Essere editori oggi significa disporre di libertà totale di fare design, senza dover pensare alla struttura produttiva. Ma ci sono pro e contro. I casi di Agape, Alias, Cappellini, De Padova, Foscarini, Henge, Ethimo, Paolo Castelli, Visionnaire e Zanotta.
Essere editori o produrre internamente? Il dna delle aziende, in un mercato che cambia e in cui il time to market ha una sua valenza talvolta dirimente, è essenziale per definire non solo le stesse modalità delle imprese di stare sul mercato, ma la loro capacità. Tante realtà hanno chiuso dopo la grande crisi del 2008. Altre hanno cambiato identità produttiva. E se una sorta di ‘selezione naturale’ è stata fatta allora, ciò non significa che oggi sia tutto semplice per chi è riuscito a resistere o per chi è nato dopo quello spartiacque. Non è soltanto una questione di taglia, pur importante, ma soprattutto di prodotto. Che deve essere di qualità e frutto di ricerca, unico e non soggetto alle mode, ma anche ‘rassicurante’, di fascia alta o altissima.
SPERIMENTAZIONE AL CENTRO
Chi è editore da sempre è Agape, azienda mantovana specializzata nell’ambiente bagno. In questo modello produttivo, spiega il CEO Emanuele Benedini, “gli sforzi economici sono molto più forti quando hai una articolazione di gamma come la nostra. Ovvio che un’azienda che è specializzata e produce, ad esempio, solo rubinetti e accessori, oppure solo sanitari e lavabi e usa la ceramica, riesce a ottenere con più facilità dei margini superiori ai nostri. I vantaggi, invece, sono dati dalla flessibilità della produzione, dalla possibilità di creare un catalogo completo, di cambiare tecnologie e materiali”. Tra l’altro, “oggi anche il tema dell’offerta di finiture differenti è importante per essere competitivi. Sempre di più c’è una ricerca di personalizzazione e di flessibilità: questi aspetti sono strettamente legati al territorio dove si lavora e all’Italia in generale: qui c’è tutta la filiera di produzione che è qualcosa di straordinario. Un tessuto di piccole e medie aziende con qualità incredibili che non si trovano fuori dal nostro paese”. Per questa ragione “un modello come il nostro sarebbe molto difficilmente replicabile altrove”.
STRUTTURA FLESSIBILE
Da sempre editore anche Alias, che nasce Alias, che nasce nel 1979 e che, con la sua Spaghetti Chair di Giandomenico Belotti, finisce subito nella vetrina del Moma di New York, è editore da sempre. Da quel momento riesce a inanellare una serie di proposte di sedute sempre più innovative. “Fin dall’inizio l’azienda si è posta come editore – sottolinea il brand manager e design director Andrea Sanguineti – quindi come produttrice di progetti sviluppati da designer molto diversi e caratterizzati da tecnologie differenti”. Questa la ragione di una scelta ‘strategica’ legata all’azienda, ma “inevitabile per il tipo di progetti che si andavano ad affrontare. Uno dei vantaggi di questa modalità di produrre che accomuna un po’ tutti gli editori, che assemblino in casa oppure no, è la flessibilità” fa notare Sanguineti. Un trend oggi molto forte è il “soft seating” e molte aziende, come Alias, “velocemente, hanno dovuto sviluppare dei prodotti più in quella direzione. Ci siamo rivolti a terzisti capaci e con loro abbiamo sviluppato questi articoli. Poi, come sempre, bisogna capire come è organizzato il ciclo produttivo: ci sono sempre delle parti in questi processi che vengono fatte internamente e altre esternamente. Ci sono sempre delle scelte che vanno fatte a seconda del progetto e di dove si trovano i fornitori. Molti si trovano per esempio in Brianza, altri nel Veneto”. Ma possiamo comunque dire che “il vantaggio è la flessibilità e il fatto, anche quando un prodotto è già stato lanciato sul mercato, di potere rivedere certi fornitori, ottimizzare da un punto di vista della qualità ed eventualmente anche del costo il processo produttivo”.
COLLEZIONI COMPLETE
Cappellini, ricorda l’art director Giulio Cappellini, seconda generazione di un brand che è stato portabandiera del design italiano nel mondo e oggi è nel portafoglio dell’americana Haworth insieme a Cassina, Poltrona Frau, Janus et Cie, Luminaire, Ceccotti Collezioni, Karakter e Dzine (che insieme costituiscono il gruppo Lifestyle Design), “nasce come una aziende produttrice di mobili contenitori. Nel tempo il catalogo si è andato ampliando a tavoli, sedie, accessori, imbottiti, con l’utilizzo dei materiali più disparati”. L’ingresso negli anni 80 di Giulio Cappellini, apre la porta ai progettisti più diversi. “Con loro ci siamo confrontati con i materiali più diversi”. Ecco perché, spiega, “è stata una tappa obbligata passare dall’essere produttori monoculturali, cioè legati al mondo del legno e dei mobili laccati, all’essere editori lavorando con i materiali più diversi. Fortunatamente – rileva – essendo l’azienda in Brianza, nel raggio di 10 chilometri si possono risolvere tutti i problemi. Oggi non si trovano più aziende che riescono ad avere un ciclo produttivo al 100% interno. I cataloghi si sono ampliati e chi faceva mobili è passato a fare imbottiti e viceversa”. Fondamentale è, soprattutto se si lavora in aree geografiche diverse, “avere uno stretto controllo di qualità”.
