Edward Barber e Jay Osgerby, designer e architetti londinesi titolari di uno studio che conta 80 collaboratori, saranno presenti al Salone del Mobile con tre progetti dal profondo carattere innovativo per Hermès, Emeco e Knoll
Edward Barber e Jay Osgerby oggi hanno uno studio a Shoreditch, una delle zone più creative e vitali di Londra, ma nel 1996 iniziarono la professione dalla parte opposta della città, a Trellick Tower, progettando il loro primo pezzo: si trattava del tavolo Loop per Isokon. Dall’inizio degli anni Duemila ad oggi, il team è cresciuto a velocità sostenuta, le collaborazioni sono aumentate e la conseguente affermazione del duo sullo scenario internazionale si è consolidata. La loro ricerca infatti li ha portati a realizzare collezioni per Vitra, B&B Italia, Venini, Cappellini, Magis, Swarovski, Flos e Established & Sons, producendo anche mobili per commissioni private e pubbliche. Dividendo l’attività in tre parti, l’Universal Studios per l’architettura, Barber&Osgerby per il design e Map per la progettazione industriale di tecnologia all’avanguardia, oggi sono riconosciuti come una delle più innovative realtà creative al mondo, capace di spaziare dall’architettura agli interni, al design di mostre, ai computer quantistici. Il loro lavoro è esposto anche in alcune delle più importanti collezioni internazionali permanenti, come il Victoria & Albert Museum e il Design Museum di Londra, ma anche il Metropolitan Museum di New York e l’Art Institute di Chicago. L’atmosfera che si respira oggi nello studio, tra grandi schermi, scrivanie, assi da lavoro e modellini è decisamente internazionale, giovane, piacevolmente rilassata ma estremamente concentrata allo stesso tempo. Con Edward abbiamo affrontato i loro futuri progetti, partendo dalle novità ideate per il Salone del Mobile 2019.
Cominciamo con un po’ di background… Chi sono Edward Barber e Jay Osgerby?
Qui in Inghilterra c’è un corso di un anno che si chiama Foundation, composto da tanti workshop molto specifici, e io e Jay ci siamo formati lì. Da giovane, sai di voler far parte del mondo dei creativi, ma non sempre sei già capace di definire in quale settore, se in quello grafico, nella moda, nei tessuti o nell’interior. Con questo corso si ha la possibilità di conoscere il settore in tutte le sue sfaccettature, per capire dove si è più portati. Per me inizialmente era Fine Art, poi mi sono interessato al design e poi ancora all’architettura, che ho studiato al Royal College of Art dove ho conosciuto Jay. Subito dopo la laurea, abbiamo fondato il nostro studio d’architettura che negli anni è cresciuto tantissimo. Quella parte del nostro lavoro ora va sotto il nome di Universal Studios. Abbiamo aperto poi un nuovo studio solo per interior design, il Barber&Osgerby, e un terzo, interamente dedicato a progetti all’avanguardia e di elevata tecnologia che abbiamo chiamato Map. Ora siamo in ottanta persone, divise tra i vari studi.
Come fate a passare da un progetto all’altro?
Ogni volta coinvolgiamo esperti dei vari settori, ed è per questo che possiamo spaziare in così tanti campi. Quando ci viene proposta un’opportunità, ci piace sperimentare. La nostra convinzione è cercare di essere sempre un po’ fuori dalla comfort zone, altrimenti che senso ha? Ci deve essere sempre qualcosa di nuovo, di innovativo, altrimenti non fa per noi. Come la lampada Bellhop per Flos, caratterizzata da una batteria a lunga durata: è una lampada sì, ma è stata rivoluzionaria. È sempre importante portare il design al suo limite. Il designer infatti deve essere nelle prime file, dovrebbe essere la voce che dice come potrebbero essere le cose, dovrebbe essere colui che guida. Come abbiamo provato a fare ad esempio per il sistema Soft Work per Vitra: interpretare e prevedere i cambiamenti delle abitudini, quindi le necessità della società, è decisivo e con quel progetto abbiamo contribuito a cambiare il modo di lavorare.
Un ruolo decisivo quindi, tra interprete e veggente…
È un mix e un equilibrio dei due. Il design è brutto quando si ripetono gli stessi oggetti. Non ha alcun senso disegnare e produrre l’ennesima sedia solo per averla sul mercato. Ogni progetto è una sfida: se è solo una bella sedia, finisce tutto lì. Ci vuole qualcosa di eccitante e di diverso, soprattutto perché i progetti possono anche durare 3 o 4 anni, e durante il percorso ci possono essere diversi rallentamenti e difficoltà.
Avete un importante curriculum di relazioni con aziende italiane. Che rapporto c’è con il nostro design?
