Sul piano utopico, l’organizzazione dei centri urbani in piccole “città nella città” potrebbe funzionare. Purtroppo però i sostenitori della città dei 15 minuti non sembrano, ad oggi, prendere in considerazione gli elementi fondamentali per mettere in atto un piano strategico e funzionale.
L’era della metropoli tradizionale, in cui il nucleo centrale concentra business e servizi, non è destinata a durare nel tempo. L’epoca in cui siamo parla di densità urbane in cui le città ospitano 10, 15 milioni di abitanti e i centri meglio posizionati stanno ragionando su modelli policentrici e multi-nodali, in cui diversi quartieri chiave potrebbero trasformarsi in nuclei autonomi; una sorta di città nella città, costruita attorno a precise infrastrutture, spazi pubblici e sviluppi pensati per alloggi, lavoro e tempo libero della comunità. Sul piano ideologico pare una configurazione ideale e senza ‘falle’, ma potrebbe rivelarsi anche uno slogan che copre politiche molto diverse, ben lontane dalla visione strategica che dovrebbe pensare a riequilibrare squilibri delle diverse zone urbane coinvolte.
MULTICENTRISMO VERSUS POLICENTRISMO
Il tema della città policentrica rimanda alla nota (e sponsorizzata) “città dei 15 minuti”, che Andrea Boschetti, fondatore di Metrogramma e head of design di The One Atelier Londra preferisce definire “città equamente servita”, fondamentale per riuscire a gestire il problema del traffico in città e combattere la frattura tra periferia e centro. “Quel che è necessario – commenta – è un equilibrio sottile. Credo sia giusto mettere, in primis, in discussione la parola ‘policentrismo’, che di fatto rimanda alla condizione dello sviluppo urbano e culturale tipico degli anni ’70, oggi profondamente diverso. Ora è tutto urbanizzato, tutto è diventato città, per citare la recente pubblicazione di Rem Koohlaas (in cui afferma che «la città non esiste più. Poiché l’idea di città è stata stravolta e ampliata come mai nel passato, ogni tipo di insistenza su una sua condizione primigenia ha come esito inevitabile, complice la nostalgia, quello dell’irrilevanza», n.d.R.)”. Al centro della riflessione di Boschetti c’è dunque la città estesa, vista come un “enorme plancton che ha ricoperto, in forme diverse, ogni luogo urbanizzato. Se la città rappresenta tutto, allora secondo l’assioma koohlassiano è come se la città stessa non esistesse più: se tutto è inglobato in una condizione urbana, allora il concetto di policentrismo salta. Vale forse la pena di parlare di multicentrismo”. Definita dall’architetto una grande utopia di questo secolo, la ‘città dei 15 minuti’ potrebbe anche portare all’idea di una nuova speculazione: se i diversi centri della città vengono dotati di servizi, questi allora vedranno accrescere il loro valore anche in termini economici, rendendo insostenibile l’acquisto e il pagamento di affitti alti per gli abitanti che prima abitavano una zona periferica con prezzi calmierati, mentre ora si trovano “inglobati” in un nuovo contesto dotato di servizi potenziati e migliorati. “Se tutto il repertorio teorico su cui si ragiona da tempo – continua Boschetti – non viene contestualizzato, si andrà incontro a danni seri per la comunità; serve un processo di tutela da parte delle municipalità”.
Sta qui il doppio corno del dilemma: da un lato è necessario dotare democraticamente i centri urbani di servizi multipli che consentano la riduzione della mobilità e un accesso più facile all’assistenza al cittadino, ai parchi, ai mezzi pubblici, alle piazze, ma dall’altro nei processi di rigenerazione si assiste allo spostamento delle classi sociali che prima abitavano una determinata area, resa inaccessibile dall’incremento incontrollato e indiscriminato dei valori immobiliari.
SERVIZI GARANTITI PER RENDERE POSSIBILE IL CAMBIAMENTO
Se riduciamo il campo d’osservazione e pensiamo all’Italia, il nostro Paese funziona già secondo un sistema di regioni metropolitane policentriche, questo grazie al suo tessuto storico. “In passato abbiamo assistito a un discorso sulle nuove centralità – afferma Mirko Zardini, architetto, curatore, membro dell’Association of Art Museum Directors, parte del comitato esecutivo dell’ICAM e membro della Canadian Art Museum Directors Organization – nato dalla necessità di togliere pressione dai centri urbani storici, ma non ha funzionato, perché la tutela della qualità dei centri storici è fallita di fronte ai processi di gentrificazione. L’ottica della ‘città dei 15 minuti’ emersa oggi riguarda soprattutto grandi aree urbane, e il problema viene rimandato all’accessibilità fisica, legata alla riduzione del traffico automobilistico, anche se a mio avviso è molto riduttivo e problematico limitarlo a una questione meramente legata al traffico, con incremento di piste ciclabili e aree verdi”. Zardini punta il dito contro le scorrette priorità assunte per alzare la qualità delle condizioni di vita nei nuclei urbani. “Non è possibile aumentare il verde cittadino senza considerare la sua pessima manutenzione, ma non solo: negli ultimi due anni abbiamo visto quanto sia scarsa la qualità dei servizi scolastici – continua – e c’è mancanza di assistenza sanitaria sul territorio. La ‘città dei 15 minuti’, ma il vero problema è che può esistere solo dopo aver messo mano alle carenze dei servizi di base altrimenti resta un’utopia senza senso”. Altra problematica è l’effettiva sostenibilità delle piccole realtà commerciali previste nel modello dei 15 minuti: difficile sostenerle, quando il cittadino ha a disposizione e-commerce e grandi centri commerciali con prezzi più bassi per il consumatore finale. “Pretendere la presenza delle botteghe senza pensare ad una politica legata agli esercizi commerciali è problematico – aggiunge Zardini – Si potrebbe prendere esempio da Barcellona, che negli anni ’80 e ’90 aveva pensato alla questione riaprendo i mercati storici; c’era stato un tentativo di garantire servizi in grado di competere con le grandi catene, garantendo anche consegne a domicilio e mettendo a sistema soluzioni per permettere al piccolo commerciante di competere con l’online o la grande distribuzione”. In sostanza, senza una politica precisa sulla casa, sui servizi di base, e sulle attività commerciali, il modello virtuoso della città policentrica pare privo degli elementi fondamentali che necessita per essere veramente attuato.