Con l’approvazione da parte della Commissione Europea del Piano di ripresa e resilienza dell’Italia, il primo passo è compiuto nella direzione dell’accesso ai fondi europei messi a disposizione per il rilancio dell’economia.
Il primo semaforo verde al Pnrr italiano (deve seguire anche quello del Consiglio europeo prima che la Ccommissione stacchi l’assegno della prima tranche di aiuti) è arrivato. Lo hanno annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio Mario Draghi, in occasione della visita a Cinecittà. Un “motivo di orgoglio per l’Italia”, sottolinea il premier, nella consapevolezza che “la sfida è solo all’inizio, quella decisiva è l’attuazione del Pnrr”. Se le riforme e i fondi saranno in grado di creare un ecosistema virtuoso, tutto il sistema produttivo ne beneficerà. Certamente anche la filiera dell’arredamento, che guarda in particolare ai due pilastri del piano, sostenibilità e digitalizzazione, ma anche agli interventi che verranno messi in campo per favorire l’internazionalizzazione e il sostegno alle filiere produttive, nella rinnovata consapevolezza della loro importanza. I temi sul tappeto sono molti, ma per capire se e fino a che punto potranno incrociare i fondi europei bisognerà attendere i decreti attuativi. Il perimetro tuttavia è ben delineato e gli imprenditori del legno-arredo sono consapevoli dello status quo del settore.
VASI COMUNICANTI
Di “piano importante con numeri davvero rilevanti” parla, Andrea Tagliabue, vicepresidente di Tabu, realtà che nasce nel 1927 a Cantù, nel cuore della Brianza, ed è oggi eccellenza italiana nella tintoria del legno presente in oltre 60 Paesi. “L’iniezione monetaria ci porterà sicuramente a risultati importanti, con un incremento in termini di punti percentuali sul Pil per i prossimi anni”. Le possibilità, evidenzia, sono “enormi sia rispetto alla digitalizzazione, sia dal punto di vista ambientale”. E se nel primo caso, il settore è “indietro anni luce, nonostante siano stati fatti grandi sforzi”, va anche detto che “noi rispetto ad altri, come l’automotive, siamo molto più legati alla materia prima, che necessita di essere toccata annusata o comunque sentita. Questo è forse il grande limite, ma nulla è impossibile” assicura. Rispetto alla sostenibilità, il fatto stesso di utilizzare il legno come materia prima avvantaggia ovviamente il settore rispetto ad altri. In particolare Tabu, che proprio il legno tratta con una grande cura da sempre rispetto al tema della riforestazione e delle certificazioni, sta “combattendo contro una ‘concorrenza sleale’”, dovuta essenzialmente a un fatto normativo: “siamo impossibilitati, per normative europee, a importare o trattare determinate materie prime. Un esempio su tutti: l’ebano. Un legno che richiede 300 anni per essere utilizzabile dal punto di vista produttivo, perché è molto denso e la crescita è molto lenta. Oggi noi non vogliamo e non possiamo gestire l’ebano eppure sono molti ancora gli architetti che continuano a specificare la richiesta di ebano. Questo è molto grave – chiosa – perché se io non posso produrlo dove lo comprano? Evidentemente qualcuno lo vende”. Il fatto “grave” è che “la pandemia ha dimostrato che siamo tutti all’interno di vasi comunicanti e se non ragioniamo tutti come tali, ci saranno sistemi e mercati che opereranno penalizzando altri”.
MASSIMIZZARE UTILIZZO LEGNO
Per Tabu il capitolo legato alla transizione ambientale “è molto importante: abbiamo sposato nel lontano 2003 la certificazione FSC che garantisce i concetti di sostenibilità nel taglio della foresta e di tracciabilità del prodotto. Ancora prima, è stato fondamentale dotarsi di un piano di impianti di depurazione delle acque. Noi creiamo acque reflue inquinate e ben prima delle normative ci siamo dotati di impianti di depurazione che oggi sono all’avanguardia”. Ma degno di nota l’obiettivo di Tabu di “massimizzare l’utilizzo del legno: se vado a prendere un albero della foresta e poi ne utilizzo soltanto l’1% e il resto lo butto via, questa non è sostenibilità. Stiamo cercando di sensibilizzare gli architetti a utilizzare di più la materia prima”. D’altra parte, non manca di notare Tagliabue, la nostra fortuna è proprio avere a disposizione una materia prima come l’albero che si può utilizzare per intero, dalla foglia alla radice. La nostra collezione Biodiversity limita l’utilizzo selettivo delle specie legnose. La foresta non può soggiacere alle mode del momento, ma crescere nel rispetto della sua biodiversità”.
