L’idea del reshoring? Affascinante ma complessa, afferma Erika Andreetta (PwC). Le soluzioni alternative: ridurre la dipendenza, potenziare il riciclo dei materiali, valutare delocalizzazioni produttive nei mercati chiave.
All’inizio di agosto, Electrolux ha annunciato 13 settimane di cassa integrazione nello stabilimento di Susegana (Treviso) per carenza di forniture di importazione asiatica come le schede elettroniche e l’acciaio. A fronte di una domanda sostenuta, la scarsità di materie prime per gli elettrodomestici non rende possibile la continuità della produzione e di conseguenza, per il periodo autunnale, l’azienda opererà a giornate ridotte. Si tratta del picco, almeno a nordest, di una serie di tensioni che hanno riguardato l’economia nel suo complesso e che stanno facendo riflettere gli operatori sui rischi della dipendenza dalla Cina, principale fornitore mondiale di diverse commodity. Il comparto della casa non fa eccezione.
BUSINESS PERDUTO
“Il caso di Electrolux è eclatante – afferma Erika Andreetta, partner e retail and consumer goods consulting in PwC – non solo perché rispecchia la situazione in atto nelle filiere, ma anche perché indica quante opportunità di business si possono vanificare a causa dello shortage”. Certamente non si tratta di una situazione normale per le materie prime nel loro assieme. Andreetta parla di “una fase di assoluta eccezionalità dovuta a una serie di concause: elevato grado di incertezza dovuto alla pandemia, ripartenza veloce del ciclo economico contemporaneamente in tutto il mondo, inefficienza del sistema logistico, attese di aumento di prezzi che portano le aziende ad acquistare in anticipo rispetto al fabbisogno”. Nel mondo dell’arredo, dove il tasso di dipendenza dalla Cina per le materie prime può variare dal 20 al 50% (fonte Ispi), le conseguenze si avvertono in tutti gli ambiti: “Su alcuni materiali – afferma Andreetta – si assiste a rincari fino al 30%-40% e, nel caso del legno, il prezzo non viene fissato al momento dell’ordine ma solo successivamente. All’aumento dei prezzi si è accompagnato un allungamento dei tempi di fornitura che, essendo prevalentemente estera per abete, pino e altri tipi di legno, risente anche dell’allungamento dei tempi di logistica”. Altrettanto difficile, se non di più, è la situazione di tutti quegli ambiti che dipendono dalla filiera dell’elettronica, dipendente dalle forniture cinesi e asiatiche: “Le maggiori difficoltà riguardano l’illuminazione, le cucine e l’ambito degli elettrodomestici. Negli ultimi mesi abbiamo avuto testimonianze di operatori del settore che indicavano come materiali che, fino a tempi anche recenti, arrivavano in 60 giorni, arrivino oggi in 6 mesi. La dipendenza dell’Italia è inoltre superiore rispetto a quanto dicano i dati ‘diretti’, poiché molte forniture provenienti dalla Cina non sono importate direttamente dall’Italia ma da Paesi terzi, dai quali l’Italia poi si rifornisce”. Si aggiunga poi che, unitamente al problema dell’approvvigionamento dei materiali, le aziende hanno dovuto far fronte all’aumento dei prezzi non solo delle materie in sé, ma anche dei costi accessori per la gestione e il trasporto delle stesse. “Il risultato è che si è creata la paradossale situazione nella quale, nel registrare un inaspettato effetto-traino del Covid, le aziende del settore, pur avendo ordini che consentirebbero al budget 2021 di essere in linea con il 2019, non riescono a evadere (o non assumono) gli ordini”. Ciò pone il sistema economico di fronte alla necessità di correre ai ripari, riducendo la dipendenza dalle forniture internazionali e in particolare da quelle extra Ue. Ma le filiere non si rilanciano in tempi brevi e la ricostituzione richiede grossi investimenti.
POSSIBILI SOLUZIONI
Nel caso del legno, l’Italia paga anni di sottoutilizzo delle risorse forestali. I primi passi verso l’implementazione di nuove filiere corte, tra i quali spicca la collaborazione tra Federlegno Arredo e Forest Sharing, sono stati mossi, ma il reshoring riguardo le materie prime di origine legnosa non è percorribile in quantitativi importanti. “In parte stiamo assistendo già ad approvvigionamenti di qualità nei mercati nel Nord Europa per il legni di migliore qualità, ma i costi per i mercati di fascia media e bassa sono troppo alti, per cui il ritorno in Europa è scarsamente realizzabile in maniera massiccia. Il reshoring potrà riguardare la sviluppo di tecnologie per la produzione/trasformazione di materie prime, non le materie prime stesse”. Passando dal legno a tutte le produzioni di base, gli investimenti necessari per il rilancio delle filiere sono molto elevati e comportano diverse conseguenze: “Occorrerebbe accettare prezzi che nel breve periodo risulterebbero più alti, ma anche affrontare i necessari passi diplomatici e di relazione verso i Paesi che detengono le materie prime, spesso in Africa, dove peraltro la Cina ha sviluppato rapporti consolidati nel tempo. Il settore dell’arredo non è paragonabile all’alimentare, per cui sarà poco ipotizzabile un ricorso a produzioni di base in questo ambito. Pertanto, si dovrà lavorare preferibilmente su fonti sicure ed estese di approvvigionamento estero”. Non è quindi ipotizzabile un’inversione di tendenza. Bisognerebbe invece ridurre la dipendenza attraverso una serie di azioni, tra cui anche l’investimento nel riutilizzo dei materiali esausti attraverso il riciclo. Inoltre, Andreetta evidenzia la necessità per le aziende italiane di valutare la scelta della delocalizzazione produttiva nei mercati strategici dell’export perché diversamente, afferma, “c’è il rischio di perdere il treno della ripresa”. Intanto, nell’immediato, il sistema dell’arredo presenta scorte sufficienti per la produzione dei prossimi sei mesi e il sistema è in grado di assorbire aumenti fino al 10% delle materie prime. “I marchi di fascia alta potranno assorbire eventuali aumenti se vorranno mantenere i prezzi invariati o potranno aumentare i prezzi, dinamica molto probabile in tutto il settore. Invece, i marchi di fascia bassa (o che impiegano molto materiale come le cucine) dovranno assolutamente ritoccare i prezzi per non vedere penalizzata la marginalità in maniera importante”.