Per Nicolò Gavazzi tutto è iniziato da due intuizioni: sollecitare un network internazionale di creativi, e fare in modo che si misurassero su un progetto assolutamente innovativo, destinato a generare ulteriori sperimentazioni. Il risultato? Una quarantina di borse ad alto contenuto estetico. Che già si candidano a diventare le it-bags della prossima stagione.
Chiacchierando con Nicolò Gavazzi, 36 anni, imprenditore che vanta un curriculum che brilla per studi e collaborazioni prestigiose, da Boffi ad Hermès, la parola che ricorre di più spesso è “innovazione”. Gavazzi ne ha fatto la sua bandiera perché crede fermamente nei risultati e nei benefici sociali della sua nuova impresa: “Up to you Anthology”, una piattaforma e-commerce per la vendita di borse disegnate da chiunque abbia un nuovo progetto ad alto contenuto stilistico e creativo.
Ecco perché Gavazzi parla di innovazione quando descrive i prodotti realizzati per questa prima collezione, e la ripete quando si riferisce ai cambiamenti che la sua idea porterà nel comportamento dei consumatori. Il quale modo? Ce lo spiega proprio lui, a margine del lancio della prima collezione.
Nicolò Gavazzi: imprenditore e oggi anche fashion designer. Quali sono le sinergie fra questo due ruoli?
Se devo essere sincero, mi sento fashion designer molto prima che imprenditore! Al liceo mi piaceva disegnare abiti, accessori e automobili. Anche l’idea di questa borsa risale ai tempi dell’università. La competenza da imprenditore, invece, è maturata negli anni, lavorando accanto mio padre. Ora è venuto il momento di volare da solo.
“Up to you Anthology” è una scommessa creativa che ci invita alla (ri)scoperta del più universale fra gli oggetti inventati dall’uomo: la borsa. In cosa consiste la novità del progetto?
Le prime borse che abbiamo prodotto sono legate da una forte coerenza stilistica ma la vera novità è che, tramite la nostra piattaforma, chiunque potrà creare la propria, potrà disegnarla, raccontarne la genesi, decidere i metodi di produzione e il prezzo, e ovviamente potrà promuoverla. Il fattore a suo modo rivoluzionario consiste nel fatto che l’acquisto avverrà senza l’intermediazione di una rete commerciale ma in modo diretto, mettendo in contatto il creativo con l’utente finale.
Da cosa è partito per affrontare questa nuova avventura?
L’idea ha preso forma qualche tempo fa, durante un mio soggiorno in Cina: era un periodo in cui viaggiavo molto e ho avuto modo di toccare con mano come la globalizzazione fosse ormai diventata un fenomeno di massa, con cui tutti ci dobbiamo misurare. Così ho pensato che sarebbe stato interessante poter mettere a frutto questa creatività “allargata” e sollecitare il network di persone che in giro per il mondo hanno estro e gusto, indipendentemente dall’appartenenza a un’azienda. Basta che possieda un computer e qualche ispirazione, e oggi chiunque in teoria può provare a lanciarsi e proporre qualcosa di diverso: è una regola altamente democratica, che vale per chi si ha frequentato la Central Saint Martins di Londra, ma anche per il ragazzino del Bangladesh che non ha mai studiato ma ha un forte potenziale creativo.
In quale modo verrà finanziata questa start-up?
Per ora sto pensando a tutto io. Visto che l’operazione è gestita online, gli investimenti non sono esagerati: riguardano la creazione della piattaforma, lo sviluppo delle prime borse e il team di persone che ci hanno lavorato. A breve ho intenzione di fare un piccolo aumento di capitale riservato a friends and family, amici e poco di più, poi vedremo. Trattandosi di un e-commerce, in questa sfida i guadagni sono immediati, pagando i fornitori a 30 e 60 giorni. L’obiettivo è di generare al più presto un po’ di cassa, facendo sì che il progetto continui a essere auto-sostenibile.
Cosa si aspetta da questo lavoro?
Per ora mi sto divertendo molto, e la cosa che mi piace di più è che tutte le persone coinvolte in questa nuova sfida si stiano divertendo a loro volta. Di fatto, “Up to you Anthology” è un sogno che si realizza. Già questo è un grandissimo risultato.
Nata come contenitore da trasporto, la borsa è diventata un oggetto di culto che rivela il lato più intimo del suo proprietario. Quali storie racconteranno le sue borse?
