A medio/lungo termine, i terzisti e gli artigiani del mobile vedono prospettive di recupero. Il problema è a breve, e riguarda soprattutto il rilancio della domanda interna oltre alla questione cruciale della liquidità, per garantire lo stipendio ai propri dipendenti.
A monte della filiera, la crisi post covid-19 viene vista esattamente come noi tutti abbiamo visto il virus: un nemico invisibile e al tempo stesso subdolo, i cui effetti potranno essere monitorati soltanto con il trascorrere del tempo. Da nord a sud, la conseguenza immediata del contagio è stata la stessa ovvero la chiusura temporanea delle aziende, ma le prospettive cambiano a seconda dell’identikit del singolo distretto. Il patto di filiera tra cliente e fornitore, con il primo ben disposto a sostenere il secondo, viene confermato dai beneficiari di questo tacito accordo e rappresenta un elemento di fiducia verso il futuro. Un futuro che però è fortemente in discussione, data la debolezza strutturale del tessuto produttivo tipico degli artigiani e dei terzisti. Settembre sarà il mese decisivo: una mancata ripresa, in autunno, rischierebbe di innescare una vera e propria bomba economica e sociale, a partire dalle regioni leader della filiera come Lombardia e Veneto.
OTTIMISMO IN BRIANZA
Nel periodo compreso tra marzo e maggio, le piccole e medie imprese del legno arredo di Monza e Brianza hanno perso 176 milioni di ricavi, pari al 15,6% del fatturato annuo. La stima è di Confartigianato Lombardia, che evidenzia per il distretto leader regionale del mobile ben 1.400 posti di lavoro a rischio, nonostante una rapida riconversione produttiva avviata dal 20% delle aziende del comparto, che hanno parzialmente abbandonato mobili e complementi d’arredo per dedicarsi alla realizzazione di segnaletica di distanziamento, separatori in plexiglass e altri beni utili per la gestione dell’emergenza sanitaria. A fronte di questi pessimi segnali, si percepisce un diffuso ottimismo nel distretto per il recupero in tempi abbastanza rapidi, fermo restando che il 2020 sarà un annus horribilis esattamente come lo fu il 2009: il 45% pensa che entro dicembre si tornerà ai livelli di fatturato pre-covid e solo un 20,7% pone l’asticella del recupero oltre giugno del 2021. Nel frattempo, il presidente di sezione in Confartigianato di Milano Monza Brianza, Franco Montrasio, evidenzia come gli operatori credano nel ritorno alla normalità e come il ritmo del lavoro per le aziende, dopo la riapertura, sia abbastanza rassicurante. Con una specifica legata al momento della ripartenza. “Chi si è rimesso immediatamente in moto il 4 maggio – precisa – ha osservato un rallentamento a fine mese perché, in assenza di nuovi ordini, quelli rimasti inevasi con la chiusura sono nel frattempo terminati. Altre aziende, come la mia, sono ripartite a piccoli passi per non ritrovarsi con un vuoto produttivo dopo tre settimane. Nel frattempo, ed è la notizia più confortante, i clienti stanno tornando nei negozi e in alcuni casi, da quando ci dicono i nostri clienti, l’affluenza durante la settimana è paragonabile a quella del giorno di punta ovvero il sabato”. Si parla però di feedback da negozi italiani e in particolare dell’area Lombardia/Piemonte, che sono quelli serviti da una delle tipologie di terzista o artigiano dell’area brianzola. La distinzione viene proposta proprio da Montrasio, titolare dell’Ima Mobili di Sovico, che entra nei negozi con il proprio marchio, mentre altri produttori lo fanno con il marchio del cliente secondo il meccanismo collaudato del private label. “La realtà – precisa il presidente del legno-arredo di Confartigianato – è molto variegata e cambia a seconda dell’impostazione dell’azienda. Chi fa il contoterzista per i maggiori marchi sta lavorando, così come chi sviluppa progetti su misura per clienti privati. È invece in difficoltà chi prima della crisi si era specializzato su una clientela estera, scelta premiante per il livello qualitativo della domanda, ma che ora è diventata penalizzante per le difficoltà nella spedizione. E naturalmente sta soffrendo chi lavorava direttamente o indirettamente per gli hotel e per la ristorazione”. I brand dell’arredo, conferma Montrasio, stanno onorando gli impegni verso i propri fornitori, ma aggiunge: “Mi pare un passaggio obbligato, perché non farlo significherebbe entrare in difficoltà per assenza di fornitori qualificati. E nessuno, oggi, si può permettere di perdere un fornitore che non gli hai mai creato problemi. Una volta ripartito il mercato, i brand non avrebbero alternative”.
