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Il ruolo del design dal Dopoguerra a oggi

Mostra “Crazy80” realizzata da Giulio Cappellini per celebrare l’80°anniversario di Printemps. Un omaggio all’evoluzione del design internazionale nato nei favolosi anni ’80. A Parigi dal 19 maggio al 31 agosto

Il ruolo del design dal Dopoguerra a oggi

by Maria Elena Molteni
20 Giugno 2022

Avere la capacità e la forza di andare oltre e immaginare il futuro. Uno sforzo tanto più difficile in tempi di crisi (e di guerra), ma tanto più importante per uscirne velocemente.

Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Cesare Paolini, Mario Bellini, Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Alberto Rosselli, Marco Zanuso e Richard Sapper, Archizoom, Superstudio, Ugo La Pietra, Gruppo Strum e 9999. Erano gli autori delle opere a catalogo della mostra ‘The New Domestic Landscape’, al MoMA di New York, curata da Emilio Ambasz. Erano 50 anni fa. Era il 1972. Nasceva il design italiano. Conseguenza della voglia di reagire alla depressione economica successiva alla seconda guerra mondiale, frutto della capacità e del coraggio di innovare e andare oltre. Oggi la situazione è diversa, ma non dissimile, per certi aspetti. Una pandemia e una guerra alle porte, che inevitabilmente avvertiamo come ‘in casa’, una crisi energetica che vede pochi precedenti nella storia, inducono ad abbracciare una nuova fase di transizione dove il design è chiamato a dare nuova forma, e voce, alla bellezza. A tracciare il quadro della situazione Fondazione Symbola, Deloitte Private e Polidesign, in collaborazione con Adi, Logotel, Cuid, Comieco e AlmaLaurea.

UN QUINTO DELLA RICCHEZZA DEL SETTORE PRODOTTA NELLA PROVINCIA DI MILANO
Va detto, innanzitutto, che il comparto in Italia conta 30 mila imprese, in grado di generare 2,5 miliardi di euro di valore aggiunto e di dare lavoro a 61mila persone. In Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto sono localizzate il 60,4% delle imprese del design che generano il 68,5% del valore aggiunto e assorbono il 64,7% degli occupati del settore. La parte del leone la fanno Milano e la Lombardia. Il capoluogo lombardo, del resto, è anche sede del Salone del Mobile e del Fuorisalone. Qui si trovano la maggior parte delle imprese e dei professionisti del design. Milano si aggiudica il 14,8% del totale delle imprese italiane del settore. Dal punto di vista del valore creato, le imprese della provincia di Milano sono capaci di generare da sole quasi un quinto (il 18,4%) della ricchezza prodotta dal settore sull’intero territorio nazionale. Torino, Roma e Bologna seguono a distanza.

GLI OGGETTI DEL FUTURO? RIPARABILI, RICONDIZIONABILI, RIUTILIZZABILI
Cristallizzato questo rapido quadro, facile è immaginare il ruolo delle imprese nel percorso di transizione ecologica che il paese sta attraversando, non fosse altro che per la loro capacità non solo di innovazione (di processo e di prodotto), ma di guardare oltre, e spostare un po’ più in là la linea dell’orizzonte. Lo spiega bene Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, osservando che “il design è chiamato nuovamente a dare forma, senso e bellezza al futuro. Molti aspetti della nostra vita, così come molti settori, cambieranno, dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera, arrivando ai prodotti che, in un contesto di risorse sempre più scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, ricondizionabili, riutilizzabili”. Non esita a ricordare, Realacci, il “nuovo bauhaus europeo” lanciato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel 2020. “Affrontare con coraggio la crisi climatica – afferma – non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”. Ora, poiché il tessuto industriale italiano è composto prevalentemente da pmi, è facile immaginare i limiti e i pregi di questo modello industriale in relazione, appunto, alla transizione energetica e al ruolo del design nell’immaginare il futuro. Da un lato le piccole e medie imprese sono contraddistinte da una strutturale carenza di risorse economico-finanziarie, ma anche di conoscenza. Ora, le sfide della decarbonizzazione, le energie rinnovabili, la gestione dei rifiuti, lo sviluppo di nuovi modelli di business circolari richiedono capacità strategica, investimenti specifici e competenze specialistiche. Però, evidenziano gli autori della ricerca, le piccole e medie imprese italiane sono attente al territorio e sono portatori di interesse delle aziende che operano al suo interno. E qui sta un passaggio chiave: “l’industria italiana ha un tasso di circolarità pari al 50%. Nei settori tipici del made in Italy, e dunque moda, cibo e arredamento, quella che per anni è stata la fonte di un vantaggio competitivo, ovvero una produzione di qualità, in grado di coniugare tradizione e innovazione, oggi potrebbe non essere più sufficiente per soddisfare i nuovi bisogni del mercato e le richieste delle nuove generazioni di clienti”. Insomma, le pmi italiane del comparto devo imparare a processare la transizione.

CRESCE l’ATTENZIONE A RIGENERAZIONE E RICICLO
Ci sono tre parole, in particolare, che ricorrono e che rappresentano i pilastri su cui costruire tutte le strategie, anche comunicative, del futuro: durabilità, riduzione e riciclo. Guardando al prossimo triennio 2022-2024, il peso nella progettazione della componente durabilità rimarrà pressoché invariato (+0,3 punti percentuali nel triennio), crescerà del 5% l’attenzione alla riduzione e il riciclo e addirittura supererà l’8% la rigenerazione. È un’attenzione che risponde a un atteggiamento globale sul tema della riparabilità o rigenerazione dei prodotti, diventata un focus chiaro nella comunicazione di tutti i brand e in particolare di quelli più attenti al design (anche perché essa è una conseguenza diretta di una progettazione ben pensata). Anche la Apple i cui prodotti sono da sempre sinonimo di non-riparabilità (se non attraverso il riacquisto e rivendita da parte del marchio stesso) ha recentemente cambiato rotta, evidentemente cedendo alle pressioni degli user più interessati all’ambiente. Dal 2022 chiunque potrà riparare (alcuni elementi) di un gruppo di prodotti Apple usando parti originali vendute dalla casa madre. Anche il riuso è guardato con sempre meno sospetto dalle imprese. Succede del basso di gamma con il second hand (con il programma Seconda Vita, Ikea riacquista i suoi arredi e dà in cambio voucher per acquistarne nuovi nel suo negozio) ma anche con il fenomeno del Pre-Loved per i brand più blasonati (come Artek 2nd Cycle, che prevede il ritrovamento e la rivendita di pezzi storici del marchio).

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