Non sono le mie borse. Sono le loro borse. Io sono una piattaforma per la creatività che fa capo ad altre persone, offro una vetrina dove io mi occupo di produzione e vendita. Comunque, mi piace pensare che ci siano vari messaggi all’interno di “Up to you Anthology”: la piattaforma veicola prodotti di alta qualità e di alta manifattura, lavorati in Italia da artigiani specializzati, e poi i designer diventano anche marketing manager di se stessi, facendo conoscere il loro lavoro attraverso la propria rete di contatti.
C’è un leitmotiv della collezione?
Le borse sono tutte legate da uno stile molto pulito con qualche tocco di colore. Ma non solo. Un esempio è quella dell’artista tedesca Regine Schumann, che ne ha creato una simile a un oggetto d’arte, più icona e meno borsa.
Che ruolo ha, in questa progetto, Piero Lissoni?
Si occupa dell’immagine coordinata, del sito, del packaging e di tutta la comunicazione.
Cosa pronostica in termini di ritorno di immagine ed economico?
Di sicuro avrà una certa risonanza la prima collezione firmata da designer già famosi, ma il fatto che loro stessi possano essere promotori del proprio prodotto ritengo sia una novità assoluta. In alcuni ambiti questo è una dinamica già affermata: basti pensare a Airbnb e a Uber, entrambi esempi di sharing economy oppure alla realtà dell’editoria dove ormai si può auto pubblicare la propria opera tramite una piattaforma online, che stampa, distribuisce e fa incassare i guadagni all’autore senza il tramite dell’editore. Quanto al ritorno economico, per ora è difficile stimarlo. Confido che ci sia, soprattutto per i designer, perché guadagnano sulla vendita in base al prezzo che scelgono. I creativi che investiranno nello sviluppo della borsa, con 20-30 pezzi venduti riusciranno a rientrare dei costi. In ogni caso, spero soprattutto che “Up to you Anthology” funzioni come un business model.
Nel futuro immagina altre tipologie di prodotto?
Assolutamente si. Per ora ci siamo focalizzati sulla borsa, perché è facile da disegnare, non richiede uno studio economico, è semplice da produrre e da comprare on line, ha una sola taglia, non è necessario provarla e durante la fase progettuale, che va dalla realizzazione del cartamodello all’approvazione del prototipo, è abbastanza facile capirsi col designer anche a distanza.
Le vostre borse fanno affidamento su una produzione tutta italiana di qualità e su un’altissima artigianalità. Fin qui la scelta è caduta sulla tradizione dei pellettieri toscani. Come mai?
La tradizione toscana è la più adatta per realizzare i prodotti che abbiamo scelto per la prima collezione. L’idea è quella di poter identificare il giusto produttore per ogni borsa, e per ora siamo arrivati a tre. In futuro, ci piacerebbe valorizzare l’esperienza dei tanti artigiani italiani specializzati, che stanno sempre più scomparendo o vengono “assorbiti” dalle multinazionali.
L’idea è aperta a tutti: designer, architetti, artisti, anche studenti… Chiunque può permettersi di esprimersi liberamente e avere una finestra di visibilità. Come hanno reagito le scuole?
Sono state coinvolte diverse università, legate al mondo del design e a quello della moda: la Columbia University a New York, il Politecnico, la Bocconi e la Marangoni a Milano e due atenei in Giappone. Il rapporto è stato interessante per loro e per noi. Pensando alla Columbia Business School e alla Bocconi, l’esperienza è stata ancor più completa in quanto si è toccata anche la parte gestionale sviluppando anche un piano business, dal prezzo agli sconti alla campagna pubblicitaria focalizzata su un tipo di cliente.
Qualche nome per la prima collezione: Giulio Cappellini, Naoto Fukasawa, Nendo, Elisa Ossino, Elena Salmistraro, Regine Schumann… Anche Nicolò Gavazzi ha progettato una borsa. Lei quale comprerà?
Sono molto soddisfatto di tutte le creazioni. Che siano di forma classica, come quella di Giulio Cappellini, o essenziali, come quella di Fukasawa, ogni borsa ha la sua personalità. A mia moglie regalerò la mia, che non userà – sorride – e quella di Nendo, che le piace, come le piace anche quella di Elena Salmistraro. A mia madre quella di Elisa Ossino e a mia sorella quella di Naoto.