Come stanno reagendo le aziende a questa tendenza? Proponendo collezioni in Limited Edition, lavorando a processi di produzione sofisticati che si avvicinano all’artigianato e puntando a clienti altospendenti.
Per un tema come quello dell’arte che abbraccia il design, è d’obbligo menzionare una delle più grandi sostenitrici di questo legame all’interno di ogni sfera del progetto: Charlotte Perriand. La Fondazione Louis Vuitton, in occasione del ventesimo anniversario dalla sua scomparsa, le ha dedicato una grande mostra, visitabile fino al 24 febbraio a Parigi. Vera personificazione dell’esprit nouveau, Charlotte ha immaginato un’arte del vivere che, a inizio 900, andò contro tutti i codici dell’epoca. Pernette Perriand-Barsac, la figlia, ci racconta di come sua madre abbia sempre lavorato con gli artisti. “Era molto amica di Fernand Léger, con lui come con Picasso e tanti altri ha voluto collaborare per ogni suo progetto. Charlotte credeva fermamente nell’integrazione della pittura all’interno dell’architettura e del design. Non si trattava di mera decorazione, ma molto di più. Faceva parte della sua filosofia di pensiero, credeva nella dissoluzione dei confini tra le varie discipline. Mia madre diceva che chiunque può essere un creativo, un creatore di bellezza. Anche senza disporre di denaro, si può trovare l’arte nella natura, nella bellezza del legno, delle conchiglie, dei fossili che restituisce il mare. Ecco cos’era l’Art Brut per lei”. Una delle sue immagini più note la ritrae sdraiata sulla sua chaise longue basculante progettata con Le Corbusier e Pierre Jeanneret: indossa una collana fatta di cuscinetti a sfera, realizzata da Charlotte come manifesto portatile della sua visione di fusione tra arte e industria.
Nell’arredo di alta gamma, oggi, alcune aziende stanno guardando ancora una volta a questa possibile fusione, per dare la possibilità al cliente finale di ricreare spazi sofisticati e caratterizzanti, lavorando con designer che sperimentano spingendosi oltre i confini canonici del progetto, per creare nuovi dialoghi tra forma, materiali e funzione. Ecco tre esempi.
DAL SISTEMA AL PEZZO UNICO
Maria Porro, direttore marketing e comunicazione dell’azienda Porro e quarta generazione della famiglia fondatrice, crede che il design si debba avvicinare all’arte in termini di offerta. “Oggi al mondo del progetto viene richiesta sempre più la capacità, come nell’arte, di offrire dei pezzi unici alla clientela più sofisticata, e questo vale in particolar modo per un marchio come il nostro, specializzato in sistemi”. La clientela del brand si aspetta soluzioni personalizzate e progetti creati ad hoc. “Lo spazio del cliente è sempre diverso, e per questo motivo ogni nostro progetto è integrato nell’architettura come fosse un abito cucito su misura sul corpo. Nello stesso modo, l’arredo deve essere progettato e realizzato a partire dallo spazio architettonico. La sfida personale di Porro è quella di riuscire ad elevare i sistemi componibili a pezzi unici, ed è per questo che abbiamo rivoluzionato il sistema produttivo industriale in un’ottica lean”. Porro è un’azienda in cui la parola ‘standard’ ormai non esiste più, così come non esiste più un magazzino per i semilavorati. Tutto quello che viene prodotto, a partire dalle prime fasi di lavorazione, è sempre nuovo, elaborato per rispondere in modo funzionale e preciso ad ogni specifico progetto. Si tratta di una scelta mirata anche in ottica di sviluppo sostenibile, perché riduce gli scarti e allo stesso tempo rende ogni realizzazione unica e impeccabile nei dettagli. “Una vera e propria opera d’arte – puntualizza – e anche la nostra ricerca sulle finiture trae ispirazione continua dal mondo dell’arte: quando definiamo una nuova superficie, i riferimenti al mondo della scultura e della pittura sono sempre presenti. In un atto liberatorio e creativo, scegliamo trattamenti realizzati con diversi passaggi manuali che si ispirano alla tradizioni antica della lacca e traggono ispirazione dalla profondità dei colori ad olio delle pale lignee del ‘400; inoltre, trattiamo i metalli con processi di caratura manuale e anodizzazioni che si ispirano alle superfici metalliche delle sculture di Richard Serra per creare insolite sensazioni tattili e visive”. Queste finiture vengono applicate ai sistemi, contribuendo a trasformare un prodotto storicamente considerato più industriale, in un pezzo unico e irripetibile. Sono progetti dalla doppia anima: da un lato la precisione millimetrica della macchina in grado di realizzare tutto su progetto, dall’altro la bellezza necessaria dell’imperfezione manuale. “Queste ricerche e indagini ci hanno portati a produrre delle vere e proprie opere d’arte in edizione limitata, come nel caso dei contenitori Maggio e Schermo disegnati da Alessandro Mendini con fronte intarsiato, un vero e proprio capolavoro di ebanisteria numerato e firmato”.