Sì è vero, abbiamo lavorato e lavoriamo molto con aziende italiane. Flos, B&B, Venini, Magis, Mutina sono solo alcuni dei brand con cui abbiamo stretto piacevoli collaborazioni. Direi che il motivo sta tutto in una particolare sensibilità che si trova nelle aziende italiane, grandi o piccole che siano. C’è una passione particolare per il design e un orgoglio ben distinto nel realizzare i prodotti. Non che non li si possano trovare in altri paesi, ma in Italia è diverso. Penso davvero che lì ci sia una passione unica per tutto ciò che è crafts, e non intendo solo la lavorazione artigianale a mano, ma anche la produzione a macchina. L’attenzione verso il dettaglio e le finiture è unica. Alcune aziende spesso sono interessate prevalentemente alle vendite e ai ricavi: non che quelle italiane non lo siano, ma a questa praticità aggiungono sensibilità. E poi si mangia bene!
58esima edizione del Salone del Mobile alle porte: cosa è cambiato negli anni?
Se devo essere sincero, nei primi anni le cose più interessanti si trovavano fuori dalla fiera, ma dal 2008 in poi direi che i progetti migliori sono all’interno. Fuori penso che sia più una questione di eventi, mostre e presenze… Inoltre 20 anni fa, la prima volta che siamo andati, in una settimana ben organizzata si riusciva a vedere praticamente tutto, ora non è più possibile ed è frustrante perché hai sempre la sensazione di perdere qualcosa.
E voi con che progetti sarete presenti?
Quest’anno siamo al Salone con tre progetti ai quali teniamo molto. Con Hermès presentiamo due lampade, Halo e Hecate, un progetto su cui stiamo lavorando da tempo perché è stato molto difficile arrivare al risultato che volevamo. Con Emeco invece si tratta della sedia On and On, realizzata quasi interamente con materiale riciclabile. Per Knoll abbiamo ideato il tavolo Smalto.
Con Hermès quindi si tratta di luce?
Sì, due versioni della stessa lampada da tavolo con due effetti molto diversi. La prima, Halo, è realizzata interamente in porcellana, diventando una superficie opalina che irradia ovunque la luce. La seconda, Hecate, è in pietra, in granito, con un effetto molto più moody perché la luce chiaramente filtra solo da sopra e sotto. Sono entrambe realizzate con un pezzo unico o di porcellana o di granito e la difficoltà stava proprio in questa scelta, ma il risultato è più che soddisfacente, grazie anche alla qualità dei dettagli come il cavo elettrico nella tradizionale pelle arancione del brand.
Com’è nata invece l’idea per la sedia On and On?
Emeco ha da sempre un forte carattere ambientalista e qualche anno fa ci ha coinvolto chiedendoci di lavorare insieme. Stavano lavorando con un materiale molto particolare realizzato quasi completamente da plastica riciclata, ma la cosa più interessante è che funziona come l’alluminio: può essere usato e riutilizzato all’infinito senza che la sua qualità subisca alcun peggioramento. Chiaramente abbiamo accettato l’invito e la sfida, perché con un materiale così, anche il prodotto finale doveva essere eccellente. Abbiamo pensato a una sedia molto leggera, che avesse di conseguenza un impatto minimo sull’ambiente nel trasporto e nello stoccaggio. La volontà era portare qualcosa di nuovo e l’ispirazione proviene dal mondo classico del design, ovviamente dalle Thonet, le sedie più vendute e apprezzate dalla gente, ma che non sono impilabili e sono in legno. Quindi ecco dove è iniziata la nostra sfida. Abbiamo deciso di chiamarla On and On proprio per questo: è riciclabile all’infinito, impilabile potenzialmente all’infinito e allo stesso tempo resistente.
Non una semplice sedia…
No, ma un oggetto che racchiude sostenibilità ed economia circolare in un certo senso. Oggi usare materiale riciclato non è ancora economico, ma è una questione di approccio, una questione di messaggio che deve essere condiviso con la gente. Come designer penso che si debba essere sempre un passo avanti, fa parte del lavoro. Noi cerchiamo di realizzare prodotti che abbiano una storia, non solo che facciano il lavoro per cui sono stati disegnati. Una sedia sarà per sempre una sedia, ma questa sedia è un punto d’arrivo per il design del futuro, sostenibile in ogni sua parte, dal materiale al trasporto, fino allo smaltimento, flessibile tra uso interno ed esterno e allo stesso tempo resistente e solida. Con Knoll invece? Si tratta di una vera e propria sfida, perché la collezione di questi tavoli è interamente in acciaio smaltato. È stato un processo di progettazione molto intenso, i tavoli hanno tutti una grande presenza estremamente proporzionata, data anche dalle gambe tubolari incassate e dal piano spesso 40 mm. Il risultato è qualcosa di eccezionalmente durevole e che si muove tra uno stile contemporaneo e classico allo stesso tempo. Abbiamo lavorato utilizzando tecnologie molto avanzate, ma anche l’abilità artigianale dell’azienda, perché l’effetto al tatto fosse forte, la finitura resistente e il carattere adattabile a diversi ambienti.