Parola ai distributori Domus Tiandi e Casacasa, preoccupati per i possibili ritardi di consegna ma pronti a dare fiducia ai fornitori: “Gli italiani non sono sostituibili”. La ripresa vera è rinviata al prossimo anno.
È stata la prima a fermarsi, sarà la prima a ripartire. E anche se il ritmo della Cina nei prossimi mesi non sarà lo stesso del 2019, perché l’emergenza coronavirus ha lasciato il segno anche nel gigante economico asiatico, in questo momento la vera preoccupazione dei retailer cinesi del mobile non è più legata ai tempi della riapertura totale: per chi lavora con le imprese italiane, l’incognita è rappresentata dal lockdown dei fornitori.
LA REAZIONE A SHANGHAI
Domus Tiandi è un partner di riferimento per diversi brand di primo piano. Ha uno showroom multimarca a Pechino, un flagship di Minotti a Shanghai e due monobrand comunicanti di Minotti e Baxter a Shenzhen, coprendo così le tre piazze principali del pianeta Cina. Oltre a questi marchi, è esclusivista di Oluce per il Paese e collabora tra gli altri con Poliform, Living Divani, Giorgetti e Promemoria. Guido Raffaelli, architetto italiano, da quattro anni lavora per Domus Tiandi dove ora si occupa di brand management. “Il 95% dei nostri prodotti arriva dalla Brianza – afferma – e questo fatto non rassicura, perché dipendiamo da aziende attualmente chiuse. Alla fine di marzo, il ‘traffico’ nei nostri showroom appariva ancora contenuto e le aperture avvenivano a orario ridotto. Shanghai è stata la città più reattiva dopo la fine del lockdown, mentre a Pechino e Shenzhen notiamo una certa esitazione, perché i cittadini privati hanno ancora timore nell’uscire di casa. Noi siamo legati al residenziale, non facciamo online e quindi ci manca il polso su questo canale che sta acquisendo sempre più importanza. I primi ordini dalla riapertura li abbiamo piazzati grazie ai nostri designer e con quei privati che stavano per concludere la realizzazione delle loro abitazioni”. Domus Tiandi collabora anche con alcuni big developer specializzati nel real estate, ma quel tipo di business deve ancora ripartire. Ha una presenza marginale nell’hotellerie, dove ora non ci sono ordini aperti. In assenza di altre problematiche, la previsione è di ripartire appieno entro la fine della primavera, quando i cinesi potrebbero recuperare quella tranquillità psicologica necessaria per rilanciare la domanda. Da qui ad allora, in Domus Tiandi confidano che le fabbriche italiane possano essere nuovamente operative, per non determinare ritardi o cancellazioni d’ordine. In ogni caso, Raffaelli esclude l’ipotesi di sostituzione dei fornitori italiani. “Con il tempo, e con la maggior parte delle aziende partner, si è creato un clima di fiducia e di affetto. Stiamo inviando dalla Cina le mascherine a tutte le aziende, per dare il nostro piccolo contributo, vista la penuria di protezioni in Italia. E poi la forza dei brand italiani è tale che sarebbero insostituibili per i cinesi”. Sulle ragioni che hanno cementificato questo legame, l’architetto racconta: “I cinesi sono sensibili al nostro fascino, amano in maniera quasi compulsiva alcuni prodotti italiani, dalle auto di lusso alla moda, più di quanto siano attratti ad esempio dal cibo, essendo i cinesi molto soddisfatti della loro cucina. Inoltre girano il mondo e hanno potuto ammirare la bellezza delle città storiche italiane.
Non dimentichiamo poi il calcio, che è stato un veicolo molto importante per la trasmissione di questo sentimento, con l’acquisizione di società calcistiche. L’italiano medio ha una visione ancora grottesca della Cina ed è un dispiacere, perché l’intensificazione dei rapporti si sta rivelando come una strategia vincente per il business. Si vede anche dall’aiuto che ci hanno dato in questo momento difficile”.
CALMA PROLUNGATA
Casacasa è presente a Shanghai con due store. Circa la metà dell’offerta è composta da marchi italiani come Mdf Italia, Zanotta, Cavallini e Roda. Nell’illuminazione i nomi in portfolio sono quelli di Flos, Foscarini, Fontana Arte, Artemide. Il proprietario Nelson Leung Wai, prima del lockdown, aveva dato il via ai lavori per entrare anche sulla piazza di Pechino, e nonostante il ritardo accumulato non dispera di poter aprire uno store nella capitale entro la fine dell’anno. Qualche dubbio in più lo ha invece sui tempi reali della ripartenza al ritmo pre-Covid-19. E ci spiega perché. “La diffusione del contagio in tutto il mondo rallenterà il business dei nostri concittadini che lavorano per l’export, ridurrà il loro potere di spesa e quindi il nostro lavoro ne risentirà in negativo. A fine marzo eravamo al 40-50% delle nostre potenzialità e se prima pensavamo di poter tornare a pieno regime entro un paio di mesi, poi la chiusura per virus di Europa e Stati Uniti ci ha fatto capire che forse servirà più tempo”. Inoltre, come per Domus Tiandi, anche per Casacasa si pone il problema delle spedizioni internazionali e dei possibili ritardi in ingresso per l’arredo made in Italy. Con i fornitori tedeschi la situazione è diversa, e se ci sono stati dei tempi più lunghi del previsto (come nel caso di Vitra, per esempio) non sono dipesi dal virus. “Qualche alternativa potremmo trovarla, ma non è possibile immaginare di sostituire l’Italia nelle forniture di mobili: senza gli italiani non c’è buon business per noi”, precisa. La clientela di Casacasa è formata per il 90% da cinesi e per il restante 10% da europei che vivono a Shanghai. Si tratta di una clientela residenziale, perché il contract non rientra nell’interesse aziendale: “I committenti pagano a sei mesi dalla consegna e noi non accettiamo simili condizioni, anche perché i mobili che acquistiamo li paghiamo in anticipo”, dichiara. Ad ogni modo, Nelson Wai non perde il proprio ottimismo. “Se tutto andrà come deve andare, il 2021 sarà un buon anno. E poi la gente è rimasta così a lungo nelle proprie case che vorrà sicuramente investirvi, per renderle ancora più belle”.
CINQUE CONCLUSIONI
Sull’evoluzione dei consumi in Cina, si possono già trarre alcune conclusioni. La prima è che il canale online sarà sempre più importante. “Ci permetterà di andare verso la clientela più diffidente, quella che non si entrerà con piacere nei locali pubblici come gli showroom”, afferma Raffaelli di Domus Tiandi. La seconda è che i cinesi, come reazione psicologica, privilegeranno i prodotti autentici e destinati a durare nel tempo. La terza è che la partnership con i fornitori italiani dovrà essere rafforzata, e in questo i cinesi sembrerebbero ben disposti a dare continuità agli ordini, senza spingere troppo sulle richieste di sconti. La quarta è che, in assenza del Salone del Mobile di Milano, gli italiani dovranno inventarsi qualcosa di speciale, dagli eventi in loco all’online, per presentare le novità 2020 al pubblico cinese. La quinta è che il prossimo appuntamento del Salone di Shanghai assumerà un valore straordinariamente forte, confidando che a novembre la situazione di emergenza possa essere finalmente risolta.
di Andrea Guolo