IL 110% ANCHE ALL’ARREDO
In Veneto, secondo i dati della Confartigianato regionale, operano quasi seimila imprese nell’ambito del legno arredo, perlopiù distribuite nelle quattro province leader (Verona, Treviso, Padova e Vicenza). A dominare la scena sono i serramentisti, oltre 2.500, e a seguire gli specialisti dell’arredo, quasi 2.300; completano il quadro le aziende di tappezzeria (più di 650) e le operazioni della filiera del legno. La dimensione media? Tre addetti per impresa. Paola Zanotto, presidente del gruppo arredo di Confartigianato Veneto e imprenditrice nell’azienda di famiglia (Zanotto Elia a Rosà, provincia di Vicenza), appare preoccupata per l’evoluzione della situazione. “Negli ultimi due anni, il comparto si stava riprendendo dalla precedente crisi, e ora è di nuovo in difficoltà. E si sa che, in queste situazioni, i terzisti sono i primi a saltare, perché le aziende committenti rispondono al calo produttivo riducendo le commesse esterne”. Il portafoglio ordini degli artigiani assicura mediamente il lavoro fino a luglio, poi iniziano le incognite. Le preoccupazioni di Paola Zanotto e dell’intera associazione sono legate alla mancanza di direttive chiare a livello governativo. Si chiede a gran voce di estendere la maxi esenzione del 110% prevista nell’ecobonus all’arredamento d’interni, perché “se viene limitata a serramenti ed esterni, si creeranno squilibri importanti”, precisa la presidente. “E in questo momento, per ripartire, diventa fondamentale stimolare la domanda interna, perché in chiave export il recupero non sarà immediato”. Inoltre, gli artigiani del Veneto chiedono una maggiore attenzione verso la tracciabilità di filiera, “perché dopo questa crisi dovrà decollare un nuovo modo di lavorare, basato su incentivi per la valorizzazione delle materie prime e delle lavorazioni locali, esattamente come accade nel sistema moda o nell’agroalimentare”. Questo vale per tutte le fasi di trasformazione e anche per i materiali, dove il Veneto ha un ruolo da protagonista nelle pelli (distretto di Arzignano) e nei tessuti.
MARGINI SOTTO PRESSIONE
Per il mobile imbottito di Forlì si aprono scenari di marginalità ancor più risicata, a seguito della crisi. È quel che teme Massimo Romualdi, presidente di Cna Produzione di Forlì-Cesena, il quale afferma: “Il tessuto produttivo locale opera in maggior parte per grandi catene specializzate nella vendita in Italia. E con le prospettive che si intravedono per il potere di acquisto dei consumatori italiani, difficilmente aumenterà la qualità della domanda. Il tipo di prodotto che si può vendere nel mercato interno è di qualità medio/bassa, perciò non mi stupirei se le imprese committenti sfruttassero la leva del prezzo per mantenere il fatturato. Se ciò avvenisse, le conseguenze ricadrebbero sui terzisti, che sono l’anello più debole della catena. Per quanto voglia essere ottimista, temo che nel nostro territorio vedremo cali significativi di marginalità, sperando di non andare oltre”. E aggiunge: “In passato, per i prodotti di serie che richiedono prezzi particolarmente aggressivi, non sono mancati i casi di aziende che si sono avvalse di manodopera ‘equivoca’… Ma sono convinto che questo rischio non si possa più correre, perché la produzione diminuirà e quindi non ce ne sarà nemmeno bisogno”. Se lo scenario è questo, la risposta delle aziende artigiane forlivesi dev’essere basata sulla ricerca e sull’orientamento all’export. “Anche i piccoli possono diventare propositivi – precisa Romualdi – trovando il modo di presentare al mercato le loro capacità e i prodotti di alta qualità che sanno fare”. L’alternativa è uscire dall’ambito dell’imbottito per la casa, come lo stesso Romualdi ha fatto con la sua azienda Spazio Design, diventando un fornitore qualificato per la nautica di lusso.
IL NODO A SETTEMBRE
La situazione tra Pesaro e Urbino, distretto leader per le cucine? “I vecchi ordini sono stati esauriti, quelli nuovi tardano ad arrivare”, racconta Moreno Bordoni, presidente della nuova Azienda speciale “mobile e meccanica” della Camera di Commercio delle Marche. “Parliamo di aziende che impiegano mediamente dai 2 ai 10 dipendenti, tecnologicamente avanzate, ma condizionate dal fatto di essere legate a pochi grandi clienti. La mancata diversificazione del rischio, in questa fase, crea ulteriori difficoltà. Il nodo vero, per i terzisti delle cucine, verrà sciolto a settembre, quando oltretutto si dovranno pagare le imposte. A quel punto, se l’azienda non sarà pienamente ripartita e non avrà risolto le emergenze di liquidità, potrebbero arrivare anche decisioni drastiche”. La possibilità di slegarsi dai big locali o dagli altri dealer nazionali che rappresentano la clientela di riferimento del distretto pesarese non viene considerata premiante a breve termine, date le difficoltà in uscita delle merci. “Si lavora a regimi molto bassi, siamo sotto il 50% della capacità produttiva”, precisa Bordoni.
Preoccupazioni simili emergono nelle Murge, terra di mobile imbottito a cavallo tra Puglia e Basilicata. “La filiera è in coma – afferma il presidente di sezione in Confapi Matera, Cosimo Muscaridola – perché il lockdown è arrivato in una situazione già critica per il comparto locale. Le conseguenze sulla liquidità sono devastanti. Quel poco che c’era, lo abbiamo utilizzato per anticipare la cassa integrazione ai dipendenti, ma adesso diventa difficile poter pagare gli stipendi, perché le aziende incassano a 60 giorni e tutti i sostegni promessi non sono mai arrivati, tra pastoie burocratiche o mancate concessioni dalle banche. Avremo un autunno molto complicato, andando avanti di questo passo, con problemi seri se la macchina non riparte. Molte aziende qui chiuderanno”. Guardare oltre distretto? “Sarebbe utile – conclude Muscaridola – ma nella filiera dell’imbottito non è una soluzione percorribile, perché parliamo di prodotti voluminosi e con elevate incidenze di costo del trasporto”.
di Andrea Guolo