Design, industria e artigianato sono destinati a lavorare sempre più in sintonia. Parola di Cristina Celestino, maestra di un’estetica che combina savoir faire poesia e alta tecnologia.
Elegante e delicata, ispirata da uno stile in bilico fra ricchezza decorativa e rigore, Cristina Celestino si occupa di design dal 2010. Architetto laureata allo Iuav di Venezia, a Milano fonda Attico Design, marchio con cui partecipa nel 2012 al Salone Satellite. I suoi pezzi dai volumi semplici e dalle forme sinuose disegnano un percorso poliedrico, che spazia dalle consulenze per gallerie e musei alla direzione creativa per aziende come BottegaNove e Fornace Brioni, dai progetti per Fendi e Sergio Rossi alle collaborazioni con Durame, Mogg, Paola C., Pianca, Seletti e Tonelli Design, solo per citarne alcuni. Premiata nel 2016 dalla giuria del Salone del Mobile Milano Award “per il suo essere figura di connessione fra i designer giovani e quelli maturi e per la sua sagacia nel coniugare temi come la fragilità, il decoro e la delicatezza, esprimendoli in una progettazione intelligente che sa rapportarsi al meglio con l’alto artigianato e con l’industria”, Celestino si è imposta sulla scena internazionale come un’autrice delle più fertili degli ultimi anni. Non a caso la Triennale di Milano l’ha voluta fra le protagoniste della mostra W Women in Italian Design, terminata a febbraio 2017, e Domitilla Dardi, curatore per il Design del Maxxi Architettura di Roma l’ha chiamata a inaugurare il 13 giugno dello stesso anno il secondo appuntamento di “Una Stanza Tutta per Sé”, il format di installazioni site specific coordinato da Cantiere Galli Design. Nel suo allestimento, sul tema Personale/Condiviso, Celestino ha creato uno spazio onirico dove l’intimità domestica sconfina in un esterno stellato e infinito. La incontriamo nel suo studio milanese.
Come nascono i suoi progetti?
Il mio lavoro si basa sull’osservazione continua. Per esempio: mi interessano Milano con la sua architettura mutevole e i piccoli paesi che mi capita di visitare, m’intrigano gli oggetti d’uso quotidiano e quelli che scopro nelle mostre e nei musei. E tutti contribuiscono a creare un mio archivio estetico che si arricchisce di giorno in giorno e diventa la base creativa per tutti i progetti. Che nascono dall’incontro fra le esigenze del cliente, la specificità dei materiali e il mio background.
Come definirebbe il suo linguaggio?
Lo definirei narrativo. Narrativo sia rispetto al mio vissuto che rispetto al prodotto in sé. C’è sempre un riferimento a qualcosa che crea un racconto emozionale. Per dire: il ricciolo di rame di questa lampada, che fa parte della collezione Bon Ton per Torremato, evoca la chiusura di un orecchino. Nel caso di Calatea, la poltrona disegnata per Pianca la cui forma ricorda la sagoma di una foglia, il richiamo è invece alla natura. Mi piace sorprendere chi guarda e usa i miei oggetti: ne sono un esempio gli Atomizer di Attico Design del 2012 (Seletti dal 2013), dei dispenser in vetro soffiato che ricordano le boccette dei profumi d’antan, oppure Alice, una lampada da tavolo disegnata per Budri e presentata a Homi all’interno della mostra “The Material Stage“: è un anello di marmo e onice e, come sistema d’accensione, ho messo a punto una piccola invenzione che rimanda all’atto dell’indossare.
Qual è la sua visione del design?
Oggi il mercato chiede oggetti ‘speciali’, e il mondo dell’industria si avvicina sempre di più al sapere artigiano per poter impreziosire ogni prodotto con quei dettagli che garantiscono unicità. È indispensabile instaurare un dialogo continuo fra il designer e chi produce: è un rapporto fondamentale, che può arricchire entrambi.
E lei che rapporto ha con l’industria?
Con piccole aziende ho avuto carta bianca. BottegaNove è più artigiana, Fornace Brioni più strutturata, ma entrambe si sono rese conto di come il mercato tradizionale fosse ormai saturo e fosse arrivato il momento di progettare il futuro. Sia per l’una che per l’altra le nuove collezioni hanno avuto un ottimo esito, fungendo da traino anche per il fatturato della produzione più classica con richieste provenienti oltre che dall’Italia, dalla Francia, dall’America e dall’Australia. Quando invece si lavora con aziende più grandi, bisogna sapersi muovere all’interno di storie già consolidate. Ho avuto fiducia anche dalle aziende della moda, come Sergio Rossi e Fendi. Probabilmente hanno individuato un’affinità fra il mio linguaggio, i loro codici stilistici e i miei progetti, che sembrano averli rappresentati bene.
Quando progetta si lascia guidare dal materiale o privilegia il disegno?
Cerco sempre di portare al limite le caratteristiche del materiale rendendolo contemporaneo, per poi modularlo fino a trasfigurare la forma del prodotto.
Ne esiste uno che predilige?
Lavorare con nuove realtà per me è sempre una sfida, che poi si trasforma in un nuovo amore. Prima dell’esperienza con Fornace Brioni e BottegaNove non avevo mai utilizzato né il cotto, né la ceramica. Quando si parla di cotto si pensa a un qualche cosa di antico e rustico: ho cercato di reinterpretarlo dandogli forme e colori nuovi. Con BottegaNove ho cercato di valorizzarne le specifiche potenzialità sia a livello di produzione che di decoro. Con Plumage, ad esempio, abbiamo creato una collezione di mosaici ispirati alle piume dei volatili dove i toni di colori giocassero con le diverse tipologie e misure delle tessere.
Che peso ha il colore nelle sue creazioni?
Io “disegno” a colori. La mia palette ideale? Quella di villa Planchart a Caracas dove Gio Ponti ha accostato i rosa saturi ai gialli senape e agli azzurri.
A cosa si sta dedicando in questo momento?
Per il Salone del Mobile ho molti progetti. Posso anticipare che sto realizzando per Gebrüder Thonet Vienna una collezione di tavoli. Sono molto contenta perché potrò utilizzare il legno curvato, un materiale tradizionale con una storia bellissima. Continuano le collaborazioni con Sergio Rossi per il quale sto lavorando agli interni della boutique di Milano – dopo la boutique di Parigi – che ospiterà la collezione di arredi già presentati a Parigi e un nuovo lampadario realizzato in collaborazione con Flos.
Una passione, il collezionismo. Perché?
Quando sono stressata, mi pacifica l’idea di poter possedere nuovi oggetti di design. Prediligo i pezzi firmati dai grandi maestri, anche se ultimamente ho scelto cose piccole e naturali, come le conchiglie. Che mi incuriosiscono e arricchiscono la mia biblioteca personale.
di Monica Montemartini