La rivoluzione del new retail passa tramite l’e-commerce come opportunità per intrecciare una serie di relazioni tra digitale e canale tradizionale, a patto che l’arredo di design sia disponibile a mettere in discussione le sue modalità acquisite. Ne parlano tre sviluppatori di piattaforme digitali: Furnichannel, Diana Corp e Triboo.
Un tempo si pensava che il digitale fosse il vero nemico delle vendite su canale tradizionale, mentre oggi prevale una tesi meno drastica. I numeri presentati da Boston Consulting Group, infatti, indicano che l’online spinge di circa il 60% gli acquisti complessivi, mentre mette a rischio solo il 40% di quelli tradizionali. In Cina, mercato che nel 2025 genererà il 70% delle vendite di lusso, gli acquisti influenzati dall’online toccano già il 64% contro una media del 42% in Europa. E questo vale anche per il settore del design, dove gli acquisti online stanno crescendo alla media di un +6% annuo e con prospettive di crescita ulteriore.
STOP AL MADE TO ORDER
Tiziano Pazzini, CEO e founder di Furnichannel, azienda digital partner per l’industria del design, supporta i brand in operazioni di lead generation, drive to store, progetti omnicanale – per integrare digitale e negozi – e nella creazione e sviluppo di piattaforme ecommerce. “Il tema è quello della omnicanalità più che dell’ecommerce”, conferma Pazzini, “perché l’integrazione di un punto di vendita fisico in un progetto di branding, anche nel mondo del commercio digitale, è fondamentale soprattutto per i prodotti di design per l’arredo”. I punti vendita devono essere integrati nella piattaforma per generare un flusso di vendita continuo tra l’online e lo showroom. La piattaforma non deve essere considerata solo come punto di conversione all’acquisto, ma anche come strumento di vendita dei canali offline, uno strumento per allargare il pubblico e per portare persone anche ai punti vendita fisici. “Il prezzo non è un vincolo”, continua Pazzini, “e il pubblico compra online più prodotti di lusso che di bassa fascia. Il vero vincolo dell’arredo sono i tempi di attesa. Il mobile italiano è quasi sempre ‘made to order’, lo si produce a seguito di un ordine, mentre le persone che acquistano online sono abituate a trovare il prodotto a disposizione”.
Un’opportunità che hanno i brand è quindi quella di lavorare su cataloghi prodotti disponibili subito. “L’altra criticità in termini di esperienza di acquisto”, conferma il fondatore di Furnichannel, “è che i brand, essendo molti dei loro prodotti realizzati su richiesta, spesso non hanno materiali per supportare la comunicazione e il marketing.” Una T-shirt, ad esempio, la si può vedere in tutte le colorazioni, tessuti e personalizzazioni; invece, la foto delle diverse versioni dei complementi d’arredo spesso non c’è perché non sono stati ancora realizzati.
“Il tema dell’ecommerce, nel mondo dell’arredo, è di offerta più che di domanda; quest’ultima c’è e i clienti vogliono comprare online”, conferma Pazzini. Il 6% dell’arredo in Europa viene già venduto online, l’offerta dei marchi italiani è ancora debole, stanno invece crescendo molto i brand tedeschi e svedesi che da sempre lavorano anche su piattaforme digitali. E anche la paura di dover applicare una forte scontistica è un preconcetto da superare. Sulle piattaforme ci si muove come nel mondo fisico; i canali si posizionano in aree di mercato differenti e vendono a prezzi diversi. Ci sarà il brand che vende a prezzo pieno e poi gli outlet e i plurimarca che applicheranno scontistiche dedicate.
Il mercato degli acquisti online sta quindi crescendo molto velocemente, ma anche rivoluzionando le tecniche e gli ambienti digitali. Sta cambiando il mondo degli acquisti programmati (i settori più rappresentativi sono quelli dell’auto e dell’arredo); dalle piattaforme multibrand si va verso le monobrand e che si affidano ad una tecnica di vendita conversazionale. “Le repository di prodotti o le gallery sono sempre meno efficaci per prodotti complessi, quale l’arredo”, conclude Pazzini, “e nelle piattaforme di nuova generazione, scriveremo in una chat molto evoluta i nostri desiderata e l’ambiente digitale, nel tempo e spazio della conversazione, ci proporrà soluzioni e sistemi, dandoci tutte le informazioni necessarie alla scelta e quindi all’acquisto”.
IMPARARE DALLA MODA
È innegabile che la moda abbia fatto da apripista nel settore degli acquisti online e che il design guardi con attenzione proprio a questo mercato per modellare una propria presenza sui canali digitali. Diana Corp è una agenzia che opera a livello internazionale ed è stata fondata da Stefano Mocellini, amministratore delegato, con Margherita Silvestri, chief creative officer dell’azienda. Specializzata nella creazione, gestione e promozione dell’ecommerce per fashion brand, in questi ultimi anni sta lavorando anche con marchi del design per farli arrivare alla vendita online.
Diana Corp affianca il cliente in tutte le fasi della realizzazione e della gestione di un sito ecommerce, dalla strategia alla tecnologia, passando per il design, il content e le operation. Tutto gestito internamente, per poter assicurare un alto livello qualitativo della filiera.
“L’ecommerce è una parte del processo di digitalizzazione dell’azienda”, ci racconta Mocellini, “e intraprendere una percorso di avvicinamento al commercio digitale significa ripensare all’organizzazione interna dei flussi oltre che alla distribuzione e al marketing”.
