Le aziende d’arredo hanno sostenuto la loro supply chain, onorando gli impegni e continuando a passare gli ordini. “Siamo consapevoli che i fornitori sono la nostra forza”, sostiene Stefano Bordone (Vice Presidente FederlegnoArredo).
La filiera è una parte fondamentale della catena del valore. E l’arredo made in Italy non sarebbe tale se non ci fosse, a monte, una filiera altrettanto made in Italy, sana, strutturata ed efficiente. Per questa ragione, nell’affrontare le conseguenze della crisi post Covid, c’è stata una fortissima compattezza da parte dei brand nell’offrire sostegno, innanzitutto finanziario, ai fornitori e ai terzisti che compongono questo sistema complesso e ramificato, capillare e composto perlopiù da piccole imprese artigiane.
CROCE E DELIZIA
“Le aziende, dalle più piccole alle più grandi, hanno onorato gli impegni, consapevoli che i fornitori sono la nostra forza”, afferma Stefano Bordone, imprenditore a capo di Kundalini e vice presidente di FederlegnoArredo. Gli ultimi dati del centro studi di FederlegnoArredo inquadrano la supply chain di un sistema che comprende 73.500 aziende per oltre 312mila addetti, per un valore della produzione di 42,4 miliardi di euro, di cui 27,5 riguardano il macrosistema arredamento, che rappresenta poco meno del 5% del nostro Pil manifatturiero. Una filiera presente in tutto il territorio nazionale ma altamente concentrata nei distretti, a cominciare da Monza e dalla Brianza (seconda provincia italiana per l’arredo, prima per numero di imprese) e dal distretto del Livenza, identificabile nella provincia veneta di Treviso (prima in Italia) e da quella friulana di Pordenone (quarta). Senza dimenticare il peso rilevante del Trentino Alto Adige nel legno, dell’area murgiana (Bari e Matera) e forlivese per il mobile imbottito, del pesarese per le cucine e dell’intera regione Toscana. È una sorta di croce e delizia, la filiera del mobile; croce per la sua debolezza strutturale, essendo composta da micro imprese scarsamente capitalizzate, e delizia perché, come spiega Bordone: “Con la loro genialità, i fornitori ci permettono di fare quel che all’estero viene considerato impossibile. Quando chiesero a Patrick Norguet perché i suoi mobili fossero prodotti in Italia anziché in Francia, lui rispose: perché i francesi mi dicono che non si può fare, gli italiani mi rispondono ‘ci proviamo’. E se noi ci proviamo, è perché a nostra volta ci appoggiamo ad artigiani che, quando chiediamo loro una modifica innovativa, in un primo momento ci dicono che è impossibile, ma il giorno dopo ci richiamano e dicono che ci proveranno. E alla fine ci riescono”. Così nascono i prodotti che il mondo ci invidia. E per tenere vivo questo sistema, le aziende italiane di arredo hanno dato ossigeno alla supply chain onorando gli impegni e continuando a passare gli ordini. Con qualche legittimo dubbio per il futuro. “Perché noi dipendiamo da loro, ma loro dipendono da noi. E allora se la crisi dovesse protrarsi a lungo, a quel punto si fermerebbe anche il passaggio degli ordini a monte, e qualcuno potrebbe davvero rischiare”. I più esposti al rischio, nel caso in cui a settembre si dovesse inceppare il sistema, sono le imprese di filiera con alta esposizione verso un unico cliente. Ed è chiaro che, per ogni fornitore che salta, c’è un cliente che entra in difficoltà. I rischi aumentano, inoltre, quando ci si allontana da un distretto industriale, perché nei cluster dell’arredo ci sono più possibilità a portata di mano, e questo vale per il cliente verso il fornitore e viceversa.
IPOTESI DI INTEGRAZIONE
Dover dipendere da una filiera mediamente debole non è affatto rassicurante, per le aziende dell’arredo. Alcune di queste si sono poste il problema e, al di là del sostegno e della collaborazione, si profila anche la possibilità di acquisire quote rilevanti di capitale del supplier, esattamente come è accaduto nella moda. Inoltre, con lo scoppio della crisi, potrebbero esserci fornitori e terzisti, in età avanzata, tentati dalla chiusura per non dover ripartire da zero. Uno scenario che non sembra preoccupare Bordone. “È vero che qualcuno potrebbe fare il passo indietro, ma ci sono tanti giovani dinamici che hanno imparato il mestiere e fanno a loro volta il grande passo, aprendo aziende o trasformando l’attività di quelle esistenti, con maggior propensione alla tecnologia, alla digitalizzazione e al cambiamento di processi fin lì acquisiti, ottenendo peraltro benefici di conto economico. Tra i miei fornitori c’è un’azienda guidata da due fratelli il cui padre faceva le gabbie per i conigli, e ne porta ancora il segno sul logo… ora segue lavorazioni altamente qualificate sui metalli e ci permette di ottenere risultati mai raggiunti prima”. Sulla prospettiva delle acquisizioni, il numero uno di Assoluce appare piuttosto scettico. “Potrebbe avere un senso se un cliente decide di comprare una ditta che si integra perfettamente con l’attività della sua azienda. Non avrebbe invece senso rilevare la proprietà di chi ti permette di dare quel ‘click’ al prodotto, una ‘magia’ che nasce dal dialogo con terzisti e fornitori sempre diversi e ciascuno dei quali raccoglie stimoli proprio dal confronto con altrettanti clienti”.
FILIERA CORTA
Un’altra conseguenza rilevante di questo “terribile” 2020 riguarda la strategia della filiera corta, che naturalmente avvantaggia il made in Italy. Va detto che il sistema legno-arredo non si è mai allontanato troppo dall’Italia, a differenza di quanto era avvenuto per la moda. “Ad ogni modo, qualcuno tra i miei colleghi sta sicuramente pensando che conviene avvicinare ulteriormente le lavorazioni intermedie”, precisa Bordone. Il processo contrario certamente presenta delle criticità non da poco. “Pensare a una delocalizzazione significa non aver imparato nulla da questa crisi. Basti pensare a quel che è successo nell’automotive, con le grandi case che si sono bloccate perché non arrivavano più i componenti dalla Cina. In caso di un nuovo blocco, aver scelto fornitori lontani metterebbe a rischio la nostra sopravvivenza. La prossimità è una cifra distintiva della nostra filiera”.
Di conseguenza, una volta superata la crisi, si aprono prospettive interessanti per la supply chain del legno-arredo. La vera sfida, a quel punto, consisterà nel tenere alti gli investimenti in formazione e nel saper attrarre i giovani verso il settore, alimentando il ricambio generazionale a tutti i livelli della filiera. Senza dimenticare il rilancio delle scuole professionali, dalle quali il sistema industriale si aspetta di poter disporre di nuove leve già dotate di una formazione di base e pronte per essere inserite nel mondo del lavoro.