PRODUZIONI LIMITATE
Anche un’icona della milanesità come De Padova, rilevata dal gruppo Boffi, “è sempre stata un’azienda che ha privilegiato un modello di attività da editore” spiega Roberto Gavazzi, amministratore e azionista di maggioranza del gruppo. E questo, chiarisce “per la varietà dei prodotti offerti in volumi volutamente esclusivi e quindi più limitati nei numeri, per la maggior libertà di spaziare su tecnologie diverse scegliendo ogni volta il miglior produttore, ma anche per la continua ricerca della qualità di dettagli artigianali fondamentali per la riuscita estetico/qualitativa dei prodotti proposti”. E ancora, il fatto di essere all’interno di una filiera produttiva. Di un “network di produttori di altissimo livello su produzioni di quantità ridotta, disponibile in Brianza e in Italia in genere, senza escludere produzioni specifiche di altri Paesi di forte cultura artigianale”. Per Gavazzi, sono i volumi essenzialmente a giustificare la decisione di vestire un certo abito piuttosto che un altro. “La scelta di una produzione interna potrebbe un giorno essere interessante” afferma, evidenziando che questo potrebbe avvenire solo “se la crescita dei volumi la giustificasse, ma sempre nella direzione di offrire qualcosa di molto speciale e adattabile alle esigenze di una clientela internazionale molto esigente”.
LIBERTÀ DI IDEARE
Anche per chi produce lampade la scelta può essere quella di approcciare un modello editoriale per “due filoni di vantaggi” racconta il presidente di Foscarini, Carlo Urbinati. “Innanzitutto, una struttura più leggera e flessibile e meno ancorata a temi di carattere tecnologico o di materiali. Il secondo filone, strettamente legato al primo, consente di pensare nella maniera più libera possibile in termini di prodotto e proposta. Che poi ci si riesca, dipende da come noi e i nostri creativi riescono a dare forma a questa opportunità”. E la libertà creativa ha un prezzo, o meglio determina una strada obbligata. “Una cosa è immaginare cose belle ma avere limiti tecnologici e di produzione. Un’altra è, come per noi, avere una collezione sul mercato che presenta 15 tecnologie diverse e ancora di più materiali. Che, se prodotti in casa o direttamente, presupporrebbero capacità, abilità e immobilizzi importanti”. Davvero troppo. Ovviamente c’è il lato B della medaglia. “Dovendo affrontare passaggi esterni a noi, le realtà con cui lavoriamo devono portare a casa, oltre al lavoro, anche un guadagno. Dunque bisogna essere molto bravi nel trovare quello spazio in cui si riesce a esprimere un valore aggiunto, distintivo, che consente il posizionamento dell’immagine del prodotto sul mercato e forse ci si riesce a farsi attribuire un valore concepito come coerente”.
SOSTEGNO AGLI ARTIGIANI
A Paolo Tormena, fondatore e CEO di Henge, azienda di Treviso nata nel 2007 ed entrata da poco nel percorso Elite di Borsa italiana, confida che “ci piace sapere di non aver alcun limite, di non essere un’industria, di non essere vincolati alle produzioni secondo una determinata metodologia o l’uso di una certa materia, di poter spaziare con la mente, potendo lavorare con qualunque materiale, qualunque tecnologia: Henge è un laboratorio di ricerca in cui la creatività è il centro del nostro lavoro e del nostro interesse. Il made in Italy Henge è quel modo di pensare e produrre che il mondo apprezza e ci riconosce. I nostri prodotti sono realizzati in Italia con criteri di produzione artigianali, realizzati da mani sapienti, senza compromessi, facendo uso sia delle nuove tecnologie che delle vecchie tecniche ormai in disuso e che a noi piace riscoprire; sono la nostra cultura, il nostro know how. Internalizzare qualche filone di produzione? “Restiamo fedeli al nostro modello, i nostri margini sono buoni, le collaborazioni sono molto efficaci e ci consentono anche di conservare e tutelare il nostro know how”.
