Non solo luogo d’incontro per addetti ai lavori, oggi lo showroom è strumento di comunicazione a tutto tondo, che arriva al cliente finale: ecco come accrescerne il potenziale.
di Antonella Galli
Negli ultimi due anni Patricia Urquiola ha progettato a Milano, in modalità molto differenti, il nuovo assetto dello showroom Cassina di via Durini, l’innovativa boutique Crystal Studio Swarovski in via Dante e il primo spazio retail di Mutina, brand di rivestimenti ceramici d’autore. L’intervento sullo showroom Cassina, che da oltre cinquant’anni costituisce un riferimento per progettisti e retailer, ne ha ampliato funzioni e capacità espositiva grazie alle nuove aree che possono ospitare eventi, cene, incontri, showcooking; il Crystal Studio Swarovski, ideato come spazio interattivo e di intrattenimento oltre che di vendita, è il capostipite di una serie di negozi che apriranno in tutto il mondo; il progetto di Casa Mutina ha convertito un’abitazione in zona Brera nell’hub narrativo e commerciale del marchio di ceramiche. Tre progetti che, nella loro diversità, sono accomunati da un principio: lo spazio retail deve essere coerente con l’identità del brand e, al contempo, deve saper mutare, interagire, dialogare. Abbiamo chiesto a Patricia Urquiola come sia possibile far convivere queste esigenze, visto che nei tre progetti milanesi l’architetto è riuscita a interpretare la visione delle aziende traducendola in spazi vivi e accoglienti, e attraenti anche per un pubblico più ampio.
Come sta evolvendo il progetto degli spazi retail dedicati all’arredo?
Stiamo vivendo una fase in cui si sta rafforzando – o in alcuni casi creando – la connessione diretta tra i brand e i clienti finali. La comunicazione in senso bidirezionale è sempre meno filtrata da passaggi intermedi e permette di offrire una percezione della narrativa dell’azienda e di avere una risposta immediata dal mercato. Per questo quando si progetta per il retail è necessario costruire un universo integrato, dove lo spazio fisico diventerà rappresentazione del marchio ed espressione della sua credibilità. L’intenzione è quella di creare una bolla che permette di entrare nell’identità del marchio, e in stretta relazione con l’e-market e la comunicazione analogica e digitale. Le dimensioni, le sensazioni fisiche, tattili, l’esperienza e l’investimento temporale ed economico nei prodotti rendono ancora importante lo spazio fisico. Esempi come RH o Design Within Reach negli Stati Uniti sono un possibile modello.
Per le aziende quale significato e valore assume oggi lo spazio di esposizione e vendita al pubblico? Cambieranno le funzioni, le dimensioni, le modalità di accoglienza e attività? E come?
Lo store dovrà essere coerente con il brand, con le sue potenzialità e i suoi clienti. Ad esempio, lo showroom di Cassina in via Durini a Milano, uno dei primi showroom mono-brand nel settore del design in Italia, ha già festeggiato il suo cinquantesimo anniversario. Abbiamo deciso di raddoppiare lo spazio, accogliendo degli eventi culturali, delle mostre d’arte, una cucina professionale per servire colazioni e cene con clienti, giornalisti e fan del marchio. La flessibilità data dai due livelli permette di tenerli separati o unirli. Lo showroom diventa il luogo in cui presentare i nuovi prodotti, ricevere un cliente privato o business: per l’azienda è uno strumento di rappresentazione e di estensione.
Diverso è il progetto di Casa Mutina, sempre a Milano, inaugurato la scorsa estate. È uno spazio domestico, curato, caldo, che risponde a diverse esigenze e diversi utilizzatori. Abbiamo creato un club per specialisti del settore, architetti, interior designer o developer, che possono ricevere un’assistenza tecnica; ma anche i privati possono visitarla e vedere la più ampia presentazione di prodotto, per poi essere indirizzati su un rivenditore. L’importante è superare l’esposizione statica dei prodotti, per ricercare un continuo rinnovamento dello spazio e degli oggetti.
Quale ruolo assumeranno la tecnologia e il digitale nella progettazione dello spazio vendita? Porteranno a modificare i comportamenti dei clienti e in che modo?
La tecnologia e il digitale sono già entrati nei progetti retail e penso che la loro presenza crescerà sempre di più. Abbiamo sperimentato proprio con il nuovo format retail di Swarovski – presentato a Milano in anteprima a ottobre 2019 – la possibilità di interagire con i social attraverso un fun wall presente in negozio o, ancora, di ricevere consigli di styling online su un gioiello che si è selezionato fisicamente in negozio. Insomma, il progetto favorisce un’interazione profonda fra digital e mondo fisico che credo possa essere la chiave anche per le aziende di design. La visita in showroom deve essere sempre più un’esperienza. I marchi dovranno essere in grado di esprimere la propria narrativa attraverso una tecnologia evolutiva, che non invecchia velocemente, meno dipendente da un hardware visibile, ma aggiornabile continuamente da remoto.
Ampliando la visione, nel settore arredo ha senso contaminare gli spazi retail con altre attività, come ad esempio la ristorazione pubblica, o farli convivere altre tipologie merceologiche, come sta accadendo nel settore fashion?
Sì, se la presenza è credibile e coerente con il marchio. Il limite del settore dell’arredo è sempre stato quello di non saper parlare ad un pubblico più grande, ma di comunicare in modo diretto principalmente agli addetti ai lavori. L’arte, ad esempio, è un canale che permette di declinare i valori dell’azienda e creare ulteriori occasioni per far vivere lo showroom. Il food è direttamente collegato con la domesticità e l’ospitalità e permette di vivere in una situazione reale i mobili e gli oggetti per la tavola del marchio. Talk ed eventi danno la possibilità di vivere il brand al di là di quella che può essere una visita convenzionale e sollecitare stimoli per una conversazione sulla realtà dell’azienda, sui suoi valori e sui suoi obiettivi futuri.