Nel 2021 il commercio internazionale ripartirà con una crescita del 7,6% in volume e la ripresa si consoliderà nel 2022 con un’ulteriore crescita del 5,3%, riportando le importazioni dei mercati sui livelli pre-crisi. È quanto emerge dal ‘XVIII Rapporto: Evoluzione del commercio con l’estero per aree e settori’ realizzato da Ice Agenzia in collaborazione con Prometeia.
Il 2020 si è chiuso con una caduta degli scambi mondiali poco superiore al 7% su base annua. Gli scambi commerciali su scala globale hanno giocato un ruolo fondamentale nell’arginare la diffusione dell’epidemia: nell’ultimo anno i flussi commerciali dei beni legati all’emergenza (dai dispositivi di protezione, ai prodotti farmaceutici, al materiale medico/sanitario) sono infatti cresciuti in valore del 17 per cento. Il settore più collegato all’emergenza sanitaria, la chimica farmaceutica, ha sperimentato un’espansione della domanda internazionale dell’8 per cento. Il dato si confronta con flessioni superiori al 20% per i settori collegati alla mobilità (automotive e altri mezzi di trasporto) o a oltre il 10% per alcuni comparti tecnologici (meccanica in particolare) e di consumo (sistema moda e arredo), tra quelli di particolare rilevanza per l’Italia.
I rinnovati bisogni per un maggior comfort domestico messo in luce dagli apparecchi per la casa, unitamente alla tenuta di filiere come quella agroalimentare hanno contribuito a progressive revisioni al rialzo delle previsioni sul commercio mondiale di beni per il 2020, passato da una prospettiva di caduta a doppia cifra prima dell’estate a una flessione ben più moderata nella seconda parte dell’anno.
Alla luce di questi elementi di fondo, il Rapporto stima nel 2021 una ripartenza del commercio internazionale del 7,6% in volume. Con un’ulteriore crescita del 5,3% nel 2022, la ripresa andrà consolidandosi, riportando le importazioni dei mercati analizzati sui livelli di prima della crisi, già a fine di quest’anno. Si tratta, ovviamente, di prospettive collegate all’ipotesi di una progressiva accelerazione e maggiore diffusione su scala globale del piano di vaccinazione. Il recupero di domanda atteso in molti mercati già per il 2021 non si tradurrà in ogni caso in un ritorno al passato in senso stretto. La crisi del 2020 porta con sé una modifica dei fattori competitivi che favoriscono il successo delle imprese sui mercati internazionali.
Dal punto di vista settoriale si rafforzano nuovi temi che condizioneranno il commercio estero sia dei beni di consumo sia di quelli d’investimento. Nei primi, un ritorno all’essenziale e ad aspetti salutistici favorirà nel made in Italy l’alimentare e l’arredo (rispettivamente +8,5% e +8,4% la crescita nel 2021) ma anche un recupero, rispetto alla flessione del 2020, per il sistema moda, più legato alla socialità (+6,7% la variazione attesa nel 2021). Gli aspetti salutistici dei consumi, per esempio, risulteranno premianti anche dopo il superamento della crisi sanitaria, mantenendo la filiera agroalimentare tra quelle più attrattive. Tra i settori collegati alla mobilità, dopo la forte caduta del 2020 la domanda ripartirà più veloce nell’automotive.
Nei beni d’investimento si vedrà comunque una crescita della meccanica, primo settore dell’export nazionale (+6,8% la previsione del 2021 e un tasso di sviluppo poco sopra il 5% nel 2022), e dell’elettronica (+8,2%), comparto che ha mostrato una delle migliori tenute già durante la fase più acuta della crisi.
Nel dettaglio, i mercati maturi europei, tradizionale punto di riferimento per le imprese italiane, sono destinati a recuperare in parte nel 2021 quanto perso nel 2020, per poi superare i livelli di domanda pre-crisi nell’anno successivo. Una ripresa più accelerata caratterizza l’area nord-americana che già nel 2021 andrà oltre i livelli di import del 2019. Ancor più rapidi i tempi di recupero di altre aree, per via di una riduzione dei volumi meno intensa nel corso del 2020 (è il caso soprattutto dei paesi asiatici, maturi e non) o di ripartenze mediamente più intense. All’interno degli emergenti, e nonostante un recupero delle commodity che spesso finanziano la loro domanda internazionale, un andamento relativamente meno brillante riguarda l’Africa subsahariana e l’America Latina, le cui prospettive rimangono frenate anche da una minor fiducia verso i sistemi sanitari nazionali circa la messa in campo di un’immunizzazione diffusa.
Nel continente asiatico l’anno della pandemia è stato anche l’anno del “più grande accordo di libero scambio mai siglato, un’intesa che può modificare gli equilibri competitivi in una delle aree a maggior potenziale in chiave prospettica (i Paesi firmatari assorbono già l’8% dell’export italiano)”, si legge nel Rapporto. Con un contributo al commercio mondiale di 9.300 miliardi di euro (di cui più di un quarto già intra area) e con oltre 2,2 miliardi di persone coinvolte, i 15 firmatari dell’accordo RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) hanno posto le fondamenta per un’intesa che, dal punto di vista commerciale, guarda soprattutto agli impatti di medio termine.
Per l’Italia si tratta di mercati che valgono nel complesso 39 miliardi di euro (l’8% del suo export) e il cui presidio rimane fondamentale per la ripresa dei prossimi anni. Già nel 2021 per esempio la crescita dell’import di questi paesi sarà superiore di almeno due punti a quella attesa per la media degli scambi mondiali.
Più che i settori in sé saranno premiate le strategie di quanti faranno propri gli stimoli verso digitalizzazione, sostenibilità e innovazione, i nuovi paradigmi che guideranno politiche industriali, modelli di produzione e consumo nell’epoca post-Covid.
“Dai dati arrivano anche alcuni segnali incoraggianti – ha affermato Carlo Ferro, presidente di Ice Agenzia –. Tra i Paesi del G8, l’Italia è il secondo per minor flessione dell’export e questo contributo ha consentito di attenuare un più forte calo dei consumi interni. Inoltre, nonostante il calo delle esportazioni ci sono eccellenze settoriali, gli ‘Oscar dell’export’, che hanno performato positivamente su alcuni mercati, indice della capacità delle nostre filiere di resistere agli shock inaspettati. Per esempio, il riso verso la Germania, la pasta verso Giappone e UK, il vino verso la Corea del Sud e l’Olanda e l’olio di oliva verso la Francia. Oltre il farmaceutico e l’alimentare, che sono cresciuti come settori, ci sono performance dell’export settore-Paese particolarmente positive: i componenti elettronici verso gli Stati Uniti, le macchine tessili verso la Turchia, le materie plastiche verso la Cina, le calzature in Corea del Sud, per fare alcuni esempi. L’incertezza degli scenari futuri però rimane un ‘elefante nella stanza’, per questo abbiamo potenziato la nostra azione”.