C’è una dote che più di altre si rivela vincente in questi tempi così instabili: l’elasticità necessaria per affrontare i cambiamenti, per sopportare gli urti e per tornare sempre in forma. Per Bonacina1889 la flessibilità è diventata valore d’impresa, fors’anche perché nella storica azienda di Lurago d’Erba si lavora da sempre con il rattan: le sue lunghe canne levigate ed elastiche, importate dall’Indonesia, è da oltre 130 anni che vengono piegate con l’acqua e con il fuoco per trasformarsi in oggetti del desiderio che arredare le case più eleganti del mondo. Elia Bonacina, trentenne CEO di Bonacina1889 e quarta generazione di una grande famiglia votata alla bellezza, racconta quest’incredibile avventura.
Come si collega la storia di un’azienda comasca con un materiale esotico come il rattan?
Da secoli la nostra zona è rinomata per la tradizione dei manufatti in vimini. Giovanni Bonacina, il mio bisnonno, ha saputo trasformare l’antico mestiere di canestraio in un’attività imprenditoriale all’avanguardia per i tempi. È fra i primi brianzoli a studiare a Milano, dove farà amicizia con alcuni giovani olandesi che commerciavano con le colonie in Estremo Oriente. Grazie a loro s’innamora dell’Indonesia, inizia a viaggiare e a importare materia prima di qualità. Nel 1889 fonda la sua azienda e poco alla volta assembla un catalogo di poltrone e salotti che vanno a ruba fra le famiglie dell’aristocrazia e dell’alta borghesia del Nord Italia, ma non solo: alla vigilia del primo conflitto mondiale, Bonacina esportava già il 60% della produzione.
Cosa accadde durante la guerra?
Le fabbriche hanno continuato a lavorare, anche perché, fra l’altro, i Bonacina erano fornitori dell’esercito italiano: realizzavano i contenitori porta-munizioni per i carri armati e le stuoie per far uscire i mezzi cingolati dal pantano. Negli anni successivi, il timone dell’azienda passa a Vittorio, figlio di Giovanni, che a Milano frequenta l’ambiente del Politecnico ed entra in contatto con creativi del calibro di Franco Albini, Bruno Morassutti, Marco Zanuso… tutti autori che hanno disegnato per Bonacina e ai quali nel tempo si aggiungeranno nomi come quelli di Joe Colombo, Gio Ponti, Franca Helg… In effetti, mentre Pietro, il fratello, si era specializzato in cesteria, sua figlio Pierantonio dopo la seconda guerra mondiale amplierà ulteriormente le collaborazioni con gli architetti e i designer.
L’elenco dei vostri clienti spazia dagli Agnelli ai Borromeo passando per i Mondadori, i Rothschild, i Von Thyssen, senza dimenticare couturier come Yves Saint Laurent e Valentino e i reali di Giordania, d’Olanda, di Persia. Qual è il segreto di questo successo planetario?
Negli anni Settanta, mio padre Mario decise di rivisitare i pezzi più decorativi degli anni Venti su indicazione di Renzo Mongiardino, che per i suoi progetti straordinari, destinati a una colta committenza internazionale, aveva ripreso svariati arredi storici di Bonacina e li aveva trasformati in oggetti di culto, tuttora in catalogo. Ricordo per esempio un bestseller come la sedia Antica, un modello ripreso dal nostro archivio, che comprende oltre 1200 pezzi, che oggi è disponibile in versione indoor, in giunco e midollino, ma anche outdoor, in alluminio verniciato e una tessitura realizzata in materiale adatto all’esterno.
Quindi non c’è solo il rattan.
Stiamo utilizzando anche materiali innovativi, che resistono ai raggi UV e alle intemperie, come il Bopifil, il Polycore, il Polypeel, oltre al PaperStone®… una fibra prodotta a partire dalla carta riciclata. Sono però più di 130 anni che in Bonacina si lavora il rattan o giunco, che si ricava dalla canna d’India e non va confuso col bambù, che ha il fusto cavo. Il rattan è legno pieno e ci permette di ottenere strutture di eccezionale elasticità, tenuta e resistenza. Per produrre il midollino si usa invece la parte più interna del rattan, che viene suddivisa in listelli di vari diametri. In più, il giunco è un vegetale che cresce rapidamente, ha un altissimo rendimento e garantisce tutte le prestazioni tipiche di un materiale durevole, eco compatibile e riparabile, anche a distanza di anni. Ci arrivano in azienda dei pezzi Bonacina che hanno un secolo di vita, e noi riusciamo ancora a rimetterli a nuovo utilizzando i materiali originali d’epoca, che conserviamo nei nostri magazzini.
Cosa è successo alla fine del mandato di Mario Bonacina?
