La globalizzazione ha mostrato il rovescio della medaglia. A partire dagli anni Novanta ha ridotto gli ostacoli alla libera circolazione di merci e capitali. Ma ora presenta il conto. Ed è salatissimo.
Gli ultimi tre anni, due di pandemia e ora la guerra nel centro dell’Europa tra Russia ed Ucraina, hanno mescolato le carte, stravolto le priorità e ora costringono a ripensare gli stili di vita e anche il modo di fare impresa. Oggi l’emergenza è avere il prima possibile una filiera corta disponibile, ridisegnare la geografia di approvvigionamento dei materiali e delle materie prime, fare scounting di Paesi per acquisti economici, nuovi business sostenibili e usare la creatività per immaginare un mondo diverso, stavolta con la complicità della natura. Ma quando è cominciata la crisi vera su scala globale che ha fatto scattare la necessità di riorganizzare delle imprese? E quali sono stati gli effetti-domino? Le prime avvisaglie si sono avute nel 2020, con la comparsa di un (fino allora sconosciuto) tipo di coronavirus, che scatenerà in pochi mesi il Covid e una pandemia mondiale dagli effetti imponderabili. Con il lockdown, sono cambiati i consumi: meno logistica, zero trasporti, aumento degli acquisti online, molto imballaggio. Quando sembrava che tutto si fosse placato, è stato il tempo della seconda ondata: un lockdown più light che ha consentito la ripartenza delle imprese. Ma l’inevitabile conseguenza di una ripresa tumultuosa e istantanea è stato uno shock sulle scorte di materie prime, che ha ulteriormente gonfiato i prezzi. E con l’aumento dei prezzi sono aumentati anche i costi della logistica, quadruplicati rispetto agli anni pre-Covid.
CORTOCIRCUITO NEL MERCATO MONDIALE
L’insieme di queste concause ha prodotto un cortocircuito del mercato mondiale. Considerando che l’Italia dipende per circa l’80% dalle importazioni di materie prime, l’industria italiana ha sofferto più di altre. Quella del legno, per esempio, ha subìto aumenti dei prezzi in alcuni casi anche del 300%. Legno da costruzione, soprattutto, per l’industria del mobile. Quello per la realizzazione delle scocche o dei fusti proviene in buona parte dalla Russia. «Il conflitto in Ucraina peserà su un 15 % abbondante del nostro fatturato; per un bel po’ dalla Russia non arriverà più niente – dice Moreno Brambilla CEO di Oniro, il gruppo con sede a Cantù che opera nel settore dell’arredamento di lusso dagli anni Ottanta – e quindi, come conseguenza inevitabile, la percentuale di importazione da altri Paesi vicini crescerà proporzionalmente, ma con costi ben più alti». Si parla di nuove opportunità che si aprono per i mercati di Finlandia, Svezia, Romania e anche Sudest asiatico o Sudamerica. Una riflessione interessante che parte proprio dagli effetti di un eccesso di globalizzazione la fa l’architetto e designer Marco Acerbis, una laurea al Politecnico, una forte esperienza a Londra allo studio Norman Foster e la progettazioni per molti big del mercato come Fontanarte o Talenti. “Il problema del reperimento delle materie prime oggi parte da molto lontano. In questi ultimi tre anni Covid e conflitti hanno completamente cambiato il mondo, ma era un mondo ormai abituato a un modello di commercio e industria iperglobalizzata e iperorganizzata con delocalizzazione prestabilite, sempre le stesse, dagli stessi Paesi. Questi ultimi avvenimenti, molto drammatici – dice – ci impongono una riflessione sul cambiamento che deve rimodulare il mercato su una scala più piccola, una filiera più corta, più agile; ma non è facile e soprattutto non può essere un cambiamento immediato”. “Volendo descrivere la situazione attuale con un’ immagine – aggiunge Acerbis – penserei a una grande nuvola di puntini che si sta spostando, ma bisogna capire in che direzione si sta spostando e prendere atto che per ora la connessione fra i puntini resta sempre la stessa”. E ancora: “Per quanto riguarda la filiera di approvvigionamento è la stessa da anni, non è facile cambiarla completamente e la difficoltà maggiore della situazione contingente sono i prezzi. Per fare un esempio concreto: un’ azienda di allestimenti ha bisogno di imballaggio, ad esempio di legno. Un imballaggio di un legno “povero“ o comunque di un qualsiasi legno di scarto oggi costa come tre anni fa ne poteva costare uno di noce, cioè 4 volte tanto”. In che senso cambierà la geografia dei materiali? “Si potrà guardare ai Balcani – risponde Acerbis – la sfortuna della Cina o della Russia, farà la fortuna della Romania o della Turchia, ci sarà un rimescolamento delle carte, un riequilibrio degli sbilanciamenti”.
