Prima lo stop della pandemia, che ha bloccato la produzione di filiera. Poi la ripartenza immediata della domanda, alimentata dalle politiche occidentali di incentivo per la casa. Tensioni al massimo, ma nel 2022 si torna alla normalità.
La filiera del mobile paga il conto di uno stop and go spiazzante su tutti i fronti, con problemi differenziati a seconda delle commodity di riferimento. L’aumento dei prezzi è soltanto una delle conseguenze e probabilmente la meno preoccupante, perché il rischio non è soltanto dover ritoccare i listini al rialzo, bensì arrivare alla cancellazione degli ordini per ragioni di shortage. È quanto sta accadendo per tutti gli impieghi, dal legno ai tessuti fino alle pelli. E proprio dall’ambito ligneo stanno emergendo le tensioni più acute, per l’ampio utilizzo legato non solo al comparto dell’arredo ma anche a quello delle costruzioni.
CARENZA DI LEGNO
“Durante la pandemia, una parte della filiera si era bloccata e di conseguenza è venuto a mancare un buon 25% di materia prima globale. Lo shock verrà riassorbito ma non in tempi brevi, perché c’è una rigidità in fatto di capacità produttiva” sostiene Alessandro Calcaterra, presidente di Fedecomlegno, associazione di FederlegnoArredo che rappresenta le aziende importatrici di legname. “Per recuperare i quantitativi mancanti, occorrerà mettere in atto la ricerca di efficienze, economie e aumenti della produttività. Le dinamiche di rientro alla normalità dei prezzi dipenderanno dai singoli casi”. L’associazione stima un aumento della domanda globale di legname nell’ordine del 7-10% e la percezione di Calcaterra è che i picchi riguardino proprio l’Europa, per effetto delle politiche di incentivo alla ristrutturazione varate dai singoli Stati (tra cui l’Italia). Si aggiunge poi il boom dell’edilizia negli Stati Uniti, dove le costruzioni sono fortemente legate al materiale legno, mentre la situazione in Cina non è ancora del tutto chiara. Agli sconvolgimenti in atto concorrono peraltro le conseguenze, in termini di offerta, del surriscaldamento globale, che limita le disponibilità di legname in alcune aree forestali. Conseguenze? “Gli aumenti di prezzo sono mediamente nell’ordine del 20%, ma nei prodotti base si può arrivare fino a valori raddoppiati o triplicati. Nessuno pensa che questi aumenti siano destinati a essere confermati, ma i tempi del rientro dipendono dalla lunghezza del ciclo produttivo: per alcuni prodotti, come ad esempio il truciolare derivante da legname locale, è questione di pochi mesi; per altri si può arrivare fino a un anno e mezzo”. Ma se il canale residenziale ha le possibilità di sostenere l’impatto dei rincari, la situazione cambia per il contract perché, precisa Calcaterra: “Sui grandi lavoro già contrattualizzati, gli aumenti macroscopici comportano una serie di problematiche di rinegoziazione difficili da risolvere in ambito internazionale. Gli ordini concordati ai vecchi prezzi oggi appaiono impossibili da consegnare”. E il fatto che l’Italia sia fortemente dipendente da legname d’importazione, che rappresenta circa l’80% degli impieghi totali, certamente non aiuta il sistema di filiera ad affrontare la situazione. “L’utilizzo di legno italiano sarà destinato a crescere, ma si parte da una quota molto bassa, che è il risultato di un sottoutilizzo storico delle nostre risorse forestali” precisa Calcaterra.
La carenza di legname e gli aumenti in atto hanno creato sofferenze particolari nel mondo degli imballaggi dove, in un pallet, l’incidenza del costo del legno arriva a rappresentare l’80% del totale, secondo la stima di Ezio Daniele, presidente di Assoimballaggi. “Maggio e giugno sono stati i periodi peggiori, con incrementi elevatissimi e veri e propri stop nel flusso di fornitura” precisa Daniele, evidenziando come a luglio si sia intravisto un miglioramento tutto da verificare in termini di consolidamento futuro. “In autunno ci sarà la prova del nove. Al di là della situazione temporanea, in Italia occorre una svolta nella gestione di un patrimonio come quello forestale, le cui potenzialità sono molto interessanti. Le foreste devono essere considerate una risorsa sulla quale investire con politiche di taglio e piantumazione come quelle avviate da oltre trent’anni in Austria. E i nostri concorrenti austriaci hanno ottimamente raccolto il risultato di quegli investimenti, dalla produzione alla lavorazione: oggi la più grande segheria austriaca, da sola, taglia più metri cubi di legname di quanti ne faccia l’intero Trentino. Stiamo giocando in un campionato di serie B mentre, puntando in alto, potremmo riequilibrare una bilancia commerciale fortemente negativa”.
