Per Alessandro Pedretti, architetto e collezionista, il design è sulla buona strada per diventare un investimento alternativo all’arte. Lo prova il boom dell’epoca modernista.
Architetto, milanese, ma con una parentesi parigina alle spalle, Alessandro Pedretti dal 1996 comincia a disegnare arredi per la casa e per l’ufficio. Il suo campo d’azione spazia dall’illuminazione all’arredo urbano, vantando collaborazioni con diverse aziende italiane, tra cui Meritalia, Abet Laminati e Artemide. Sono suoi alcuni progetti sia d’architettura che d’interior design per lo Studio Rota & Partners con il quale collabora dal 1998. È consulente per riviste, gallerie e diverse istituzioni italiane e internazionali. A metà degli anni 80 si avvicina al mondo del collezionismo di design, tanto che nel 2006 la Triennale ospita 400 dei suoi pezzi all’interno della mostra “Looking for…”. A Pambianco Design ha raccontato quali sono le possibili evoluzioni del mercato del collezionismo di design.
Come ha creato la sua collezione?
Comprende prodotti italiani ed esteri. Sono diverse migliaia, dai grandi nomi a tutti noti, Gio Ponti o Ettore Sottsass per citarne alcuni, a oggetti meno conosciuti. Oggi è più facile trovare un pezzo di Osvaldo Borsani o Carlo Mollino alle aste, rispetto a oggetti in plastica degli anni 50. Per i primi, basta avere disponibilità economica. Gli altri, invece, li devi conoscere, il parametro non è economico ma culurale. Quando i musei mi richiedono degli oggetti di design da esporre, propongo temi e alternative non conosciute e la risposta è sempre entusiasta. C’è un interesse culturale e visivo ad uscire dai soliti parametri.
Che cosa rende collezionabile un pezzo di design?
Deve far parte di un sistema di oggetti e deve essere un tassello utile alla comprensione delle relazioni tra questi: in poche parole serve a completare un ipotetico albero genealogico dove si rintracciano legami, relazioni, date e caratteri. Poi il gusto personale fa la sua parte, così come la varietà d’interessi e di ricerca. Purtroppo oggi molti collezionisti, soprattutto se legati al mercato, vengono trascinati dalle mode del momento condizionando le sue scelte dal punto di vista commerciale.
Pensa che l’evoluzione del mercato del design possa essere un giorno paragonabile a quello dell’arte?
Negli anni ‘80 l’interesse era praticamente inesistente. Il mondo del collezionismo era legato al territorio dell’antiquariato con specifici interessi nel tema del Decò e dei pezzi unici, di alto artigianato. Il ‘modernismo di serie’ non faceva parte di tale interesse. Oggi invece pezzi anche comuni del modernismo seriale degli anni 30 o 40 hanno raggiunto un altissimo interesse. Questo per dirci che dobbiamo aspettarci di tutto e che i meccanismi del mondo dell’arte riescano ad applicarsi al mondo di un certo tipo di design.
Come collezionista ha un punto di vista speciale nel settore: che tipo di cambiamenti ha visto negli ultimi cinque anni in termini di creatività, collaborazioni e aumento del valore economico?
Collezionare vuol dire anticipare un possibile futuro e non ripercorrere strade del passato già percorse. Questo è quello che è sempre avvenuto nel mondo dell’arte dove spesso l’intuizione, il fiuto e la fortuna hanno determinato il successo o meno di un’opera, di un artista e del suo collezionista. Bisogna mantenere un buon grado di veggenza per captare quelle che tra 20 o 30 anni saranno le nuove tendenze e i pezzi che meriteranno di essere custoditi e collezionati. Il valore culturale e l’innovazione, così come nel mondo dell’arte, saranno sempre di più i parametri su cui indirizzare la propria sapienza.
di Costanza Rinaldi