Il pronto design presenta dei limiti in fatto di sostenibilità. La visione di McKinsey e PwC sui cambiamenti necessari, da una visione (corretta) di filiera a un cambio di paradigma in chiave custom.
Il “pronto design” è sostenibile? Le attenzioni verso la sostenibilità da parte dei big del mobile che assicurano rapide consegne sono sempre più alte, ma il loro modello di business rappresenta un argomento di discussione. Gli argomenti sotto il riflettore? Materiali utilizzati, impatto dei trasporti, durata nel tempo.
APPROCCIO DI FILIERA
Il paragone con il pronto moda è suggestivo ma, secondo la visione di Emanuele Pedrotti, partner della società di consulenza strategica McKinsey, esistono differenze sostanziali tra i due ambiti.
“La prima distinzione riguarda la frequenza di acquisto, perché nella moda è ricorrente e nell’arredo no. Poi c’è un limite spaziale, perché non si possono mettere più di tanti mobili in casa. La conseguenza è una naturale propensione a evitare sprechi: si stima che fino al 30% dei capi acquistati nel circuito del pronto moda non vengano neppure indossati da chi li compra, mentre questo nel mobile non accade”. Si aggiunge poi la questione dei materiali. “Quelli da cui parte il pronto design sono spesso il risultato di un recupero degli scarti di altre produzioni, ad esempio il truciolato, e quindi possiamo dire che questo comparto, a differenza dell’abbigliamento, presenta elementi intrinseci di circolarità”. Nella visione di Pedrotti, le questioni da definire per calcolare l’effettiva sostenibilità del pronto design sono due: la definizione di sostenibilità e la sua misurabilità. Per la prima, il principale (ma non l’unico) proxi da valutare è il livello di emissioni di gas serra; per la seconda, è il calcolo di carbon footprint legato al ciclo di vita di un prodotto, base da cui partire per ragionare sulle azioni di compensazione e di riduzione dell’impatto. “Lo sviluppo di una cultura di sostenibilità è un processo avviato da poco e la sua misurazione non può riguardare solo l’attività diretta, ma anche i processi di filiera e deve coinvolgere le aziende fornitrici. Chiaramente, le operations in Paesi lontani impattano negativamente e una filiera di prossimità, tipica del mobile made in Italy, appare meno impattante. D’altro lato, il montaggio fai da te gioca invece a favore dei brand del pronto design perché un mobile montato ha un impatto maggiore in termini di trasporto”. Infine, sulla questione supply chain, Pedrotti avverte: “I player più evoluti a monte della filiera avvertono le difficoltà nel sottoscrivere quanto richiedono i brand, mentre magari quelli più piccoli possono avere più difficoltà a coglierne le implicazioni, e questo crea disparità e pressioni che possono diventare difficili da gestire nella logica della transizione sostenibile. Se poi la filiera finisce sotto pressione sia di costo sia nella richiesta di essere sostenibile, ci si può trovare davanti a un’equazione insolubile”.
OLTRE IL PURO MARKETING
Le azioni di sostenibilità messe in atto dai big del fast fashion sono diverse e ingenti. Erika Andreetta, partner di PwC Italia e consumer market consulting leader, cita come esempi il servizio “Riporta e Rivendi” di Ikea, che permette di riconsegnare l’usato in cambio di buoni sconto, e nel 2019, ha permesso di dare una seconda vita a 47 milioni di prodotti. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni sono tra gli elementi maggiormente citati nell’ambito delle strategie di sostenibilità di tutti i grandi player. “È importante però non lasciarsi illudere dalle iniziative di sostenibilità intraprese dalle aziende del pronto design. L’industria dell’arredamento costituisce infatti, in misura crescente negli ultimi anni, una delle maggiori fonti di inquinamento a livello globale” precisa Andreetta, evidenziando come “il riciclaggio è ottimo in teoria, ma il mix di materiali e sostanze chimiche che compongono ogni mobile rende quasi impossibile la lavorazione in un impianto di riciclaggio”. È il caso del pannello truciolare, non riciclabile o biodegradabile a causa della sua resina chimica e del laminato plastico. “Alla fine, l’80% dei rifiuti finisce direttamente in discarica, rendendo i mobili l’oggetto domestico meno riciclato”. L’attenzione dei big player per lo sviluppo di modelli di business sostenibili ha dato vita a progetti che abbracciano l’intera value chain e sui quali si basano anche le strategie di marketing. “A fronte di ciò, un punto critico può essere rappresentato della reale credibilità che tali comunicazioni acquistano nei confronti degli stakeholder. Com’è noto, infatti, i consumatori sono sempre più attenti alle informazioni fornite dalle organizzazioni rispetto alla reale efficacia delle iniziative di sostenibilità messe in atto che, per essere correttamente percepite, devono essere supportate da una disclosure robusta e attendibile, ad oggi non sempre disponibile” sottolinea la partner di PwC. Nella visione di Andreetta, “sebbene l’acquisto di mobili prodotti in serie rimanga incredibilmente conveniente per i consumatori, dato l’avvento e la crescente popolarità dei magnati dell’e-commerce come Wayfair e Overstock, il pronto design è estremamente dannoso per l’ambiente. L’ascesa e il successo delle aziende sono legati a una modalità di comportamento del consumatore che negli anni si è intensificata: la volontà di ricevere nell’immediato, sempre più tramite servizi di consegna, i prodotti che si desiderano. È innegabile quanto l’arredamento low-cost abbia rappresentato una minaccia per l’arredamento tradizionale in termini di vendite dalla sua ascesa ad oggi, soprattutto per motivi di convenienza ma anche in quanto ha costituito una forte tendenza agli occhi dei consumatori. Ora però si prevede che sia i consumatori che i designer inizieranno ad allontanarsi dal modello del fast furniture, muovendosi verso la scelta di pezzi artigianali moderni o antichi. Il consumatore finale sta progressivamente modificando le proprie abitudini ed è disposto anche ad attendere per l’arredo, prediligendo soluzioni personalizzate per i propri ambienti, elemento ritenuto prioritario rispetto alla velocità della consegna. Probabilmente il fast furniture dovrà adattarsi alla crescente consapevolezza dei consumatori, dimostrando la concretezza delle sue politiche ambientali”.
di Andrea Guolo