Fiere, mostre e il grande evento della Design Week, a 40 anni dalla nascita del Superstudio. Il trend setter simbolo del made in Italy parla di sé, del suo ultimo lavoro alla Saatchi Gallery di Londra e del suo futuro pieno di passione per il design.
Giulio Cappellini, non ha bisogno di presentazioni. Architetto, designer, imprenditore e talent scout, con la sua genialità e i suoi progetti si è conquistato un posto di rilievo nella storia del design. Testimone attento e portavoce indiscusso del made in Italy, è anche un affascinante narratore, soprattutto quando parla dei grandi maestri, come Ponti e Scarpa, o racconta i suoi progetti. Per lui ogni sfida, anche la più difficile, è come l’aria che respira. Uno stimolo in più da affrontare. L’ultima scommessa, è arrivata, inaspettata e puntuale questo settembre: una mostra negli spazi della Saatchi Gallery a Londra. Lo scopo? Facile a dirsi: mettere in risalto le eccellenze del Bel Paese.
INUTILE FARSI CONCORRENZA
“Sono stato chiamato da un giovane imprenditore, Francesco Giasullo, e da Elena Foschi per organizzare un progetto ambizioso con poco tempo a disposizione”, ci racconta Cappellini. “All’inizio mi è sembrata quasi una follia, ma poi ho intuito l’importanza dell’operazione e mi sono lanciato con entusiasmo nell’impresa. Il tempo era tiranno, dovevo reclutare le aziende, scegliere i pezzi. Patrizia Moroso e Lorenzo Porro mi hanno subito dato fiducia, altri brand sono stati dubbiosi ma infine hanno aderito, altri ancora si sono sfilati dall’operazione all’ultimo. L’importante per me era lavorare sul concetto di qualità”.
Il format prevedeva due mostre: Take a Seat, una storia, non cronologica, sull’evoluzione della seduta, e Souvenir d’Italie, protagonista l’oggetto, con pezzi recenti e elementi che hanno fatto la storia. “La scelta delle opere – continua Cappellini – è stata difficile, sicuramente non completa. Per Take a Seat volevo 18-20 sedute, ma poi alla fine sono diventate una quarantina. Non abbastanza, comunque, per dare un panorama esaustivo sul meglio della nostra produzione, avrei dovuto metterne in mostra almeno 100”. Accanto all’esposizione c’era anche un ricco programma di Talk, con un inaspettato successo di pubblico. “Anche la stampa ha gradito l’evento, tanto che mi hanno chiesto di replicare il format, facendolo magari diventare itinerante”. E continua: “L’esperienza è stata molto interessante anche dal punto di vista dei rapporti tra competitor. Ci siamo ritrovati con Giulia Molteni di Molteni&C, Roberto Gavazzi di Boffi e De Padova e Patricia Urquiola. Abbiamo appurato quanto sia inutile farci concorrenza, tanto poi è il mercato che sceglie. Oltretutto nella distribuzione tutti i più importanti marchi all’estero sono veicolati insieme, negozi monomarca a parte”. E con un po’ di nostalgia, Cappellini inizia a spiegare come la fortuna del design italiano sia stata costruita da quegli imprenditori illuminati che si ritrovavano la sera a cena e decidevano insieme il da farsi. E conclude: “I prodotti delle aziende italiane, ammirati e copiati in tutto il mondo, non nascono da ragionamenti di marketing, ma dalla passione e dalla voglia di rischiare che l’imprenditore trasmette a tutti coloro che lo affiancano. Questa è la via maestra da percorrere insieme, cominciando finalmente a fare sistema. Come la moda”. Soprattutto in una società ormai globalizzata, dove il design è un’esperienza che coinvolge il mondo intero. “Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, ero accusato di tradire il design perché lavoravo con creativi stranieri. E invece è proprio grazie a persone come Morrison e i Bouroullec, che ho capito quanto è importante per il successo di un’azienda mettere a confronto persone diverse per nazionalità, cultura, tradizione. L’unica vera discriminante resta il talento. E loro hanno dimostrato di averne tanto. L’unica cosa mai cambiata è la voglia di Italia. Non c’è giovane progettista che nel cassetto non nasconda il sogno di lavorare con le nostre aziende”.
TRA LONDRA E MILANO
Fiere grandi o piccole, il design deve essere comunicato con passione. Una voglia di fare che Giulio Cappelini giudica interessante sotto vari aspetti. L’importante è che la qualità sia sempre la linea guida, perché il prodotto deve sempre essere narrato nel modo giusto. “Nella prossima edizione di I Made, voglio portare a Londra gli artigiani, perché per capire il design, per scoprire il motivo per cui un oggetto costa cento e un altro mille, bisogna aver chiaro come viene creato”. E poi, trasformandosi nel professore che insegna agli studenti della Marangoni, racconta: “Ogni volta che visitate la design week non lasciatevi abbagliare solo dallo show delle installazioni, ma badate al prodotto, perché dietro a una sedia o a un tavolo c’è il lavoro di un imprenditore, un’azienda che dà lavoro a tante persone”.
L’appuntamento con il Salone del Mobile resta comunque sempre l’evento per eccellenza, dove le aziende si giocano il tutto per tutto in una sola settimana. L’anno prossimo, poi, si festeggiano i 40 anni del Superstudio, quella magica esperienza che Giulio Cappellini e Gisella Borioli hanno creato e che è diventata il modello del Fuorisalone. “Scegliere la zona Tortona a molti sembrava un azzardo. I tassisti di Milano, ad esempio, non la conoscevano”. Poi è cresciuta, ha avuto anni di decadenza, ma ora è rinata. “Il ritorno di Nendo, la scelta di puntare sulla qualità ha dato subito i suoi frutti. Già a maggio tutti gli spazi per il 2020 erano già stati venduti”. E per l’anno prossimo c’è una grossa novità. Nasce il Superstudio Maxi, in uno spazio ex industriale in via Moncucco, di oltre 7.000 mq, per proporre, con la modalità “meno fiera e più museo”, le ultime novità dal mondo di design, tra grandi brand e start-up, archistar e giovani. Una sorta di Campus aperto a tutti, in una zona ancora una volta periferica: “Perché al di là dei distretti, Tortona, Brera, Centrale, è il design l’unico protagonista della Design Week e la città di Milano è il suo palcoscenico”. Una città che Giulio Cappellini ama tanto, che nasconde architetture piene di fascino, meno evidenti delle nuove costruzioni, ma che hanno quel sapore che parla il linguaggio dei maestri. Il passato che torna, che diventa di nuovo presente e inventa il futuro, sarà il tema della prossima edizione del Fuorisalone in zona Tortona: “Ieri, oggi e domani”. In un continuum temporale che in fondo è la vera natura del fare design.