L’ecommerce è solo uno dei settori che spinge l’azienda verso un grado evoluto di digitalizzazione. Molte aziende del design, con una forte storicità, si trovano a dover intraprendere un percorso di aggiornamento anche del modello di business, pur realizzando prodotti di grande appeal e qualità, anche iconici, che hanno fatto il successo della marca e che sono ancora in vendita. Il primo passo è quello di selezionare prodotti ‘ready to ship’, che ingombrano poco; si lavora ad un catalogo non troppo vasto, di oggetti e complementi disponibili a magazzino e che sono facilmente acquistabili online. Ci sono invece prodotti che hanno bisogno del cosiddetto ‘ultimo miglio’: i rivenditori di zona, la rete di showroom, che abitualmente seguono il cliente anche per esigenze specifiche di personalizzazione, nella consegna e installazione.
Quanto investe un’azienda per aprire un punto di vendita fisico? Spesso molto, e spesso sono investimenti che non vengono ripagati, ma che servono a posizionare il marchio anche a livello internazionale. Ma sempre più spesso il primo punto di contatto con un brand è digitale; se quindi il mio primo incontro è in un ambiente inadeguato, ho mancato da subito l’obiettivo di engagement del cliente. E comunque la strategia di vendita non potrà prescindere dal rapporto con i flagship o gli showroom che sono gli snodi della rete distributiva.
“Anche la politica dei prezzi deve cambiare”, conferma Mocellini “e non è vero che chi vende online deve applicare una scontistica alta o avere prezzi bassi. La moda ha dei tempi di creazione, realizzazione e distribuzione molto veloci, e un ricambio altrettanto veloce e ha una esigenza di scontistica dettata dalla rapida ‘obsolescenza’ dei prodotti. Ma se voglio acquistare l’ultima collezione di Gucci, anche online, la pagherò a prezzo pieno. I marchi della moda dettano il prezzo, anche nei portali del lusso, e chi distribuisce non può superare i livelli di ribasso definiti. Poi c’è il mondo degli stockisti che vende con prezzi, tempistiche e logiche distributive differenti. Bisogna lavorare ad un modello per il mondo del design, che ha tempi più lunghi di break even anche nell’ecommerce, soprattutto se si vende a prezzo pieno”.
Rinnovare o attuare una strategia di digital marketing vuole dire supportare il sistema di vendita nella nuova configurazione, che farà lavorare in sinergia la piattaforma con i canali fisici di distribuzione. Il cambiamento verrà avvertito anche nei punti vendita fisici, che applicheranno scontistiche e promozioni dedicate, servizi evoluti, con una spinta al ‘drive to store’ generata dalla piattaforma digitale che spingerà a perfezionare l’acquisto in showroom. “Se si va a fare parte di una piattaforma multibrand, con centinaia di marche e migliaia di prodotti”, conferma l’AD di Diana Corp, “è possibile sviluppare un sito catalogo; se, invece, si è un marchio che deve farsi conoscere e fare comprendere il proprio posizionamento, magari vendendo direttamente, ci si deve raccontare, anche con un programma di contenuti da sviluppare nel tempo, focus sui prodotti, iniziative speciali. Uno storytelling che si converte in acquisto”.
LOGICHE SPECIFICHE
Innovazione e internazionalizzazione sono le parole d’ordine di Triboo, realtà che dalla sua fondazione, circa dieci anni fa, è cresciuta fino a diventare una vera e propria Digital Transformation Factory che affianca centinaia di clienti in tutto il mondo nel loro percorso di digitalizzazione. Quotato sul mercato Mta di Borsa Italiana, opera in quattro macroaree di business: consulting, data e technology, e-commerce, agency service, media e advertising. “Non vediamo limiti particolari a livello di piattaforme ecommerce declinate nel mondo del design: l’importante è avere la capacità di non adottare un modello rigido e scegliere la configurazione tecnologica più adatta alla tipologia di brand e allo specifico progetto”, ci dice Marco Giapponese, di recente nominato direttore generale. “La più grande opportunità da cogliere è la possibilità di esplorare nuovi mercati, mantenendo al contempo un canale esclusivo di comunicazione diretta con i propri clienti, soprattutto nel caso di aziende che non hanno una rete retail, veicolando i valori e le emozioni del brand al consumatore finale”.
In linea generale, quando si parla di ecommerce, anche nel mondo del design, i clienti sono alla ricerca di flessibilità e soprattutto dal punto di vista di front-end estetico, ovvero, l’unicità del marchio deve riflettersi in un sito che ne rappresenti i valori e il posizionamento. Le aziende cercano, da parte delle agenzie, un approccio consulenziale, per essere supportati e guidati nella scelta degli investimenti più profittevoli e coerenti con i propri obiettivi. “In questa direzione”, racconta Giapponese, “il nostro modello di revenue share ci stimola a far sì che ogni store sia non solo un progetto di comunicazione e asset digitale del brand, ma anche un canale di vendita strategico per il marchio. Nel caso poi di aziende retail, le richieste sempre più frequenti sono customizzazioni che puntano sulla multicanalità (reso in negozio, ritiro in negozio, condivisione dello stock con la rete fisica)”. Anche per Triboo, multicanalità e frammentazione sono ormai le parole chiave per descrivere l’evoluzione del commercio digitale. Ogni canale ha le sue logiche e caratteristiche specifiche, e con la proliferazione dei device si assiste ad una vera e propria frammentazione. La risposta vincente è la multicanalità, sia dal punto di vista di soluzioni operative sia dal punto di vista della comunicazione. La maggioranza degli utenti effettua un acquisto dopo aver interagito con almeno due touch point, quindi è essenziale dotarsi di una struttura integrata per gestire il retail multicanale, in cui il cliente rimane al centro. Conclude Giapponese, “Restano poi ancora da cogliere le sfide dell’internazionalizzazione: l’Asia, ad esempio, rimane un mercato con potenzialità altissime ad oggi non del tutto sfruttate”.