Sono numerose le aziende del design che hanno stanziato fondi per iniziative di arte contemporanea. Un modo per rinsaldare i rapporti con il mondo della cultura.
Negli ultimi 10 anni, il panorama italiano ha visto crescere sempre di più l’interesse, e di conseguenza gli investimenti, dei privati nei confronti dell’arte. Antesignana è stata la moda. Trussardi, Prada, Armani e Furla sono solo alcuni dei nomi del panorama fashion che, nel corso degli anni, si sono imposti anche nel mondo dell’arte con esposizioni temporanee, premi o fondazioni, dando vita a un filone indipendente dal loro business principale. Il fenomeno, ormai consolidato nella moda, sta facendo capolino sempre di più anche nel mondo del design e dell’arredo. Prendendo in prestito le parole del critico John Ruskin, “la conoscenza della bellezza è la prima vera strada e il primo passo per capire bene le cose”, si può arrivare a comprendere il perché. Oltre alla passione personale nei confronti dell’arte da parte dei singoli imprenditori, l’obiettivo è soprattutto comunicativo. L’arte diventa il traino per consolidare il rapporto con l’esclusiva e ristretta cerchia degli amanti dell’arte (tra privati e architetti), con indirette conseguenze in pubblicità e importanti commesse. Uno dei primi nomi del settore design ad aver deciso di investire nel mondo artistico è Moroso, azienda d’imbottiti che spazia dal residenziale al contract. Nel 2003, ha iniziato a collaborare con l’arte contemporanea promuovendo il lavoro di artisti ancora poco conosciuti per installazioni site-specific. Quest’attenzione per la ricerca si è trasformata nel 2010 nel Premio Moroso da un’idea di Andrea Bruciati, storico e critico d’arte, e con il supporto di Patrizia Moroso, fino ad evolvere poi in Moroso Concept nel 2015, considerato da Bruciati come “un segmento complementare e necessario all’ancora troppo timida politica nazionale di sostegno alle giovani generazioni”.
Nel 2016 anche l’azienda toscana antoniolupi ha trasformato il suo quartier generale in un punto di riferimento per mostre temporanee e collaborazioni con artisti internazionali. “Volevamo offrire un modo nuovo di vivere l’arte: qui in azienda gli artisti affiancano le loro opere ai nostri oggetti, offrendo una nuova visione dell’arte e mettendo in contatto la contemporaneità del design con quella dell’arte”, dichiara l’AD Andrea Lupi. Le scelte imprenditoriali delle aziende di design sembrano quindi spostarsi verso la volontà di essere riconosciute non solo come creatori di prodotti di qualità, ma anche come promotori di arricchimento culturale. Lo conferma anche Guggenheim Intrapresæ, unico esempio di Corporate Membership culturale italiano. Nato ormai poco più di 25 anni fa, si tratta di un club esclusivo a numero chiuso che comprende attualmente 18 aziende (tra cui, per il settore allargato del design, Rubelli, Arper, Florim e Arclinea) impegnate in una comune a promozione della cultura di una istituzione come la Collezione Peggy Guggenheim. Per le imprese, che pagano una fee annuale di 25mila euro, significa poter legare il proprio nome ad eventi artistici ad altissimo livello e non solo. In base agli accordi, si riceve anche un diritto di prelazione per sponsorizzazioni in specifici progetti del museo (mostre o altri eventi). “La novità più grande che stiamo registrando è che alcuni imprenditori non si limitano più a sostenere l’arte con collaborazioni o sponsorship, ma decidono di diventare produttori di cultura, dando vita a progetti artistici veri e propri, molto interessanti” spiega Chiara Arceci, Manager for Corporate Development and Advisory Board relations alla Collezione Peggy Guggenheim.
Operazioni di questo tipo hanno già ottenuti importanti risultati non solo in termini di comunicativi, ma anche di business. Lo conferma l’esempio delle fiere internazionali dell’arte, fino a ieri concentrate esclusivamente sul panorama artistico in senso stretto e che invece ora stanno aprendo i confini anche al design. “La contaminazione tra i due mondi è sempre più presente – sottolinea a Pambianco Design Ilaria Bonacossa, dalla scorsa edizione direttrice di Artissima – basti pensare a una figura come Martino Gamper che lavora come artista e come designer. Se il design diventa una forma di ricerca ecco che i mondi dialogano.Artissima ha però un’identità molto forte e si è confermata anche con l’ultima edizione, un appuntamento imprescindibile nel mondo dell’arte. Non vogliamo monopolizzare la città, anche perché Milano resta la capitale del design, mentre Torino possiede una tradizione molto più sviluppata tra artigianato e design.” A Milano si trova l’unica fiera ad avere una sezione dedicata al design d’autore e da collezione. Si tratta della sezione Object a Miart, curata da Hugo Macdonald. “Il design da collezione è sempre più una realtà – dice a Pambianco Design Macdonald – sebbene sia ancora giovane e in evoluzione rispetto al mercato dell’arte. Esporre il design insieme all’arte, educare quel mercato sul valore del collezionismo della progettazione penso sia il modo più razionale di crescita del settore. I collezionisti d’arte e i collezionisti di design non sono due gruppi distinti e il lavoro delle gallerie di design non è esporre oggetti statici come in un negozio, ma raccontare una cultura di progetto.” Miart 2018 (dal 13 al 15 aprile), manifestazione di Fiera Milano, quest’anno darà il benvenuto in questa sezione a gallerie provenienti da 19 Paesi. “Object è arrivato alla sua sesta edizione e diventa internazionale”, aggiunge il direttore della fiera, Alessandro Rabottini. “Questa sezione – prosegue – sta crescendo molto. Sono convinto che il design in edizione limitata non debba essere visto e apprezzato solo da una cerchia d’intenditori, ma da un più vasto pubblico di collezionisti d’arte”. Confermato per il secondo anno consecutivo al Miart, il Premio Cedit, assegnato da una giuria internazionale per il lavoro di un designer italiano emergente che vedrà poi l’acquisizione di un pezzo e la sua donazione alla Collezione del Triennale Design Museum. L’apertura al design contemporaneo è la scelta fatta anche da Clélie Debehault e Liv Vaisberg, ideatrici di Collectible Design, fiera belga alla sua prima edizione proprio quest’anno. “A differenza delle normali fiere, il nostro obiettivo è fornire un’esperienza al visitatore, che potrà muoversi da una stanza all’altra, come in un museo o in una biennale senza il vicolo degli stand”. Infine, l’ultima conferma arriva proprio dalla fiera che per prima ha aperto al design da collezionismo: Design Miami/, che l’anno scorso ha visto la partecipazione di 28.800 visitatori. Jen Roberts, CEO della fiera, sostiene che “questa edizione della fiera è per noi la conferma che il mercato globale del design da collezione è forte come non mai e che l’interesse dei collezionisti proviene da tutto il mondo, da New York al Libano”.
di Costanza Rinaldi