SEMILAVORATI IN OUTSORCING
Quello di Ethimo, leader del contract outdoor nel mondo dell’hotellerie e con un interesse importante anche nella nautica, è un “modello produttivo piuttosto variegato”, racconta il CEO Gian Paolo Migliaccio: un reparto produttivo interno che lavora il metallo, mentre il teak, il materiale che più caratterizza le nostre collezioni, proviene dal Sud-Est asiatico, esclusivamente da piantagioni regolamentate e certificate FSC. I semilavorati arrivano dall’Indonesia, dove abbiamo un team di persone incaricato a svolgere un primo controllo qualità. L’assemblaggio avviene direttamente in un reparto dedicato, nel nostro head quarter in Italia. Questo processo ha evidenti vantaggi competitivi perché ci permette di avere disponibili in stock dei semilavorati e di poter creare quindi, in pochissimo tempo, il prodotto finito a partire dall’ordine del cliente. Questo modello consente di ottimizzare i volumi in magazzino, aumentando al massimo la disponibilità dei prodotti e i tempi di evasione, anche per le richieste del settore contract e hospitality.“ È ovvio” sottolinea Migliaccio, “ che una produzione interna determini una marginalità più alta ma con costi di struttura maggiori. Un modello combinato come il nostro consente una maggiore flessibilità in un settore come quello dell’arredo outdoor, in cui ci si riferisce ad aree geografiche differenti per l’approvvigionamento delle materie prime. Dall’Italia, nel nostro caso specifico, alle piantagioni di teak dell’Indonesia”
FILIERA CORTA
Con una storia familiare di tipo industriale alle spalle, Paolo Castelli, imprenditore che dà il nome all’azienda bolognese da lui fondata e specializzata sul contract, sceglie la strada dell’essere editore. Con scienza e coscienza, visto che, ricorda Castelli, “mio padre aveva un’azienda con mille operai”. Una cultura d’impresa da una parte, ma anche la constatazione che oggi per un certo tipo di prodotto, la produzione interna “non è più possibile, perché nel mercato dell’alto/altissimo di gamma, nel quale lavoriamo, i numeri sono elevati, ma molto parcellizzati. Di conseguenza, hai la necessità di essere veloce, flessibile e di potere utilizzare vetro, metallo, tessuto con le medesime competenze”. Non solo. È possibile che per una collezione si usi di più un materiale rispetto a un altro “e dunque non si può giustificare la parte che è stata attivata come industria”. Paolo Castelli ha scelto di “utilizzare la filiera potentissima che esiste in Emilia Romagna, fatta di artigiani di altissimo livello in grado di costruire più o meno tutto. Per raccontare quello che facciamo dico sempre: se pianto con un compasso al centro dell’azienda, nel raggio di 10 chilometri ho tutti i fornitori necessari”. E non c’è, come molti pensano, una sorta di cessione di potere legato al progetto: “Il know how è nostro e questo ci cautela”. Contemporaneamente si può offrire, oltre alla qualità, anche varietà e la velocità di esecuzione che, afferma Castelli, “è un grandissimo vantaggio che mettiamo a disposizione dei nostri architetti”.
FABBRICA DIFFUSA
Anche il sistema produttivo di Visionnaire, racconta il fondatore e CEO Leopold Cavalli, “si impegna ad affrontare le sfide connesse ad ogni realizzazione, progettando un processo di fabbricazione che somma le migliori competenze presenti sul territorio nazionale italiano. La linea di produzione è strutturata sul modello della fabbrica diffusa, parcellizzata in frazioni sempre e comunque interconnesse tra loro, che mette a sistema la stratificazione di competenze altamente qualificate dei singoli distretti produttivi della Penisola italiana valorizzandone le eccellenze di settore”. In questo modo, continua Cavalli, “l’inestimabile patrimonio di sapienze possedute dalle comunità con una spiccata specializzazione artigiana, coniugata alle nostre capacità creative, di visione e d’indirizzo generale, origina una formula operativa che ha il suo baricentro nell’assoluta e primaria valorizzazione del fattore esperienza. Oltre a garantire alti livelli di qualità materiale del prodotto finito, che di per sé assume ineccepibili caratteri di assoluta pregevolezza, questo originale approccio rispecchia la nostra ferrea volontà di credere ed investire nei rapporti umani, allacciando e coltivando relazioni professionali – ma anche personali – utili a maturare esiti di reciproco beneficio”.
PIÙ ARTE CHE DESIGN
Puntare sull’identità, sulle capacità di sviluppo e di progetto è la chiave di volta per competere in un mercato in cui “la possibilità di crescere spesso deriva dall’essere un po’ più bravi rispetto a tutti i competitori”, afferma Giuliano Mosconi presidente e CEO del gruppo Tecno di cui Zanotta fa parte, dopo l’acquisizione del febbraio 2017. Ciò che serve, sostiene, è avere “prodotto e motivazioni”. Zanotta edita le sue collezioni, Tecno produce: “il nostro è un percorso duale: da una parte più tecnico e tecnologico per Tecno, e dall’altra verso un nuovo Umanesimo, con l’uomo al centro che fa delle scelte molto più personali rispetto al passato”. E per rispondere alle esigenze dell’uomo, è necessario “occuparsi tendenzialmente di ricerca”. Per Mosconi, in questa prospettiva “non conta tanto che la produzione sia esterna o interna”, cioè non ha ricadute l’uno o l’altro modello produttivo sul perseguimento dell’obiettivo. La decisione di affrontare il mercato da editori o da produttori sta tutta nei numeri, nelle quantità, nel mercato. Ma “non c’è dicotomia”. Questo fa Zanotta: “oggetti con caratteristiche estetiche e di contenuto che si avvicinano più a ricerche artistiche o artigianali, a seconda delle situazioni, rispetto a prodotti che sono ripetitivi anche se fatti ‘con un po’ di design’”.