone e le sue tradizioni produttive sono protagonisti insieme ai prodotti stessi delle immagini. Il mondo dell’arte è un altro esempio della trasversalità del brand e del suo modo di raccontarsi. L’arte è un ambito a cui l’azienda è legata da molteplici collaborazioni e da un flusso continuo di ispirazioni. Ne è un esempio la collezione Green light disegnata dall’artista Olafur Eliasson e realizzata per una performance durante la Biennale Arte di Venezia. L’importanza della comunicazione nel raccontare lo storytelling alla base di questa collezione è essenziale per comprendere fino in fondo la valenza e l’estetica dei singoli prodotti. Al tempo stesso, alcuni dei prodotti a catalogo di Moroso sono stati utilizzati all’interno di mostre e musei – in un dialogo in cui lo spazio dell’arte aiuta a raccontare il prodotto – come il Palais de Tokyo o il padiglione dei Paesi nordici della Biennale, divenuto il palcoscenico degli scatti di una tra le più famose campagne pubblicitarie di Moroso. La multicanalità è un’altra leva sulla quale Moroso ha puntato, integrando la comunicazione e il marketing online con l’offline. “Ritengo che l’offline abbia ancora un ruolo da svolgere – dichiara Damir Eskerica, CEO di Moroso – È corretto affermare che il digital advertising stia crescendo molto, i numeri di molte ricerche lo testimoniano, ma anche l’attività di comunicazione offline continua ad avere il suo peso e grazie alle nuove tecnologie sta vivendo una seconda giovinezza. Nella mia visione, il Return on Investment (ROI) è la metrica che consente di valutare il vero successo e che deve guidare ogni campagna di marketing e comunicazione, indipendentemente dal fatto che sia online, offline o entrambi. Senza un monitoraggio costante, un’azienda non può innovare e modificare le proprie attività di marketing per raggiungere il proprio target. Ora, il tracciamento del ROI diretto è decisamente più semplice ed evidente per le campagne online, mentre è ancora complesso nelle campagne offline. Questo fattore, unitamente ai differenti budget messi in campo, fanno sì che molti prediligano le campagne di marketing e la comunicazione online. Tuttavia, bisogna tenere conto del fatto che con alcune attività offline è possibile raggiungere in maniera molto più diretta persone che difficilmente si raggiungerebbero online. Ritengo che la comunicazione offline funzioni ancora molto bene, se inserita all’interno di una strategia omnicanale”. “L’inbound marketing si dimostra estrememente efficace in attività come portare visitatori al proprio sito web e nel generare leads – spiega Eskerica – Tuttavia, credo ci sia ancora molto spazio per attività di outbound marketing accanto a quelle inbound. E in questo caso non parlo soltanto di pubblicità, ma anche e soprattutto di eventi, sponsorizzazioni, e partnership più in generale”. Per Moroso nulla può battere la comunicazione personale quando si tratta di creare e coltivare le relazioni. Il brand fonda la propria identità sulla capacità di creare e nutrire forti e solide relazioni con tutti i propri stakeholders, siano essi designer, clienti, dealer o partner. “Nulla crea altrettanto engagement dell’interazione personale”, conclude Eskerica.
IDENTITÀ FLUIDE IN AGGIORNAMENTO
Una volta raggiunto l’obiettivo di creare una comunicazione ad hoc non bisogna però fermarsi perché, se i valori e il dna di un brand restano costanti nel tempo, l’attitudine vive nell’attualità e si deve evolvere. Per questo motivo bisogna esprimerla diversamente, aggiornandone la comunicazione costantemente perché “essere percepiti come attuali significa restare connessi con ciò che è rilevante nel presente – afferma Altherr – Tralasciando i trend temporanei di lifestyle ma concentrandosi sui megatrend sociali, come l’evoluzione del concetto di lusso o di avanguardia”. In conclusione, se si hanno chiari i valori sui quali l’identità del brand è costruita, si riesce a rispondere ai cambiamenti del tempo modificando i codici di comunicazione pur restando fedeli a se stessi.
UNA SFIDA ANCORA APERTA ù
I brand dell’arredo sembra abbiano le idee piuttosto chiare su quali siano le regole da seguire per migliorare la propria comunicazione. Qualcosa, però, ancora non sta funzionando. O almeno, non per tutti. La ricerca di pulizia formale ha portato le immagini pubblicitarie di un settore che potrebbe essere in sintonia con il pubblico, data la sua dimensione domestica e intima, a mettere in scena ambienti asettici come showroom. Osservando molti nuovi cataloghi e nuove campagna pubblicitarie offline, infatti, è difficile ritrovare quegli ideali di convivialità convertiti in scatti fotografici. Gli still life continuano ad imperare. Ciò significa che la strada da percorrere è ancora lunga, l’importante è non arrendersi e accettare il rischio.