ECOSISTEMA MOLTIPLICATORE DI SOSTENIBILITÀ
All’avanguardia Rimadesio, realtà di Giussano guidata dalla famiglia Malberti, il cui Ceo Davide Malberti innanzitutto sgombra il campo da un misunderstanding importante e cioè che essere sostenibili sia costoso: “non è del tutto vero” chiosa. “Per quanto ci riguarda, una produzione sostenibile non solo è un bene per l’ambiente e la comunità, ma permette di ottenere piccoli ma significativi benefici economici. Un esempio: in passato il recupero degli scarti di cartone – ovvero i ritagli degli imballaggi che produciamo just in time – era per noi un onere, un costo. Siamo però riusciti a certificare il ciclo di recupero, destinando gli scarti, pulitissimi, alla produzione di carta riciclata di alta qualità, il tutto a basso impatto ambientale. Questo ci ha permesso di invertire il processo: da costo è diventato ricavo, poiché lo scarto ci viene richiesto e pagato. Questo esempio dimostra come la sostenibilità non sia solo una spesa, quanto piuttosto un processo di conversione culturale”. Addirittura, l’azienda ha deciso di erogare un bonus mensile a ogni dipendente che scelga di recarsi al lavoro con un’auto elettrica, a piedi, in bicicletta, e-bike o tramite car-pooling. E, ancor prima degli incentivi statali oggi previsti, Rimadesio ha installato nel parcheggio aziendale colonnine per la ricarica gratuita a energia solare (prodotta dai suoi 5252 pannelli). Risultato: “sono parecchi i dipendenti che hanno già scelto di acquistare un’auto elettrica, non dovendo sobbarcarsi oneri di ricarica. Anch’io la utilizzo da sei anni e non ho intenzione di cambiare”. Insomma, un esempio di come, se si è in grado di creare un ecosistema virtuoso, gli effetti a catena si manifestano all’ennesima potenza. “Ricordo quando 17 anni fa abbiamo installato il primo impianto di verniciatura ad acqua. Lo abbiamo fatto per tutelare la salute dei nostri dipendenti, non perché una normativa ce lo imponesse. La risposta è stata molto positiva: hanno apprezzato sia clienti che collaboratori. Il nostro approccio green è infatti condiviso a tutti i livelli aziendali”. Anche la filiera Rimadesio – tema al quale il Pnrr dedica un passaggio molto importante in un’ottica di salvaguardia e valorizzazione – è sostenibile, perché “cortissima. La nostra azienda non ha mai delocalizzato. Abbiamo sempre accuratamente evitato la questione. Le collezioni Rimadesio parlano italiano, dalla progettazione alla produzione, dalla ricerca dei materiali alla realizzazione su misura. Vantiamo una filiera italiana al 99%, al 71% ubicata in Lombardia, con processi di lavorazione a chilometro zero che raggiungono il 61% del totale. Siamo da sempre inseriti nel tessuto industriale brianteo e perseguiamo una valorizzazione attenta della manodopera locale, esigendo dai nostri fornitori le medesime garanzie di alta qualità e rispetto dell’ambiente per cui noi stessi ci spendiamo in prima persona.”. Nel prossimo futuro, tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, e’ in arrivo un nuovo, immenso quartier generale. Uno spazio produttivo “ancora più sostenibile e ottimizzato rispetto al sito attuale”. Sempre a Giussano, in un’area industriale preesistente e riconvertita “per limitare al minimo il nostro impatto sull’ambiente”, dove tutto è concentrato, tra produzione, centro sviluppo, comunicazione, showroom e polo logistico. Obiettivo? +50% del fatturato e consumi ridotti al minimo.
BUROCRAZIA, UN TEMA DA RISOLVERE A MONTE
Federico Palazzari, presidente e Ceo di Nemo Lighting, mette in luce il fatto che qualunque iniziativa “appoggiata sul sistema attuale di burocrazia rischia di funzionare a metà. E’ importante dare ossigeno, ma anche snellire tutta la parte a monte altrimenti rischia di essere qualcosa fine a se stesso. E’ già tanto e siamo contenti, ma va detto che il vero tema oggi non è la mancanza di risorse, ma il numero enorme di norme, la mancanza di omogeneità delle stesse e la mancanza di percorsi chiari e semplici, univoci. Perché un conto è lavorare nell’emergenza e un conto è rendere strutturale questo tipo di approccio. Questa la vera sfida”. Una prima risposta, o promessa, è arrivata intanto in questo senso proprio da Draghi: “se l’attuazione del Pnrr va in porto, sono certo che alcune parti dello sforzo fatto dai Paesi Ue e dalla commissione rimarrà strutturale, perché la fiducia è stata ben riposta”. “Contiamo molto su Draghi – evidenzia Palazzari – che conosce ben più di noi queste tematica. In definitiva, il vero valore è che tutto ciò per noi aziende rappresenta un grandissimo spunto di riflessione. In qualche modo, questi incentivi ci obbligano, se non siamo proprio miopi, a fare dei ragionamenti a 360 gradi sulle nostre aziende. Sono spunti imprenditoriali forti. Magari in passato avremmo ritardato un certo tipo di approccio, ora, grazie a queste sollecitazioni che non sono solo di forma ma anche di sostanza, possiamo e dobbiamo affrontare certe tematiche proprio per non perdere il treno”. Per quanto riguarda Nemo, “negli ultimi mesi abbiamo rafforzato il nostro team che si occupa esclusivamente di comunicazione digitale. Per noi è stata un piccola rivoluzione. Il mondo del design su questi aspetti è rimasto sempre un passo indietro e ora invece stiamo ci stiamo investendo. Abbiamo dovuto sopperire alla mancanza di fiere fisiche e anche cavalcato una tendenza dalla quale non si tornerà mai più indietro”.