TESSUTI E PELLI IN TENSIONE
Nel mondo tessile, gli aumenti registrati a maggio 2021 da Confindustria Moda per Smi sono nell’ordine del 26% per il cotone e di quasi il 30% per le fibre sintetiche. “Credo che l’inversione di tendenza non sarà affatto rapida e questa situazione inflativa ce la trascineremo per tutto il 2021” afferma Alberto Paccanelli, Ceo del gruppo Martinelli Ginetto e presidente di Euratex, associazione europea del comparto tessile. Nel frattempo, la domanda internazionale di tessuti per la casa è in forte aumento, come dimostrano anche i dati dell’export nazionale nei primi quattro mesi: +52% in valore per i prodotti tessili da letto, +30% per quelli da arredo e quasi +34% per quelli da bagno e cucina. Paccanelli è però convinto che i massimi di prezzo siano già stati toccati e ora si stia per tornare alla normalità: “Mi pare sia in atto una stabilizzazione sull’alto e si inizia a intravedere qualche cedimento, seppur minimo, per le nostre materie prime. Ci sono però altri problemi in pieno sviluppo, dai costi dei noli internazionali a quelli dei pallet di legno. E poi c’è la difficoltà di reperimento. Nel tessile per la casa, una parte rilevante di filati e tessuti dipende da materie prime di importazione che poi vengono nobilitate in Italia e l’assenza di una continuità di forniture crea sofferenze nella filiera. Chi aveva ampi magazzini a disposizione si è trovato in una situazione di vantaggio. Il problema è che ora i magazzini, più o meno per tutte le aziende, si sono alleggeriti e vedremo nei prossimi mesi quali saranno le conseguenze”.
Nei pellami, le difficoltà di reperimento delle materie prime sono legate soprattutto al calo delle macellazioni bovine in Europa, continente che offre la pelle grezza di qualità più alta tra le varie origini mondiali. L’aumento dei prezzi all’origine è stato piuttosto consistente nel primo trimestre dell’anno e ha colpito prevalentemente il toro (+35%), che è la pelle di riferimento per l’ambito upholstery (arredo e auto). Proprio la domanda legata ai mobili per la casa (divani, poltrone e rivestimenti per mobili e letti) è stata, secondo le rivelazioni di Unic-Concerie Italiane, la più dinamica nella fase post pandemica, compensando in parte il calo della richiesta del comparto fashion: se nel 2020 l’arredamento assorbiva il 15,7% della produzione complessiva ed era l’unica destinazione d’uso ad aver chiuso l’anno con segno positivo (+0,2%), nel 2021 la quota è destinata ad aumentare ulteriormente. “La domanda di pelli per la casa è in aumento e sta rilanciando gli investimenti commerciali delle concerie specializzate nell’arredo” notano in Unic. In prospettiva, i prezzi delle pelli grezze potrebbero essere sottoposti a un ulteriore rimbalzo, seppur più contenuto rispetto a quello di inizio anno, anche perché i macelli si devono rifare delle precedenti perdite, e queste tensioni creano problemi di marginalità per le concerie, che non possono scaricare in blocco gli aumenti sulla propria clientela. “I prezzi attuali dei tori hanno decisamente superato i livelli pre-Covid” notano in Unic. Si aggiunge poi la problematica del livello qualitativo delle materie prime: le cosiddette “prime scelte” sono sempre meno presenti nel mercato, a causa del contenimento dei costi nella filiera macello-allevamento, e quindi le pelli migliori tendono a crescere di prezzo in maniera più che proporzionale rispetto alle scelte inferiori.
IL NODO DEI NOLI
In un quadro già di per sé complicato, è entrata pesantemente in gioco la variabile dei trasporti internazionali via mare, con tensioni che hanno portato ad aumentare i costi di movimentazione dei container fino a 8-10 volte. Luigi Merlo, presidente di Federlogistica (federazione che raggruppa le imprese di logistica e gli operatori portuali, retroportuali ed aeroportuali). parla di una situazione certamente eccezionale e destinata, a suo avviso, a stabilizzarsi entro il 2022. Le cause della fiammata sono legate a un assieme di conseguenze. “La ripartenza del trasporto marittimo dopo la pandemia è stata immediata e sbilanciata verso l’Europa e gli Usa, con poche disponibilità di container pronti. Si sono poi aggiunti il fattore Suez, con il blocco temporaneo del passaggio attraverso il canale egiziano, e la chiusura di alcuni porti cinesi a causa della pandemia” afferma Melo. In un settore per sua natura rigido, perché l’ingresso nel mercato di nuove navi richiede tempi lunghi, il riequilibrio avverrà gradualmente. L’Italia peraltro sta pagando non solo i ritardi delle consegne internazionali via mare, ma anche le lentezze del trasporto via gomma innescate dai cantieri aperti lungo la rete autostradale. Nel frattempo si assiste a una crescita “sostanziale e significativa”, per citare le parole di Merlo, del ricorso alla rotaia, nella logica di una sempre più forte integrazione verticale del trasporto ferroviario le compagnie marittime che diventano operatori logistici di interconnessione. “Il tema vero, che l’Italia e l’Europa oggi si pongono, è quello di ripensare un modello di produzione non più così delocalizzato, sia per la parte componentistica sia per quella produttiva. Occorre riportare in Italia una parte della filiera per non delegare tutto il potere alla Cina, che già dispone di accessi strategici come ad esempio quello del Pireo in Grecia. E che potrebbe influire sempre più pesantemente sugli equilibri economici globali”.