Crescere e innovare, mantenendo il punto su quanto di vincente in 60 anni di vita la manifestazione fieristica più importante al mondo del settore dell’arredo ha saputo esprimere. Migliorare sempre, ascoltando le istanze degli addetti ai lavori, ma anche della città e del Paese.
Cosa funziona e cosa invece va necessariamente modificato all’interno di dinamiche ormai insediate e ritenute, fino a qualche tempo fa, stabili e sicure? I progettisti credono nell’importanza della manifestazione, che per continuare ad essere l’istituzione di riferimento internazionale quale è stata sino ad ora, deve puntare su valori quali l’inclusività, l’appartenenza al territorio e la sua valorizzazione. Inoltre, serve ripensare al momento d’incontro in presenza: no agli stand dalle dimensioni esagerate, spazio a meeting mirati con figure cardine dell’azienda. L’innovazione e la comunicazione attraverso piattaforme online non è da escludersi, ma vanno ripensate le modalità di utilizzo in modo da rendere piattaforme e web dei veri alleati di un evento fieristico, la cui natura non potrà mai prescindere da un incontro in presenza, fisico e reale, da riformulare secondo le nuove necessità delineate dal momento contingente che tutti stiamo vivendo.
Mancanza avvertita e importanza di un ‘Salone diffuso’
“Da buon nostalgico, avverto la mancanza di un momento che per tutta la mia carriera professionale ha segnato come un metronomo con cadenza precisa, certe volte ossessiva, il ritmo della ricerca e della costruzione di quello che è diventato oggi il mondo del design italiano”. Marco Piva riconosce nel Salone del Mobile un’identità che nel tempo ha creato attorno a sé un forte sistema di comunicazione che parla dello spirito della città di Milano e della sua voglia di confrontarsi con il mondo intero. “Grazie al Salone del Mobile, Milano è stata proiettata in un contesto internazionale e ha rafforzato la sua posizione e la sua reputazione anno dopo anno. Pensare a un’alternativa rispetto alla presenza fisica forse è possibile, ma la fiera resta un momento e un evento importante di scambio, riflessione, confronto. Serve ragionare sulla sua evoluzione migliorativa in futuro, mescolando e alternando presenza con incontri online. A me piace pensarlo come un territorio fluido, fatto di interazioni, sperimentazioni fisiche con prodotti e oggetti esposti, persone che pensano, realizzano e producono quel che noi vediamo esposto. In fondo, ciò che si manifesta durante quella settimana, è una sorta di proposta interpretativa della vita e della nostra socialità nel presente: si parla di città, di urbanistica, di architettura. E’ un discorso ampio e diffuso, che incrocia tutte le latitudini della creatività”. Una proposta avanzata dall’architetto Piva è quella di prevedere un evento che possa potenzialmente durare tutto l’anno. “L’idea di un ‘Salone diffuso’ è figlia di un evento che si espande a livello temporale. – spiega – Dopo aver vissuto l’esperienza di una simulazione di spazio all’interno della fiera, posso ritrovare gli oggetti che raccontano quello stesso spazio all’interno di diversi contenitori multimediali, in grado di creare narrazioni diverse. Se il Salone del Mobile riuscisse ad esprimersi attraverso un racconto che dura tutto l’anno, potrebbe rafforzarsi enormemente. Questo, a mio avviso, è il concetto di uno spazio espositivo evoluto da perseguire”.
Legame col territorio imprescindibile
Il Salone del Mobile, insieme al Fuorisalone, esistono per un motivo storico ben preciso. Nel periodo a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, ci siamo resi conto di non essere solamente dei bravi realizzatori di arredi e oggetti, o abili artigiani: il know-how italiano ha iniziato a diffondersi al di fuori dei nostri confini. In questa dinamica, il Salone del Mobile ha avuto un ruolo determinante nel raccontare la cultura industriale nazionale, così come il Fuorisalone è stato fondamentale per poter trasmettere questa eccellenza al pubblico allargato, facendo percepire così a tutti di avere un’industria forte, legata al territorio, in grado di diventare una grande ricchezza per la città di Milano. “La storia fa riflettere sul fatto che la dinamica della fiera nasce come indissolubilmente legata all’esperienza della città, fatta di una comunità locale. – ragiona Juri Franzosi, direttore generale Lombardini22 – Il fatto che negli anni si sia totalmente persa la connessione tra la comunità, la città, il tessuto urbano, e l’evento fieristico, mi porta a pensare che la fiera potrebbe essere ovunque”. La definisce ‘navicella spaziale di Rho’, e ragiona su come un non-luogo non rappresenti più la vera natura della fiera, che vede le sue radici proprio nelle Grandi Esposizioni Universali di fine ‘800, che nascevano all’interno delle città e raccontavano la storia di una comunità specifica. “Oggi si cercano dei meta luoghi per creare delle community di business lontano dai centri urbani, ma ciò rischia di trasformare il valore che produci in qualcosa di impoverito, a cui manca identità. Il Fuorisalone ha proprio questo potenziale: apre gli spazi, rende accessibili luoghi sconosciuti alla gente comune, apre le