LA FORZA DELLA LIMITED EDITION
Da sempre, l’intento di Living Divani è quello di puntare a una comunicazione volta al lato artistico più che a quello commerciale del prodotto. “Per me è molto facile vedere le strade di design e arte come contigue, anche se non parallele”, commenta Carola Bestetti, head of marketing & communication e seconda generazione aziendale. “Se poi parliamo di approccio, il processo creativo è simile, ma si deve considerare l’output che è diverso. L’opera d’arte è inevitabilmente un pezzo unico, il prodotto va per forza industrializzato. Oggi sempre più aziende che hanno a che fare con processi di industrializzazione stanno facendo collezioni in limited edition, noi compresi, perché ci si vuole distaccare dal bombardamento ossessivo della comunicazione di oggi che ti porta a voler parlare sempre e solo di prodotto; la limited edition ti permette invece un’elevatura maggiore per poter entrare in contatto con l’elite del collezionismo”.
Non solo le aziende, ma anche i progettisti stanno ricercando un linguaggio simile. “Molti designer non approcciano direttamente l’industria – conferma Carola – ma propongono una produzione che viene presentata e distribuita poi attraverso le gallerie. In questo periodo sto dialogando con un giovane che fino ad oggi non ha quasi mai fatto prodotto industrializzato, bensì autoproduzione. Il suo linguaggio mi piace molto e stiamo provando a fare il percorso inverso: il progetto che parte dall’autoproduzione viene inserito in un contesto industrializzato”.
Living Divani non è nuova ad approcci simili, anzi è un percorso che è iniziato nel 2008, con la riedizione di alcuni pezzi di Shiro Kuramata, operazione mirata al recupero storico di pezzi che in origine erano stati concepiti dall’architetto come parte di un suo progetto specifico, portati invece dall’azienda a un livello di fruibilità diverso. Risale poi al 2010 la collaborazione con Junya Ishigami, dove elementi concepiti come opere d’arte sono poi entrati in produzione: le cinque sedie di Family chair, in acciaio dall’effetto ottico amplificato che sembra frutto della deformazione ottenuta dalla superficie ‘a lente’ di Drop Table, tavolo scultura che distorce la percezione dello spazio. “Il mondo del design e quello dell’arte non sono paralleli, ma possono trovare un punto di unione – ribadisce Carola – senza però mai snaturare il principio fondante per l’azienda e la sua produzione”. La collezione più recente concepita in questi termini è The Uncollected Collection: 10 pezzi in edizione limitata realizzati per celebrare i 30 anni di collaborazione con Piero Lissoni e i 50 anni dell’azienda. “Per noi – sottolinea Bestetti – è stato uno sforzo considerevole. Abbiamo dedicato circa otto mesi allo sviluppo del progetto, che ha visto poi la luce durante l’ultimo Salone del Mobile. In termini di investimenti, abbiamo aggiunto un 20% al totale del budget già pianificato”. Ad oggi, la collezione sta cercando il canale distributivo migliore, puntando ovviamente sulle gallerie. “In Cina è meno complesso, posso affidarmi ad alcuni clienti perché sono loro stessi dei collezionisti. In Europa o in America, questa nicchia di mercato segue processi diversi”. I risultati dell’operazione, in termini di comunicazione, sono stati ottimi. Bisogna invece attendere per il riscontro economico, da valutare su una prospettiva di medio-lungo termine.
IL BENEFICIO DELL’IBRIDAZIONE
L’arte in tutte le sue forme ed espressioni rappresenta da sempre una fonte di ispirazione per Visionnaire. Il dialogo all’unisono tra arte e design ha portato il brand a inaugurare qualche anno fa una galleria dedicata ai progetti di arte contemporanea all’interno del flagship store di Milano. Tra i precursori di questa tendenza, Visionnaire insiste sull’importanza del connubio tra i due mondi. “Basti vedere il successo di fiere di settore come il Pad, Nomad e Design Art Basel”, commenta Eleonore Cavalli, art director dell’azienda. “Traiamo energia creativa dalla contaminazione tra vari linguaggi, musica, danza, video, scultura con particolare attenzione alla sperimentazione artigianale e una produzione rigorosamente organizzata in Italia. Dal 2008 all’interno del flagship store milanese, l’ex cinema Cavour, coesistono in uno spazio polifunzionale uno showroom di arredamento, un bistrot, una design gallery che chiamiamo Wunderkammer. È un laboratorio di idee nonché spazio espositivo. La capacità di lavorare con i materiali e di realizzare opere uniche sono le caratteristiche che guidano la scelta dei creativi con cui collaboriamo, e non ci diamo limiti se non il rispetto dei valori aziendali fortemente legati al savoir faire e all’alta artigianalità. Le opere presentate in Wunderkammer spesso sono inserite nei nostri progetti. Abbiamo presentato in Italia tanti promettenti artisti stranieri come l’argentina Nina Surel, il francese Olivier Roller, lo svizzero Conrad Jon Godly, e abbiamo fatto conoscere ai nostri clienti nel mondo giovani artisti italiani come Alessandro Brighetti, Paolo Leonardo, Bertozzi e Casoni e il collettivo dei CaCO3”. E sono tanti i progetti che vedono l’azienda coinvolta anche fuori dai confini italiani. Durante l’ultima edizione di Miami Art Basel ha presentato il Pavone, capsule di poltrone da collezione disegnate da Marc Ange e inserite all’intero di un installazione tropicale, The garden of beauty. A marzo, la Visionnaire Embassy di Hong Kong inaugurata nell’autunno del 2019, ospiterà in occasione dell’edizione asiatica di Art Basel una personale di Michele Astolfi, artista apprezzato dalla clientela Visionnaire per il suo processo di lavorazione che sperimenta le combinazioni tra l’immagine fotografica digitale e materiali come legno fossile, cristalli, pietra e acciaio.
di Valentina Dalla Costa