Pesaro è ancora la capitale della cucina italiana? Probabilmente sì. Fino agli anni Duemila, o meglio fino alla crisi del 2008-09, a fronte di questa domanda avremmo assistito a un coro di “sì” che traeva forza dai numeri e dal fatto che quello marchigiano fosse l’unico distretto italiano del mobile dominato dalla presenza di una filiera completa di produttori specializzati nel mondo kitchen. Oggi, come ricorda Moreno Bordoni, presidente della nuova Azienda speciale “Mobile e Meccanica” della Camera di Commercio delle Marche e segretario provinciale di Cna Pesaro Urbino, i numeri sono certamente inferiori perché il decennio di crisi ha determinato una forte selezione di player. Tuttavia, per completezza di filiera, quello pesarese continua a rappresentare a tutti gli effetti un distretto. Ed è anche in discreta salute, stando agli ultimi dati legati all’export.
IL PESO DELLA MECCANICA
“Nonostante i tre mesi di blocco produttivo, la flessione semestrale è stata del 18% a livello di distretto, e per le cucine il calo è ancor più contenuto”, afferma Bordoni. L’incremento dell’export è stato più o meno costante nel decennio di crisi, durante il quale le aziende che dipendevano dal mercato interno hanno dovuto scegliere l’internazionalizzazione come via di sopravvivenza, data la contrazione dei consumi domestici. E oggi, sostiene Bordoni, la priorità assoluta per intercettare la ripresa è proprio legata alla necessità di riallacciare rapporti “normali” tra aziende del distretto e clienti esteri, fatto non proprio semplice in assenza di fiere e possibilità di viaggiare. Ci sono poi dei limiti logistici e tecnologici su cui il sistema distretto si attende delle risposte da parte pubblica. Il primo è proprio quello legato ai trasporti e alle infrastrutture. “In questa provincia, l’unico punto di riferimento certo è l’autostrada, fortunatamente allargata a tre corsie”, afferma il segretario di Cna. “Per il resto, la situazione aeroportuale è quella che è… per viaggiare, ci dobbiamo spostare su Bologna e anche oltre. Esistono, a livello stradale, degli enormi limiti infrastrutturali nei collegamenti est-ovest e forti problematiche nell’entroterra. Per non parlare delle telecomunicazioni, visto che abbiamo zone dove non prende nemmeno il cellulare. Si tratta di priorità assolute, sulle quali è necessario intervenire per rendere più competitive le imprese del mobile”. Ciò non toglie che le aziende pesaresi della cucina, come del resto le altre in Italia, abbiano ripreso l’attività dopo il lockdown con più ordini del previsto, e questo vale sia per quelle che operano all’estero sia per quelle legate al mercato interno. Marinelli, per esempio, oggi lavora su due turni ed è un gruppo specializzato per la grande distribuzione nazionale. E c’è un ottimo sentimento anche tra i maggiori nomi dell’indotto, tra i quali spiccano realtà come Italservice per la produzione dei bordi, Pantarei per l’innovazione dei processi e la componentistica, senza dimenticare il leader dei macchinari, BiesseGroup, e altri specialisti della meccanica applicata al mobile come Neomec o Gambini. Il consolidamento di queste e altre realtà ha permesso, ricorda ancora una volta Bordoni, di mantenere in vita un sistema di distretto e forme di coesione sociale grazie alla tenuta dell’occupazione, pur senza compensare le perdite registrate tra i produttori di cucina a marchio, dove attorno al portabandiera di Pesaro nel mondo, il gruppo Scavolini, si è creata una sorta di vuoto. “La fortuna di Pesaro – conclude Bordoni– è stata quella di disporre di un indotto della meccanica applicata al mobile che ha saputo cambiar pelle nel corso degli anni. E di un contoterzismo fortemente resiliente. La selezione c’è stata, ma abbiamo mantenuto un apparato produttivo all’altezza”.
BUONI I FONDAMENTALI
A confermare la completezza del sistema distretto tra Pesare e Urbino è Fabiana Scavolini, CEO di Scavolini, azienda leader non solo del distretto pesarese, ma anche del panorama italiano delle cucine con 217 milioni di ricavi nel 2019. “Certamente il territorio ha sofferto la crisi post 2008-09 e oggi appare ridimensionato – spiega – ma un gruppo come il nostro riesce comunque a trovare, all’interno del distretto, degli interlocutori in grado di assicurare forniture adeguate e in linea con gli standard da noi richiesti. Ciò non toglie che oggi Scavolini abbia la necessità di approvvigionarsi anche da fornitori esterni al distretto. Anche perché si è allargata ampiamente la gamma di prodotti e componenti che dobbiamo inserire in un sistema complesso come quello della cucina, basti pensare alle luci o alle soluzioni tecnologiche. E per operare nel mercato occorre disporre di interlocutori in grado di rispondere ai nostri requisiti in termini di servizio, qualità e prezzo. Il criterio della vicinanza tra cliente e fornitore resta fondamentale, sia in ambito retail sia in quello del contract, specie quando si tratta di realizzare nuovi modelli. Ma non può costituire un limite”.
Scavolini osserva un buon momento a livello di produzione e ordini. “Tutti si augurano che non rappresenti solo un rimbalzo post lockdown, ma credo che nessuno sappia cosa ci aspetta nei prossimi mesi, in cui comunque sarà impossibile recuperare quanto perso nei due mesi di lockdown”, afferma la ceo, che sulla bontà dei “fondamentali” di distretto non ha alcun dubbio. “Certamente la logistica presenta qualche limite, ma è perfettamente gestibile dalle aziende più strutturate. E anche a livello formativo non vedo particolari carenze, poiché esistono forme ben avviate di collaborazione tra realtà produttive e scuole professionali. Le difficoltà del distretto, negli ultimi anni, non sono dipese da eventuali limiti del territorio, bensì dalla crisi del mercato e dalla sempre più elevata concorrenzialità dello stesso, che ha ridotto il business di una parte dei produttori. Chi ha superato la crisi lo ha fatto ampliando i propri mercati di riferimento e investendo in un sistema organizzativo sempre più evoluto ed efficiente”.