porte di studi e laboratori artigiani”. Altro aspetto importante sollevato da Franzosi è l’integrazione tra manifestazione offline e online. “Il mondo digitale rende possibile l’apertura di diverse dimensioni contemporaneamente. Dobbiamo fare uno sforzo e uscire dalla dimensione novecentesca dell’intelligenza data dalla catalogazione, sistema con cui ancora oggi sono pensate e raccontate le fiere: gli spazi sono dedicati a determinati prodotti, seguono un ordine preciso e una catalogazione, appunto. Ecco, nel 2021, finalmente ci siamo resi conto che il nostro modo di pensare, la nostra mente, non funziona più così. Il digitale potrebbe aiutarci a creare una nuova sistematizzazione, portando a una nuova organizzazione delle fiere basata sulle relazioni concrete. Se manca la comunità, non esiste alcuna sua proiezione nemmeno online. Manca l’identità”. Esiste un futuro florido per le fiere, ma paradossalmente solo se viene recuperato il loro spirito originario, aggiornato ai tempi moderni e alle tecnologie di oggi. “Il grave miss-match da risolvere sta poi nell’incontro all’interno degli stand. – continua – Non mi interessa accedere a uno spazio espositivo e dialogare con una persona qualsiasi a presidio dello stand. Voglio dialogare con i professionisti che mi interessano, e questo non è quasi mai possibile. La fiera dev’essere un momento di opportunità, altrimenti non ha senso. Il vero cambiamento dovrebbe stare nell’eliminazione di questi stand dalle dimensioni sconsiderate, per puntare invece sulla qualità delle relazioni. Voglio interfacciarmi con l’imprenditore, con chi guida l’azienda. Non servono cataloghi, non servono spazi enormi. Serve l’entusiasmo generato dalla storia di un’azienda, che automaticamente si tramuta in interesse nell’approfondire quel che quell’incontro potrà generare in termini di business”.
Dalla Cina, il desiderio di presenziare all’evento più importante dell’anno
Lo studio di Domitilla Lepri, architetta con un portafoglio clienti internazionale e uno studio di base a Shanghai, rappresenta il punto di vista ideale per poter capire quali siano le aspettative del mercato cinese. “C’è da sempre un grandissimo interesse, sia per l’appuntamento milanese che per quello di Shanghai – afferma – e tutte le altre manifestazioni fieristiche a livello internazionale sono considerate un contorno. Il mio studio riceve diversi inviti omaggio ogni anno, che finiscono sempre molto presto. Questo è indice del desiderio di clienti e partner di visitare la fiera a Milano, a cui si collega anche l’aspetto ‘glam’ dell’evento, l’importanza di presenziare e di far parte di una comunità di professionisti. Per il mercato cinese la presenza fisica è fondamentale: toccare con mano, provare, vedere i prodotti è vitale, e genera sempre un indotto interessante”. Purtroppo per il prossimo Salone del Mobile la presenza di clienti e partner cinesi sarà nettamente inferiore rispetto agli scorsi anni, come conferma la Lepri: “Quest’anno non verranno in massa, e molti puntano sul Salone del Mobile Milano.Shanghai. Il tema è comprendere che tipo di aspettative abbiano loro sul futuro prossimo. Noi sappiamo bene che a settembre la situazione non sarà ancora del tutto ‘normalizzata’, ma il problema è che in Cina molti non si stanno vaccinando. C’è un controllo e una gestione molto diversa rispetto alla nostra, per cui il tema è capire come potremo gestire grandi masse in arrivo”.
Recuperare la vera essenza del Salone del Mobile
Il Salone dovrà cambiare perché la pandemia ha inciso profondamente sulle persone e sulle logiche stesse che regolavano il modo di vivere e lavorare; quella che era una formula valida nel passato probabilmente oggi non lo sarebbe più. “La conseguenza è un generale rifiuto per ciò che non è autentico – afferma Marc Sadler – sia nelle relazioni interpersonali che nel valore attribuito agli oggetti che ci circondano; questo desiderio di recuperare una certa verità delle cose avrà probabilmente effetti anche sul Salone, intorno al quale negli ultimi anni ha circolato un mondo parallelo dalla valenza quantomeno discutibile”. La questione per Sadler sta nel recupero di una certa identità ed essenza, che una volta ritrovata porterà la manifestazione a restare strumento di business formidabile, in quanto momento di incontro fisico tra persone che condividono i medesimi interessi, attività e ricerca. “Il vortice di relazioni che si crea intorno a questa manifestazione è un volano incredibile verso ‘il fare’. Personalmente mi auguro che si approfitti di questa congiuntura epocale per promuovere la cultura del progetto con occhi più attenti e oserei dire intellettualmente onesti, piuttosto che riverire aziende o designer in quanto monumenti a loro stessi. E’ il momento in cui le aziende devono concedere di più a ricerca e sperimentazione, vera anticamera dell’innovazione, e il Salone dovrebbe fare da cassa di risonanza a questo processo mettendo la cultura del progetto al proprio centro, facendosi promotore dell’eccellenza e dell’expertise delle produzioni che presenta, senza beninteso dimenticare la vocazione commerciale che è insita in qualunque fiera”.
di Valentina Dalla Costa