È passato un anno esatto dalla telefonata in cui Roberto Gavazzi, CEO di Boffi, e Luca De Padova ipotizzarono per la prima volta la fusione tra le loro realtà. L’accordo sarebbe stato raggiunto tre mesi dopo, alla vigilia del Salone del Mobile. Per Gavazzi, che abbiamo incontrato a Colonia in occasione dell’evento organizzato in showroom durante i giorni di Imm, il primo bilancio dell’operazione è positivo e non soltanto nei numeri. “Siamo partiti, com’è naturale, dalle risorse umane – spiega a Pambianco Design – e abbiamo riscontrato che De Padova disponeva di un ottimo team, che si è ben integrato con quello di Boffi sviluppando immediate sinergie. Il secondo passaggio ha riguardato l’apertura del nuovo spazio De Padova che avrebbe dovuto comunicare, nelle nostre intenzioni, una discontinuità rispetto al passato, non prestandosi a confronti con la precedente location di corso Venezia. Avevamo bisogno di uno spazio concettuale più che di un negozio vero e proprio e credo che la soluzione individuata nella ex sede di Dolce e Gabbana in via Santa Cecilia, sorprendente ed esclusiva, sia perfetta: è casa De Padova e come tale la vorremmo gestire, esponendo poche soluzioni che colpiscano per capacità progettuale”.
Boffi e De Padova: intesa vincente?
Da tempo sentivo l’esigenza di acquisire un’azienda nel comparto living, essendo convinto che non fosse possibile coprire tutte le aree dell’arredo con un solo brand. Negli anni ’90 avevamo quasi trovato l’accordo con Giulio Cappellini… Ma l’obiettivo vero è sempre stato De Padova, per la sua storia e per lo stile classico, aperto a un design moderato, in grado di miscelare perfettamente oggetti diversi con gusto, mirando al target della ricca clientela milanese che poi è lo stesso di Boffi. Un’unione perfetta.
E adesso?
Ci siamo dati due anni di tempo per rafforzare il brand e rivedere la collezione, affidata a Piero Lissoni, per arrivare a quella completezza della gamma prodotto che ci permetterà, dal 2018, di avviare il progetto retail e di essere internazionali. Oggi De Padova è un brand essenzialmente milanese, dobbiamo farlo conoscere a livello globale e per questa ragione esporremo al prossimo Salone del Mobile, con una soluzione che uscirà dalla logica strettamente commerciale dello stand per offrire un’immagine quasi eterea, rinviando la comprensione del mondo De Padova al nostro spazio di Santa Cecilia.
Cosa prevedete a livello distribuzione?
Nei prossimi due anni investiremo in parte sul canale multimarca e in parte integrando l’offerta dei monomarca Boffi: attualmente sono 22, in 15 stiamo inserendo i prodotti De Padova. Abbiamo un programma intenso di nuove aperture a partire dagli Stati Uniti, dove abbiamo recentemente avviato lo store di New York e dove entro l’anno inaugureremo Miami, San Francisco, Los Angeles, Denver e Chicago. Molte altre aperture sono previste in Europa e in Asia. Dal 2018 toccherà ai primi monomarca De Padova, iniziando da Parigi e Londra.
Com’è andato il 2015?
Boffi è cresciuto del 18%, da 66 a 76 milioni, mentre De Padova si è mantenuta sui 7,8 milioni di euro, che considero un risultato positivo poiché abbiamo iniziato a lavorarci da maggio: quest’anno si vedranno i primi segnali di miglioramento. Contiamo, entro 3-4 anni, di arrivare a 100 milioni con Boffi e a 20 con De Padova, che è la dimensione minima per poter gestire una rete di negozi monomarca come quella che abbiamo in mente.
Siete pronti ad aprire la società all’ingresso di potenziali investitori esterni?
Boffi negli ultimi vent’anni è cresciuta bene autofinanziandosi. Non abbiamo necessità di trovare soluzioni di partnership che non siano perfettamente congeniali. Un giorno, eventualmente, potremmo valutare la Borsa, ma anche quest’ipotesi presuppone un rafforzamento economico perché la quotazione, per quanto interessante, resta uno strumento molto costoso, almeno sui listini principali.
Boffi, De Padova e… pensate a un terzo marchio?
Non vorrei fare il collezionista di marchi, meglio concentrare le attenzioni anziché diluirle inserendo aziende che operano in ambiti non sinergici. Per ora ne bastano due.