SI TORNA A SPERIMENTARE
Nelle more di una situazione di incertezza e di cambiamenti non istantanei si torna a parlare di sperimentazione; ad esempio quella sulla plastica bio che non può essere demonizzata in senso assoluto. “Un conto è la plastica della bottiglietta di acqua, degli imballaggi e delle mascherine. Un altro è la plastica che compone una sedia non usa e getta, che dura nel tempo e, in fondo diventa un prodotto molto sostenibile”. Ecco, continua Acerbis, serve “una sostenibilità di pensiero e di prodotto: a questo si deve puntare oggi. A costruire oggetti solidi che si possano utilizzare per i prossimi 40 anni. Questa potrebbe essere una risposta immediata, una soluzione alle difficoltà del mercato di oggi”. Chi non risente ‘geograficamente’ della crisi, ma rileva l’aumento stellare dei prezzi del legno pregiato è Riva1920 che tramite il fondatore Maurizio Riva, fa una analisi lucida della situazione e lancia un messaggio chiaro e di sostanza: “Per traghettare le aziende fuori da questa crisi mondiale bisogna tenere il polso fermo sulla sostenibilità, imprescindibile, e diventare molto flessibili sull’uso di materie prime. Detto in parole semplici se non ci sono più giacche blu – dice Riva – dobbiamo cercare di investire su quelle nere o gialle, sempre tenendo ferma la qualità della produzione”. Nel caso di Riva significa diversificare il tipo di legno utilizzato. Se noce e quercia bianca scarseggiano e quindi hanno costi troppo alti, allora si utilizza il ciliegio, il rovere, l’acero americano; si guarda al mercato della Nuova Zelanda, dell’Australia, in una visione del commercio mondiale ancora più allargata. “Noi da sempre prendiamo il legno massello dal Nord America – spiega il presidente – legno di foreste; la possibilità di approvvigionamento da quel mercato non è stata completamente alterata dai conflitti. Risente soltanto della situazione di sofferenza generale dovuta soprattutto alle difficoltà logistiche”. Un altro elemento fondamentale su cui insiste Maurizio Riva è la sostenibilità: “Non abbiamo mai usato truciolato, mai prodotti come la formaldeide. Sostenibilità per noi significa, prima di tutto, produrre per tramandare. Amiamo dare una seconda o addirittura terza vita al legno. Pensiamo alle briccole: da albero, quindi dalla loro prima vita, hanno avuto una seconda vita diventando i pali delle acque di Venezia ed ora la terza vita come elemento di arredo”. Accanto ai legni di forestazione americana, l’azienda utilizza legni come il Kauri millenario della Nuova Zelanda e il Cedro del Libano. Anche Cristiano Venturini, amministratore delegato iGuzzini, oggi parte del Gruppo svedese Fagerhult, si gioca la carta della diversificazione.
“Oggi le scorte non sono adeguate per tutte le famiglie di prodotto. iGuzzini gestisce circa 13 mila famiglie di prodotto finito ed è evidente che non possiamo avere tutto per tutti. Cosa abbiamo fatto? Abbiamo deciso di rivedere una codifica dei prodotti. E abbiamo deciso di fare cose in maniera diversa, o meglio, cose diverse. Ci siamo rimessi in discussione. Come con il Covid prima, la situazione attuale è stata l’occasione per rimettere in discussione uno status quo. Oggi lo shortage di risorse può essere uno stimolo. Abbiamo preso famiglia per famiglia e verificato quale driver, componentistica, circuito elettrico potesse dare performance anche migliori attraverso una strada che magari prima non era stata battuta. La situazione ci ha richiesto di rivedere la proposition value in alcune famiglie di prodotto, ma migliorandole”.