A UN’ORA DI MACCHINA
Anche per quanto riguarda la filiera, Nemo condivide con altri una “tendenza già in atto prima del Covid: riportare quanto più vicino a noi tutti i partner produttivi. Questo significa che abbiamo avvicinate a noi con una re location degli spazi alcune aziende con le quali lavoriamo in modo costante da anni. Inoltre, e questo è ancora in atto, stiamo chiudendo delle produzioni soprattutto in Est Europa e le stiamo riposizionando in Italia con investimenti a livello produttivo locale. Ormai ci siamo accorti che, soprattutto nel nostro piccolo mondo di nicchia, la delocalizzazione a meno che non offra delle garanzie che è sempre difficile chiedere, è inefficiente: per il trasporto, il controllo della qualità e delle materie prime. Noi abbiamo partner molto validi in Est Europa che intendiamo rispettare. Ciononostante, il nostro obiettivo è riportare la produzione nel raggio di un’ora di macchina dalla nostra azienda. Siamo abituati a programmare molto gli acquisti e la logistica. Così riusciamo a gestire meglio la filiera produttiva e garantire una qualità uniforme”.
QUEL CHE RESTA DI BUONO
“In questo periodo di Covid – evidenzia Claudio Feltrin, amministratore delegato di Arper – abbiamo realizzato quanto è importante essere dotati di strutture digitali che ci consentono di comunicare e mantenere accesa la fiammella dell’economia. Altrimenti sarebbe impossibile. L’Italia non brilla rispetto alla capacità strutturale, ma questo aspetto, di contro, può diventare un plus se si considerano gli ampi margini e possibilità di crescita. Come Arper eravamo attrezzati in questa direzione e dunque ci siamo trovati preparati. Al primo lockdown abbiamo immediatamente deciso per lo smartworking e, nel giro di pochi giorni, siamo riusciti ad allestire da casa postazioni di lavoro per circa il 50% del personale dell’ufficio. I limiti poi, chiaramente, erano legati alle abitazioni più o meno servite da linee veloci”. Ad agevolare in questo senso la società di Monastier di Treviso, la forte esposizione al mercato estero: “ci siamo sempre confrontati – ricorda Feltrin – con partner evoluti e ci siamo dovuti attrezzare con il digitale che è sempre stato fondamentale. Lo stiamo comunque potenziando, anche rispetto all’e-commerce, perché riteniamo che il post Covid lascerà abitudini anche ‘positive’, come la possibilità di riunirsi online, che per altro è anche economicamente più sostenibile”. Digitalizzazione, dunque, grande alleata della sostenibilità. E anche in questo ambito Arper è avvantaggiata: “lavorando molto all’estero dove le certificazioni o sono obbligatorie o vengono comunque richieste nei mercati più evoluti e attenti ai materiali sostenibili e riciclabili, abbiamo iniziato nel 2005 – 2006 con le prime certificazioni”. Da lì “abbiamo iniziato a intraprendere un percorso dotandoci anche di un ufficio preposto a questo scopo”. Un tema, non manca di evidenziare, molto sentito “anche a livello di Federazione (Claudio Feltrin è presidente di FederlgnoArredo). Abbiamo calcolato che il costo per mantenere un team dedicato è di circa 500mila euro l’anno. Una cifra che non tutte le aziende possono permettersi”. Un punto, questo, sul quale, in vista dei percorsi attuativi del Pnrr, il Governo potrebbe fare una serie riflessione per incentivare, defiscalizzando, il percorso delle aziende nella direzione delle certificazioni sostenibili. “Stiamo ancora più spingendo nella direzione della sostenibilità, affinché diventi un fattore culturale e strutturale anche dal punto di vista dell’organizzazione”.
UN TRENO DA NON MANCARE
Il Pnrr e quel che ne verrà “è un’occasione che l’Italia e le aziende italiane non possono assolutamente perdere. In un solo colpo potrebbe riuscire, se ben fatto, a rimettere l’industria italiana su un binario competitivo più forte ed efficace che garantisca il futuro. Altrimenti, siamo ad alto rischio. L’Italia è una grande azienda produttiva, ma è anche piccola. Se pensiamo alla Cina e ai colossi che si sono affacciati al mercato, dire che noi siamo gli unici che sappiamo fare le cose è molto pericoloso. Non c’è nulla di scontato. Anche noi dell’arredamento – chiosa Feltrin – dobbiamo riuscire a mantenere la leadership globale”.
di Maria Elena Molteni