Nel 2015 viene acquisito da Vittorio Bonacina il ramo d’impresa di Pierantonio, con la creazione di Bonacina1889 s.r.l.. Le collezioni che appartengono a entrambe le aziende ora sono raccolte in tre cataloghi: Décor, Design Masters e Outdoors.
Com’è organizzata la vostra attività?
A Lurago d’Erba lavorano sessanta persone, venti negli uffici e quaranta in produzione. Di recente ci siamo spostati, ma di poco, in una fabbrica che risale agli anni Settanta: è uno spazio di 6 mila metri quadrati che ospita l’interno ciclo produttivo, coi reparti dedicati a curvatura, intreccio, cucitura e tappezzeria. Non siamo lontani dallo showroom che accoglie la nostra collezione storica, e che porta la firma di Lorenzo Forges Davanzati, vincitore di un Compasso d’Oro nel 2004 (per la pensilina Boma progettata con Fausto Colombo per Consorzio Arredo Urbano, ndr). Stiamo anche allestendo un museo aziendale: sarà aperto solo ai clienti, che qui potranno scoprire la storia di Bonacina1889 dalle origini fino al presente, con le creazioni più antiche, le icone bestseller come la Gala di Albini, una poltrona disegnata nel 1951 che si trova nella collezione permanente del Moma a New York e alla Triennale di Milano, ma anche i pezzi singolari, come gli allestimenti per la Fiat 500 “Spiaggina”. Per il museo abbiamo stanziato un investimento di 2 milioni di euro e l’idea è di aprire entro il 2022.
Qual è, oggi, il significato del made in Italy?
Il made in Italy è diventato un valore molto più complesso di un’etichetta incollata sopra un prodotto: è qualcosa che si guarda, si tocca e si respira e ha a che fare contemporaneamente con la storia, con il territorio, con le atmosfere uniche di questo Paese. Per dire: qui non siamo distanti dal lago di Como e quando i clienti internazionali arrivano in Bonacina vivono un’esperienza immersiva che comprende la visita dei dintorni, della fabbrica e dello show room, dove a volte chiamiamo un personal chef per offrire loro la possibilità di gustare dell’autentico italian food. Quello che cambiarei è il modo con cui oggi si comunica l’italianità: si deve trattare di una mission culturale prima ancora che di marketing. A maggior ragione quando ci si interfaccia con l’estero.
Da sempre siete molto amati anche fuori dall’Italia…
In questo momento gli Stati Uniti generano da soli il 50% del fatturato e rappresentano il nostro più importante mercato estero, su un export pari al 90%. Vorremmo inaugurare in tempi brevi una nostra base a New York, che nel concept dovrebbe assomigliare al museo storico che aprirà a Lurago, e funzionare come driver per portare clientela in Italia.
Vi siete posti dei limiti produttivi?
Fin dalle origini Bonacina non ha mai lavorato per i venditori quanto piuttosto per gli architetti e gli interiori designer. Con questa strategia, abbiamo sempre continuato a espanderci sia per utile che per fatturato, perché non dipendiamo dal punto vendita, che invece va soggetto alla variabilità dei trend di mercato. Oggi il fatturato è di circa 6 milioni di euro e, proprio perché i nostri prodotti sono in gran parte custom made, spesso per averli la committenza è disposta a pagare un po’ di più: di conseguenza, si cresce anche facendo meno sconto. Di questo passo si può immaginare di arrivare a 15-20 milioni, sempre col vincolo di mantenere gli stessi standard di qualità.
Che cos’è il lusso per Bonacina?
Per Bonacina “lusso” significa continuare a produrre oggetti unici, spesso in edizioni limitate, realizzati grazie a savoir faire, tecniche e macchinari creati da noi che si tramandano da oltre un secolo. Ci muoviamo, insomma, nel medesimo solco dei brand dell’alta gioielleria e della pelletteria deluxe. Del resto, in così tanti anni di attività non abbiamo mai avuto una contestazione da parte dei clienti: prima di uscire dall’azienda, i nostri arredi passano attraverso sei step di controllo qualità, c’è una cura meticolosa su ogni singolo dettaglio. A richiesta forniamo anche un servizio di expertise, simile per certi versi a quelli offerti dalle maison dell’haute couture, come Hermès: possiamo rilasciare gratuitamente un certificato di autenticità, che serve quando il pezzo va all’asta o viene pubblicato per la vendita nei portali specializzati nell’alto di gamma, come per esempio 1stdibs.
Come spesso accade nel comparto luxury, più un oggetto è d’epoca e più acquista valore.
Come certi orologi o certe borse di marca, anche i nostri mobili s’impreziosiscono col tempo e hanno sempre raggiunto quotazioni elevate da Christie’s e Sotheby’s. Ancora di recente una coppia di Continuum in malacca – una sedia disegnata da Gio Ponti nel 1963 che si trova tuttora in catalogo, nella versione in giunco e midollino, a circa 3600 euro al pezzo – è stata battuta da Piasa a 23 mila euro.