DIPLOMAZIA GREEN VERSO PAESI CHE HANNO MATERIE PULITE
La riflessione sulla nuova geografia va estesa non solo a nuovi Paesi, secondo l’architetto Mario Cucinella, ma anche alla sperimentazione specifica di nuovi materiali. “Per tanti secoli le uniche risorse disponibili sono state quelle legate alla natura, quindi sole, aria, pioggia – dice – poi è arrivata la rivoluzione industriale che ci ha fatto fare passi da gigante, ha portato innovazioni, tecnologia, derivati del petrolio e tanto altro. Ma la natura resta, però, un qualcosa di misterioso. Dopo questi tre anni – continua – dobbiamo ri-immaginare il mondo, recuperare quella storia cancellata dalla modernità, che ha avuto anche molti lati positivi, ovviamente. Dobbiamo guardarci alle spalle per disegnare la rotta del futuro, per recuperare conoscenza e utilizzare il clima come elemento di progettazione. Gli edifici devono dialogare con l’energia gratuita, bisogna utilizzare materie che esistono in natura e hanno un impatto sull’ambiente completamente diverso. La transizione ecologica, che è già in atto, per realizzarsi appieno deve però tenere conto di una diplomazia green che si relazioni con i Paesi che hanno materie pulite da vendere”. Esempio virtuoso citato da Cucinella è il progetto ‘Desertec’, che consentirebbe, sfruttando le aree desertiche del Sahara e del Medio Oriente, di generare energia elettrica pulita per alimentare il fabbisogno di quegli stessi Paesi, ma anche di una buona parte d’Europa, attraverso elettrodotti nel Mediterraneo. Il visionario progetto, concepito nei primi anni Duemila, si è poi scontrato con alcuni (pochi in realtà) ostacoli tecnologici, ma soprattutto gravi problemi geopolitici. Ma la Fondazione che ne è scaturita è tutt’ora al lavoro su una versione Desertec 2.0 di impostazione meno ‘colonialista’ e più inclusiva. Ma per tornare a bomba dalle ‘geografia energetica’ a quella delle materie prime e dei nuovi materiali pret-à-porter, proprio la materioteca del Salone del Mobile è un esempio di materiali virtuosi già esistenti; anzi alcuni già in produzione da parte di pmi a filiera corta o cortissima. Cucinella cita ad esempio il bambù, la canapa, l’’orange fiber’ fatta con materiali di scarto delle arance, i pannelli fatti con le squame di pesce. O ancora, dalla lavorazione delle bucce del riso si può ricavare materiale per intonaci. L’interior design e l’edilizia danno molte opportunità ai materiali alternativi che si troveranno esposti al Salone. Si possono realizzare ancora pannelli d’arredamento in cocco, le cui fibre sono ottimali per realizzare i tessuti e i rivestimenti. Alcuni tessuti d’arredo possono essere ricavati dagli scarti della lavorazione del mango o di altri frutti esotici e, ancora, scarti trasformati e riusati. Di questi ultimi le città sono piene. Ecco quindi che emerge, in questa fase, il ruolo chiave del designer, fondamentale è la sua capacità di tracciare la rotta usando la creatività per ipotizzare un mondo alternativo. Un mondo in cui la sostenibilità non sia solo marketing. Tante sono quindi le suggestioni e le riflessioni da cui nasce il progetto di Cucinella ‘Design with Nature’, un progetto emozionale che parla di riciclo, upcycling, che mette in scena la riconciliazione possibile tra uomo e natura. Così come tutto ciò che fa parte della natura si trasforma, ha più funzioni e più vite, lo stesso accadrà per le parti che compongono ‘Design with Nature’, un puzzle di forme e funzioni, che, terminato il Salone del Mobile, vivranno di nuova vita e avranno nuove destinazioni: una piccola biblioteca per una scuola o un’aula didattica, una seduta per uno spazio pubblico, un tavolo per un laboratorio. “I materiali di questa struttura architettonica – dice ancora l’architetto – derivano da filiere naturali, a dimostrazione che la transizione ecologica è già in atto”. ‘Design with Nature’ dimostrerà, quindi, che possiamo immaginare un altro modo di costruire e realizzare prodotti, senza continuare a consumare le stesse materie prime, ma attivando percorsi ecologici virtuosi.
IMMERGERSI NELLA NATURA
In questi percorsi virtuosi e innovativi che hanno anche lo scopo di suggerire nuove idee si inseriscono, nel Fuorisalone, le installazioni in città di altri artisti e designer di fama. Questo messaggio di urgenza di immergersi nella ‘natura’ viene richiamato anche dalle opere d’arte che i designer esporranno sulle piazze o negli store dei grandi marchi. ‘Piccoli spot’ per non dimenticare, ad esempio, che esiste anche il mare come grande elemento naturale. E allora l’artista e designer di fama internazionale Matteo Cibic, conosciuto anche per i suoi oggetti dalle funzioni ibride o dalle forme antropomorfe ha ideato l’installazione ‘Neptunia Gin by Hendrick’s’ che prende forma a partire dall’immagine di Anfitrite, moglie di Nettuno oltre che protettrice dell’ecosistema marino, e dalla sua armatura verde che evoca un’alga. L’installazione è composta da un sistema fluido di microalghe in grado di catturare carbonio e rilasciare ossigeno, con una capacità equivalente a quella di 500 alberi. L’obiettivo è sensibilizzare tutti sull’importanza fondamentale della salute anche del mare. E di sostenibilità a 360 gradi parla anche la designer Patricia Urquiola che per lo store Moroso ha progettato il divano ‘Anorak’ rivestito dello stesso tessuto utilizzato per le giacche dagli Inuit in Groenlandia, un mix di nylon, maglina e ciniglia. I materiali utilizzati dalla designer di Ovideo provengono al 100% dal riciclo industriale. “L’esperienza di un tessuto riciclato – dice la Urquiola – è oggi paragonabile a quella di una fibra naturale. Si tratta, fra l’altro, di un tessuto molto resistente all’usura del tempo”.