Volete conquistare i consumatori cinesi? Investite in servizio. “Prima customer care, poi postvendita. Il cliente cinese ha grandi aspettative in tal senso, pari a quelle che potrebbe trovare a Milano o in un negozio di vendita diretta del brand” racconta a Pambianco Design un architetto italiano che ha fatto fortuna a Pechino. Si tratta di Riccardo Minervini, founding partner di RM Architects, che ha seguito tra gli altri i progetti del centro commerciale presso l’aeroporto di Dalian, il Fuzhou Taijiang District Pai Wei Complex e gli interni dell’hotel della Hainan Airlines nella città di Danzhou. Il problema, aggiunge il quarantunenne, laureatosi nel 2007 presso il Dipartimento di Architettura dell’Universita’ di Roma La Sapienza e attivo in Cina da oltre dieci anni, è trovare il giusto canale di distribuzione. “In questo momento nel paese, a parte Shanghai, mancano dei flagship stores di grandi brand di product design e la vendita viene pertanto affidata a rivenditori locali che non sempre riescono a trasmettere al cliente la qualità del prodotto e dell’azienda”.
Con quali conseguenze?
Mi sembra che al momento ci siano pochissime grandi aziende che si affacciano al mercato cinese nella maniera più efficace, assicurando qualità e servizio, perché mancano uno studio di mercato e un piano di azione e di investimento sviluppato con adeguate strategie di espansione.
Esiste un gusto tipicamente cinese, tale da comportare dei limiti all’espansione del mobile made in Italy?
Fino a qualche anno fa, nel mercato cinese trovavano spazio solo artigiani del mondo classico, essendo quello lo status symbol del benessere ma soprattutto il gusto del cliente cinese. Da un paio di anni abbiamo riscontrato una clientela diversa, che ha studiato all’estero e che si affaccia al mobile italiano con un gusto molto più contemporaneo. Questo può variare da regione a regione o di città in città, in base all’apertura delle stesse verso il mondo occidentale. Penso che in questo momento ci sia spazio sia per il classico che per il contemporaneo, che apre le porte ad aziende più grandi o artigiani più piccoli che però devono essere aiutati nel capire come affacciarsi al mercato.
C’è un ambito (bagno, area living, piastrelle etc) nel quale l’offerta italiana di mobili è considerata uno status symbol?
Fino a qualche tempo fa lo erano le boiserie e i mobili in stile, proprio perché venivano considerati sinonimi di benessere. Oggi tutto sta cambiando e i cinesi spostano l’attenzione alla qualità e alle finiture di oggetti moderni che, per la semplicità nelle loro forme, prima avevano pochi sbocchi. Sicuramente oggi le aree più interessanti sono quelle del living, le camere da letto, le cucine e le sale da pranzo. Per i bagni e le cucine, in particolare, occorre misurarsi con i concorrenti tedeschi, che godono di grande considerazione dal punto di vista qualitativo pur offrendo un design piuttosto conservativo.
Ci sono zone del paese in grado di recepire con maggiore efficacia l’offerta italiana?
Nell’ordine direi Shanghai, storicamente aperta e collegata al mondo occidentale; Guangzhou, geograficamente vicina ad Hong Kong, con forte influenza occidentale e con molte aziende estere insediate nella regione famosa per il manufacturing; Pechino, che dopo le Olimpiadi del 2008 si è trasformata, diventando sempre più l’avamposto di quelle holding che hanno bisogno di stare vicino alle istituzioni. Naturalmente non possiamo tralasciare le città in forte sviluppo come Chengdu, Tianjin e Shenzhen, che per motivi diversi stanno crescendo nei settori trading e high tech, con progetti di riqualificazione urbana in atto e riuscendo ad attrarre sempre più aziende e giovani.
Come si fa a fidelizzare il cliente finale cinese? Che suggerimenti darebbe alle aziende italiane del mobile per conquistarlo?
L’unione fa la forza. Serve pertanto un piano di azione comune che Federlegno sta in parte attuando. Servono strategie di mercato, investimenti e educazione delle aziende che vogliono conquistare il cliente finale cinese. Bisogna che le aziende italiane del mobile si identifichino sempre più come luxury, che non vuol dire soltanto prezzi alti, ma essere parificati nella mente del cliente cinese a quelle realtà del fashion e dell’automotive che ci hanno resi famosi nel mondo. Bisogna spingere le aziende ad avere una presenza diretta e non attraverso dealer, magari anche trovando il giusto partner locale che conosce bene il mercato, gli usi e costumi della Cina. A volte le aziende, non solo italiane, pensano che il mondo Cina sia solo quello delle copie ma non è più cosi! Ci troviamo in una nazione che sta assumendo la leadership in molti settori, anche creativi, e quindi deve essere considerata e trattata come tale.