Non vi è mai venuta la tentazione di aprire nel sud-est asiatico?
Siamo la Rolls Royce del rattan e non abbiamo competitor diretti. Proprio perché siamo convinti che senza radici non c’è futuro, abbiamo deciso di investire in una storia d’impresa legata al passato e all’Italia, in totale controtendenza rispetto alle dinamiche globalizzanti dei mercati contemporanei. Certo, molti ci chiedono come mai non si sposti la produzione in Indonesia, dove i costi del lavoro sarebbero più bassi e dove la lavorazione del rattan appartiene a una tradizione secolare. Rispondo che non ne vale la pena perché noi, qui, abbiamo il design. Ed è la variabile che fa la differenza. Per i prossimi dieci-vent’anni, prevedo anzi che in Italia si potrebbe assistere a un’enorme rivoluzione nel settore dell’arredamento, con il ritorno in auge delle tecniche manuali e della figura del designer-artigiano.
La lavorazione del rattan richiede una manodopera specializzata. Dove trovate il personale?
Il 30% della produzione di Bonacina1889 è custom made. Per esempio, abbiamo appena consegnato l’arredamento per il nuovo Cala di Volpe di Porto Cervo, di proprietà di un gruppo saudita, per un totale di 400 pezzi esclusivi, tutti personalizzati. Su certi commissionati abbiamo delle waiting list anche di un anno e mezzo, perché ci teniamo che escano dalla fabbrica perfetti. Come si ottiene questo risultato? Prima di tutto creando con chi lavora un rapporto di fiducia. Giovanni Travasa, oggi ultra novantenne, negli anni Sessanta ha progettato Eva e Palla, due poltrone di assoluta contemporaneità, e ancora si ricorda che i miei nonni lo invitavano a pranzo quando passava da Lurago. Questo per dire che in Bonacina si condivide il gusto di fare, e di fare bene, tutti insieme e a tutti i livelli. Oggi invece troppo spesso si procede solo nel nome delle anonime logiche industriali e della crescita dei fatturati: gli amministratori delegati cambiano ogni anno e mezzo e arrivano dai settori più disparati, senza conoscere le peculiarità dell’azienda. Con questi turnover compulsivi non si crea fidelizzazione fra management e maestranze, con conseguenze che, alla lunga, incidono negativamente sul grado di soddisfazione di chi lavora e sulla qualità del prodotto.
Ci sono ancora i giovani che cercano un impiego in fabbrica?
Smettiamo di dire che i ragazzi in Italia non hanno voglia di fare i lavori artigianali. Noi li reclutiamo senza difficoltà tramite annunci o con il passaparola, e anche da ultimo abbiamo incontrato persone di grande valore. Penso per esempio a un giovane di questa zona, che scolpiva il legno e creava installazioni con gli alberi nei boschi, e che durante il primo incontro in fabbrica si è innamorato del nostro processo produttivo e ha deciso di restare da noi, oppure a un suo collega d’origine marocchina che suona il violino: per lui abbiamo creato un locale dove si esercita in pausa e mi ha detto che lavorare il midollino gli ha reso le dita più agili ed elastiche sulle corde dello strumento. Il problema è un altro. Troppo spesso i ragazzi italiani non riescono neppure a immaginare le potenzialità che avrebbero nelle loro mani, anche perché non hanno la fortuna d’incontrare i maestri giusti: proprio come avviene nelle grandi imprese del lusso d’impronta familiare – penso a Patek Philippe o ad Audermas Piguet – in Bonacina affianchiamo i neoassunti ai nostri artigiani più abili, in modo tale che passino loro il mestiere. Si crea così una scuola interna all’azienda, che garantisce la formazione di personale altamente qualificato. E motivato.
C’è qualcosa che la preoccupa, per il futuro?
Da quando rivesto il ruolo di CEO, ho sempre rifiutato le richieste di acquisizione – non poche – che mi sono arrivate soprattutto dai fondi. Lo schema è sempre il medesimo: ottenere la quotazione in Borsa nell’arco di 5-7 anni, spingendo al massimo la produzione secondo un’ottica industriale che non c’entra nulla con noi. Il rischio di queste operazioni è quello di diluire l’identità aziendale, che è la chiave di volta del nostro sistema di valore. Siamo in una fase in cui è in atto un intenso ricambio generazionale e mi fa paura pensare che i giovani imprenditori italiani, eredi di marchi ricchi di estro e di tradizione, rischino di cedere al richiamo delle produzioni massive, rinunciando di fatto alla loro unicità.
Lei però, come il suo bisnonno, avrà anche e di sicuro un sogno…
Che arrivi presto una quinta generazione Bonacina. Per intrecciare nuovi capitoli della nostra storia.